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Bambini a confronto

In un qualsiasi Ospedale africano, che funzioni, cosa purtroppo abbastanza rara, la maggior parte degli accessi agli ambulatori o dei ricoveri riguardano bambini e donne gravide.
Quando si entra in un Ospedale le persone che s’incontrano potrebbero far ricordare un asilo nido, tanto piccoli sono i bambini che affollano l'ingresso.
Questi bambini sono in braccio alle loro madri che, nella maggioranza dei casi, hanno una bella pancia prominente, segno di una nuova gravidanza. Accanto a loro almeno uno o due bambini più grandicelli, per lo più nudi, o, nel caso delle bambine, coperte da uno straccetto di gonnellina. Accovacciati e tranquilli stanno ai piedi della mamma, magri e con perenni moccoli al naso, come stalattiti, spesso circondati da una nuvola di mosche fastidiose, affamate di quelle dense secrezioni.
L'aspetto di questi bambini, in Karamoja, da 1 a 4 anni, è generalmente deprimente.
Nei primi sei mesi di vita, invece, sono belli, floridi, spesso con le rotondità tipiche di tutti i bambini del mondo. Dopo sei mesi di vita, mentre i bambini europei cominciano lo svezzamento, in altre parole imparano a mangiare le pappette, in aggiunta al biberon di latte o al più sano latte materno, in Karamoja, come in molte altre parti del sud del mondo, è solo il seno materno l'unica fonte di cibo fino ad oltre un anno e mezzo d’età. Ciò fa sì che l'aspetto del bambino cambi, diventando con il passare del tempo più magro e perdendo del tutto, o quasi, quel grasso e quelle pieghe caratteristiche del bambino florido, orgoglio di tutte le mamme europee.
Il bambino karimojong, tra i 6 mesi circa e i 3 o 4 anni, è chiaramente un bambino iponutrito e una delle caratteristiche più evidenti del suo comportamento è la scarsa propensione al movimento e al gioco, la rarità del sorriso.
Nel 1994 a Matany con Monica, mia moglie, c'erano anche i nostri primi tre bambini, Giulia di cinque anni, Angela di quattro e Daniele di due anni e mezzo.
I miei bambini tutti i giorni invadevano l'Ospedale e lo occupavano come cento e più bambini karamojong: correvano allegri, in gioco perenne, urlando, rincorrendosi felici come tutti i bambini floridi e sani del mondo. Loro tre erano così visibili nell'Ospedale, non perché bianchi di pelle, ma perché apparentemente scalmanati, che quasi mi vergognavo per la confusione che creavano in pochi secondi ora qua, ora là, mai fermi un attimo.
Un giorno decidemmo di portarli all'asilo locale, solo per una prova.
L'asilo era nuovo, grazie a generosi aiuti dall'Italia, proprio ben fatto; aveva tutto l'occorrente per un asilo di una qualsiasi città italiana: scivoli, altalene, giostrine, una stanza piena di giochi e attrezzature didattiche adatte ai bimbi di quell’età.
L'unica maestra dell'asilo stava seduta nella veranda e badava a 40 piccoli seduti in silenzio all'ombra. Raccontava loro una storia quando entrammo, e, come se, improvvisamente, si fossero aperte le gabbie di leoni incattiviti dalla prigionia, i miei bambini assalirono le giostrine, correndo come scalmanati, saltando e gridando.

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