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Il vecchio pazzo

In una locanda non lontana dal porto arrivavano voci di marinai, mozzi e vecchi bucanieri che attraccavano la loro nave alle banchine, erano per lo più navi mercantili. Le loro stive erano piene di ogni genere di mercanzie: caffè, tè, zucchero, cacao, farina, tabacco, liquori c’era di tutto.
Un uomo dalle nere sopracciglia più nere del carbone guardava dalla finestra della locanda le navi che erano arrivate. Con un sorriso tetro, era assorto in strani visioni ricordi del passato rievocati forse dal rumore che facevano i marinai scaricando la merce o forse da quelle dolci melodie che cantavano scaricando delle grandi casse di legno. Arrivavano ogni due mesi scaricavano la merce si fermavano due o tre giorni e poi ripartivano.
“È una bella vita quella e Bill” diceva l’uomo alla finestra, inalando e riempiendosi i polmoni del dolce profumo del mare. “Certo” rispose il barista lucidando il bancone in attesa dei nuovi clienti. “Pagheresti per stare in mezzo a quei ragazzi, tra poco verranno qui si prenderanno una bella sbronza, qualche ragazza per compagnia e racconteranno storie tristi, storie allegre e ci sarà qualche scazzottata”.
Già proprio dei bravi ragazzi si proprio così, le capiva queste cose era stato uno di loro finché non gli capitò quella disgrazia. “Ecco che arrivano Monks, i soliti gradassi orgogliosi e pieni di arie adesso si ubriacheranno si ingiurieranno e mi sfasceranno il locale”. Monks rise poi si guardò il braccio e il suo volto si fece tetro, era privo della mano.
Tutti lo conoscevano e lo evitavano lo chiamavano vecchio pazzo. Dicevano che era un tipo taciturno che aveva il diavolo in corpo, si dicevano proprio così, quel diavolo di uno storpio, ma nessuno osava offenderlo perché avevano tutti una fottuta paura di lui bastava solo il suo sguardo a terrorizzarli.
Si raccontavano storie strane su di lui dicevano che era stato un marinaio in gamba e di buon cuore, era anche un bell’uomo dicevano che nessuna donna gli resisteva. Poi la perdita della mano l’aveva cambiato era diventato violento, pericoloso, qualcuno aveva affermato che se l’aveva amputata lui la mano.
Tutto accadde quando un’ufficiale ubriaco stava molestando una delle sue amichette e lui con una mano sola lo aveva strangolato, sapeva che sarebbe stato processato e scappò. Vagabondava di città in città, lavorava continuamente cercava ma invano di dimenticare. Era costretto dopo due o tre mesi a trasferirsi e a cercarsi un altro lavoro per non essere preso e messo in prigione.
La notte dormiva poco, si svegliava di soprassalto madido di sudore e tutto ansimante. Dormiva pochissimo dalle tre alle quattro ore poi si svegliava assalito da forti incubi, riviveva sempre la stessa scena come se fosse la pellicola di un film. Si chiedeva quanto avrebbe resistito ancora prima di impazzire.
Voleva costituirsi ma qualcosa lo tratteneva. Quella mano che aveva strangolato quell’uomo lo tormentava, come se non facesse parte del suo corpo quando si svegliava all’improvviso notava sempre la mano stretta a pugno come una morsa. Una notte preso da un attacco di follia si amputò la mano.
Dopo questo gesto folle stranamente si sentì bene la coscienza era tornata pulita. Gli incubi erano finalmente finiti e dopo qualche mese si costituì. Fu giudicato è condannato a vent’anni di carcere per omicidio. Quando ebbe scontato la pena riuscì ad avere grazie a qualche amico la pensione per invalidità. Ed ora trascorreva le giornate vagabondando, oppure in quella taverna vicino al porto ma finalmente era in pace con se stesso.

(1999)

 

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