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Ricordi

Il cielo è di un blu incredibilmente bello, sfavillante cornice al disco solare, grande, tondo, caldo
Fiiiii!!!
L'arbitro fischia il fallo alzando la mano al cielo. Guardandolo sdraiato da terra la sua posa a un non so che di Biblico, mi ricorda tanto Mosè mentre sta per aprire le acque del mar Rosso con il suo bastone. Sollevo la testa, il campo mi si stende dinanzi in grigia terra battuta, sulla rete di recinzione ci sono poche persone, curiosi, discutono sul fallo appena fischiato dall'arbitro; mi alzo guardandoli mentre con le mani scuoto i pantaloncini carichi di polvere. La punizione sarà battuta dal limite dell'aria di rigore. Dietro la barriera di quattro uomini scorgo la figura di Mirko, lui sta lungo la linea della porta, nel suo sguardo brilla la luce della determinazione, non ha più nulla del burlesco degli allenamenti. Mi fissa con sguardo minaccioso, di sfida, come a dirmi: prova a segnarmi! Gli avversari dispongono le marcature sugli altri miei compagni, non conosco bene nessuno di loro, sono tutti volti sconosciuti sul campo, tra il vento e la polvere, loro però non fanno parte della nostra sfida. Walter mi si avvicina con la palla tra le mani, gli fa fare due giri, mi guarda dritto in faccia chiedendomi: vuoi batterla tu?
Si.
L'arbitro indica che la punizione deve essere battuta di prima, al suo fischio, controlla la distanza della barriera richiamando i giocatori che non rispettano il limite dei nove metri e quindici. Quando tutto gli sembra regolare finalmente si allontana e fischia la battuta; parto con la breve ricorsa e calcio cercando di dare alla palla il giusto effetto. Penso alle decine di volte in cui mi sono allenato nella battuta, cerco di colpire la palla dosando la forza in modo che si alzi e voli proprio dove voglio indirizzarla. L'impatto è violento, tante piccole zollette bianche partono per aria, altra polvere s'aggiunge alla polvere. La palla si alza, gira frenetica sopra le teste dei giocatori formanti la barriera, qualche d'uno salta, ma non possono ostacolare il suo volo. Dalle loro scomode posizioni riescono ad ammirare solo una porzione dello splendido arco che la palla disegna per aria diretta verso la porta. Mirko contrae il viso e digrigna i denti come se avesse visto la palla partire solo all'ultimo momento, intuendo in quella traiettoria ardita il giusto effetto per batterlo. Masticando chissà quali imprecazioni fa un passo alla sua sinistra e con un balzo è anch'egli per aria, volando come un uccello senz'ali. Per attimi rimangono entrambi sospesi per aria quasi si muovessero in una moviola in 3D; la palla conclude la sua traiettoria sotto l'incrocio dei pali, scivola accarezzando la rete prima di rimbalzare sul fondo. Anche Mirko finisce in fondo al sacco sospinto dalla testardaggine del suo volo, battuto da quel tiro beffardo, tra la polvere e il rammarico svanisce. Guardo con stupore la palla muoversi appena a ridosso della rete, mi volto per cercare il conforto dei compagni di squadra per quell'assurdità, ma incredibilmente nel campo non c'è più nessuno; sono spariti tutti.


Anche il perimetro del campo è deserto, le panchine sono vuote, spariti anche quei pochi che stavano lungo le rugginose reti di recinzione. Poco oltre scorgo le biciclette di Stefano e Walter, alcune macchine tra cui spicca una Tempra bianca che non ricordo di aver mai visto prima. Lo sguardo va verso il cancello d'ingresso giusto in tempo per vedere due figure entrare, incamminandosi verso di me. Con stupore scopro che uno è l'amico Cristian, indossa l'ormai immortale maglietta di Batistuta, regalatagli tanti anni prima. Da quando lavora in Germania e un poco ingrassato, ora la maglietta gli sta gonfia sulla pancia, non ha più quel fisico asciutto e agile di quando giocavamo ancora assieme. L'altro lo riconosco a fatica: è Luca! Ora porta gli occhiali scuri da fighetto e i capelli a spazzola, fa tintinnare le chiavi della macchina mentre mi si avvicina, sorridendo alla vecchia maniera da "Pokèmon", come direbbe Emiliano. Li abbraccio entrambi, con commozione, era da tanto tempo che non ci vedevamo. Cristian comincia a parlare nel suo solito modo infuocato, sbracciandosi a destra e a manca, battute a raffica con qualche parola di tedesco, per colorire ancora di più i suoi racconti di vita tedesca. Luca come sempre preferisce ascoltare al parlare, intervenendo solo per qualche battuta scherzosa. Attorno a noi tre non c'è più nessuno, ma ormai non me ne curo più, dopo tanto tempo ci siamo rincontrati ed é bello riuscire ancora ad emozionarsi per le tante storie da raccontare, per i mille ricordi condivisi sin da bambini, proprio lì, in quel grande campo della vita.

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