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Quanto pus!

Una delle ricchezze più grandi che abbiamo noi europei e il mondo cosiddetto civilizzato è la disponibilità e l’accesso all'acqua potabile.
Quest'acqua straordinaria, di cui noi disponiamo in casa, è un sogno per la stragrande maggioranza degli abitanti della terra. Per molti del Nord del mondo però quest'acqua è diventata ormai da tanto tempo il minimo indispensabile; la vera ricchezza ora è avere la vasca con l’idromassaggio o la piscina.
Nel mondo povero, l'accesso all'acqua è davvero una grande ricchezza e ricordo bene che, nel 1989, il Presidente Ugandese Museveni annunciava alla tivù, tra i miglioramenti della nazione, in quell'anno, la costruzione di molte centinaia di nuovi pozzi per l'acqua, oltre l'incremento di produzione di bottiglie di Coca Cola e di birra, forse, più veri indici di benessere di quel Paese.
La Karamoja è la regione più povera ed arretrata dell’Uganda e assetata d’acqua per molti mesi dell'anno.
La popolazione locale costruisce, da secoli, piccole dighe per fermare l'acqua piovana, creando così dei laghetti, o meglio delle pozze, circondate nel tempo da grandi alberi. Quell'acqua fangosa rappresenta davvero una ricchezza per gli abitanti dei piccoli villaggi nei dintorni e per i loro animali.
Nel tempo, sono stati costruiti, in principio da parte degli europei, in seguito anche dal governo, dei pozzi vicino a questi piccoli bacini, nella speranza che solo l’acqua dei pozzi fosse utilizzata per bere. Quest'acqua, come la normale acqua potabile, è insapore ed incolore ma i karamojong preferiscono, finché ce n'è, il gusto carico dell’acqua della pozza, con tutte le conseguenze che si possono immaginare.
I lunghi mesi senza pioggia di questa sperduta regione, l'utilizzo di poca acqua sporca, il vento impetuoso di quei lunghi mesi aridi, la polvere che entra fin dentro le capanne, l'abbigliamento minimo della gente, il camminare a piedi nudi, la pochissima igiene personale, facilitano enormemente l'insorgere di infezioni.
Tra queste infezioni, non paragonabili in frequenza a nessun'altra parte d’Uganda, ci sono gli ascessi.
Ho diagnosticato, inciso o aspirato ascessi in tutte le parti del corpo.
Ogni pomeriggio nell'ambulatorio del reparto, armato di bisturi, eseguivo diversi interventi per svuotare queste raccolte purulente.
Nella maggioranza dei casi che osservavo, per la capacità di sopportazione di questa gente, gli ascessi duravano da così tanto tempo e diventavano talmente enormi che il pus che rimuovevo riempiva non solo una, ma, più spesso, due o più bacinelle reniformi.
L’aria fetida dell’ambulatorio era così nauseante che uscivo tra un intervento e l'altro per prendere una boccata d'aria.
Nelle donne gli ascessi più frequenti, che incidevo, erano causati da mastiti durante i primi mesi dell'allattamento. Le caverne che lasciavo sul seno erano enormi e spesso, per permettere l'allattamento normale, troppo prezioso per perderlo, eseguivo due medicazioni al giorno.

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