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l'uomo dala testa in aria

L’uomo dalla testa in aria passeggiava tranquillo aspettando il treno delle tre e un quarto.
Che fosse un uomo con la testa in aria era facile capirlo perché già a guardarlo e vedergli la testa staccata dalle spalle qualche sospetto veniva.
Se poi si aveva la ventura di accompagnarlo a pranzo ci si accorgeva che il cibo, indugiando sotto il mento, si gettava pietosamente nel cavo della trachea, che uno poteva fare in tempo persino a prenderlo al volo e far restare il signore della testa in aria digiuno fintanto che gli piaceva. Ma era uno scherzo che, fatto una volta, non ci si azzardava a ripetere più, perché faceva una certa impressione vedere quel povero bolo soffrire le pene dell’inferno così estraneo alla sua propria condizione naturale.
Certo, s’è da dire, che un uomo dalla testa in aria non è cosa che si vede tutti i giorni; ma d’altro canto lui non usciva mai dal quartiere e gli altri abitanti gli si erano abituati, così come ci si abitua a della indicazioni stradali sbagliate o a dei lampioni stile Settecento in una via di caserme blu e marrò a scacchi.
Anche perché, tocca dirlo, l’uomo dalla testa in aria si portava correttamente, frequentando amici e bar, acquistando derrate, calzature manici da scopa e detersivi come ogni altro con la testa sulle spalle.
Solo che questa volta il postino aveva gridato “posta! ” e gli aveva consegnato un telegramma, postaprivata, che lo chiamava a comparire in tribunale, in veste testimoniale come si dice, per scagionare una dama dalle gambe belle che con l’auto aveva fatto quattro parti d’uomo d’uno intero; che era una pena vederla con gli occhi asciutti senza una lacrima, così calda e bella dinanzi a quell’orrida macchia di carne e sangue senz’armonia.
Ed al signore dalla testa in aria era bastato un momento per rendersi conto che tra morte e vita e che tra bellezza e vecchiezza non c’era lotta ed un altro qualunque al posto suo non avrebbe dubitato se farsi incantare o farsi inorridire. Sicché egli non aspettò un momento per porgersi al servizio di quella superba libagione rosa.

Ebbene, ora era in viaggio.
Da che il treno era arrivato, e lo aveva accolto nella classe prima, le sue considerazioni erano queste:
“Io penso non si possa sbagliare se si decide di scegliere la donna all’uomo, per l’uomo, come non si può sbagliare se si decide di salvare un bambino dai denti di un cane bastonando il cane fino alla vergogna. E ritengo pure, Giudice e Signore, che la terra tutta, con tutte le flore e faune, gli odori di santità, non chiamerebbero reprobo colui che alla soavità sacrifica la giustizia.
Perché quella donna è un’anima benedetta, con i seni e le spalle dorate a meraviglia, i capelli raccolti alla nuca dove qualunque uomo avrebbe sofferto le dannazioni se gli si fosse preclusa per l’eterno la deliziosa prospettiva di toccarne”.
Ed egli così le disse, soffiando le parole come una madre spira l’alito al bimbo, gettandole senza scrupolo il cuore tra le mani, adorandola perfetta in un momento eterno di infinita perdizione.

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3 commenti:

  • Sam Briacatu il 03/11/2010 18:35
    Io adoro il tuo modo anticonformista e demodé di raccontare una storia che, nella fattispecie, è pur condita della giusta quantità di humor che allieta la lettura senza trasformarla in facezia. Mi è piaciuta moltissimo questa storia e senz'altro leggerò TUTTO quello che hai scritto e scriverai... Anzi, mi auguro sinceramente di poter un giorno tenere sul comodino un libro di Sergio Scaffidi il cantastorie
  • Ivan il 01/08/2010 10:44
    Mi é piaciuto moltissimo, scritto con proprietà e maestria. Avevo già letto qualcosa di tuo, adesso sarò costretto a tornare... Bravo.
  • Anonimo il 02/01/2009 01:40
    Fantasmagorico, degno della tua migliore produzione! Un prolifico 2009

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