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Indignazione

- Mio nonno ti portava fuori a passeggiare, ogni volta che la nonna cucinava. Eri come un gioco per loro...
Luana non poteva più sentire. Un' onda di rabbia e indignazione si fece strada dal suo petto. Senti stringere il cuore. Il respiro diventò affannoso. Lo stridulo fischio dei bronchi li rimbombò nelle orecchie assordandola. I battiti del cuore, come un tamburo pazzo li spaccava i capillari del sangue... Senti il dolore che echeggiava nei angoli più lontani dell'anima. Quella vecchia tortura, quel brutto sentimento che era indesiderato fin dall'infanzia, perché era soltanto un errore che aveva lasciato delle conseguenze irreparabili nella vita di sua madre. E questo l'aveva pagato giorno dopo giorno, ogni instante quando si trovava vicino a lei. Essere un sbaglio, indegna di essere amata, perché era stata concepita in un momento e in un tempo inatteso.
- Dormivano quando dormivi tu, si svegliavano quando ti svegliavi tu, giocavano quando giocavi tu, eri il loro giocatolo...
Giocatolo!? Secondo lei ero solo un giocatolo, non una bambina che aveva tutte le ragioni del mondo per essere amata e coccolata come ogni bambino. E quei cari anziani, che l'avevano amata e sfortunatamente erano morti tropo presto tanto che lei quasi non li ricordava più... Secondo lei, per loro era stata soltanto un giocatolo... Il dolore aumentò, doveva scoppiare, altrimenti sarebbe affogata in quel sofferente oceano di rabbia. Voleva dirle, che cosa ne capiva lei dei giocatoli, o meglio cosa ne sapeva lei dell'amore, quando non era stata capace di amare sua figlia, di saltare la soglia di uno sbaglio di un embrione concepito in una notte di passione. Le voleva urlare in faccia, perché era stata, e rimarrà una persona egoista fino alla fine dei suoi giorni, un essere che non era stata capace di amare la sua creatura... Chiuse gli occhi e si trovò in un deserto di buio assordante. Meglio così. Non guardava e non ascoltava. Non voleva ne vedere ne sentire. Lasciala parlare, parlare e sentire se stessa in quel malato egoismo che le aveva avvelenato la vita ogni giorno... ogni volta che si era impegnata a strapparle anche un solo sorriso, un filo di amore nei suoi occhi, e di non sentirsi un essere povera e inutile, venuta per sbaglio in questo mondo. Un timido sorriso spacco il buio e dopo di che un altro. La risata gioiosa di una bambina ruppe il profondo silenzio. Quattro mani rugose si allungavano, labbra calorose... e occhi pieni di amore che la guardavano con ammirazione... e quella risata gioiosa della bambina. Mi hanno amata, mormoro lei con la voce dell'anima, non sono stata un giocatolo, sono stato il loro ultimo amore e gioia, quella più sublime, la luce dei giorni della loro vecchiaia.
- Parlo con te! Perché non mi rispondi?
- Ti prego! Cambia discorso!
Luana si sforzò a sorridere. Il dolore si era placato, i polmoni cominciavano a riempirsi d'aria. Guardò i capelli bianchi della madre. Ormai lei è sulla soglia della vecchiaia, pensò. Non posso dirle quello che penso anche se se lo merita. Alla fine dei conti, non cambierebbe niente, non può restituirmi i giorni dell'infanzia e della gioventù perseguitata dal suo egoismo. In ogni modo non può cambiare nemmeno lei. Così era e così rimarrà... comunque è sempre mia madre ed io lo amo nonostante ciò...

 

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1 commenti:

  • Raffaele Arena il 08/09/2011 01:36
    trovo questo racconto forse autobiografico, dove la pieta' finale nei confronti della madre supera qualsiasi cattiveria detta da un cuore pieno di invidia di una banbina nata perche' lo ha deciso, frutto di un amore eterno e capace di regalare quintali di umanita' talvolta anche a chi non la merita. Compliment!

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