“Afër-dita” – è vicino il giorno – sussurrò nel totale silenzio il giovane indoeuropeo alla gente di un villaggio di montagna dell’attuale Albania, riunita per difendere la propria libertà dando battaglia, all’alba. E indicava il pianeta splendente, la luce più intensa dopo quella notte senza luna.
Il nome di Afërdita si estese a tutta l’area del Mediterraneo, ai popoli liberi e a quelli soggiogati. Un giorno un pescatore del Peloponneso vide Afërdita brillare intensamente su un ventaglio di schiuma di mare, mentre il sole si apprestava a sorgere dal lato opposto, sulla terra. Aveva sempre vissuto lì, in quel lembo di terra e di mare
(Nel mio paese c’era un vedovo con molto contegno, che viveva con la sua piccina. Avevano un cognome altisonante: De Judicibus. La gente del paese lo chiamò “Lisc’e’buss”, perché ivi il tressette era compreso, mentre il latino no. La bimba, ‘Silvanija e Lishebuss-it” crebbe presto, si sposò e svanì via).
Fu così che il pescatore del Peloponneso gridò: “Afròs”, - spuma – a quella luce dal colore della schiuma che danzava sopra l'orizzonte.
Ieri un professore ha detto: Afrodite da Afròs, spuma, nata dalla spuma. Svanita in afrodisiaco afrore fra le mani dei presenti.
È quasi l’alba. Sei incantevole Afërdita. Sdraiato sul terrazzo, ti ho ammirato e ti ho aspettato e ho sofferto a lungo.
Apro il mio sorriso per lasciarti entrare.