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Damon Gallagher in La notte del Diavolo

Questa storiella ebbe luogo che ero ancora giovane e stavo per terminare il periodo adolescenziale.
Erano le sei passate.
Il sole dolcemente posato sulle montagne, si specchiava per l’ultima volta nel ruscello che costeggiava la strada, mentre il verso di un corvo portava il mio sguardo all’orizzonte.
Era autunno. Il forte vento spogliava le grandi querce dalle vecchie foglie, che rotolavano nell’aria disegnando fantasmi, cadevano in strada e subito afferrate dal vento volavano lontano.
La serata non molto movimentata passò lenta, scandita da risate estranee in quella festa popolare in piazza, solo un paio di occhi scuri riaccesero il mio interesse.
Guardai l’orologio ed oramai si era fatto tardi, il mio amico era andato via, condannandomi ad un rientro forzato a piedi.
Ancora un paio di bicchieri di vino, tanto a sbandare a piedi non si rischiava niente.
Faceva abbastanza freddo, la punta del naso era ben gelata e mi strofinavo le mani per aumentare la temperatura.
Non era poi così buio, infatti la luna piena illuminava ampliamente quella notte e proiettava sull’asfalto sinistre ombre.
Non facevo troppo caso a quello che accadeva intorno a me, avevo ancora in testa quegli occhi.
L’ululato dei lupi alla luna, pensò a farmi tornare alla realtà.
Una densa nebbia iniziava ad alzarsi dalle campagne e copriva i campi e la strada, rendendo i contorni delle cose sempre meno definiti.
La luna stava per essere oscurata dalle nubi e l’amministrazione comunale ancora non aveva provveduto a riparare l’illuminazione, guasta da più di un anno.
Come se già tutto questo non rendesse abbastanza difficoltoso il mio ritorno a casa, dovevo anche schivare le macchine che sfrecciavano nella notte, con la nebbia che rendeva difficoltoso accorgersi di un pedone sul ciglio della strada.
Nessuno che mi riconoscesse per darmi un passaggio.
Già fino a quel momento non era certo piacevole, ma un altro pensiero mi assaliva il cervello.
Dover passare davanti al cimitero.
Di giorno per me era una cosa normale per raggiungere il paese, ma di notte era un’altra cosa e non l’avevo mai fatto.
Ero sicuro che non ci sarebbe stato nessun pericolo, tanto erano tutti morti.
Con il crescere ebbi modo di ricredermi e mi fidai sempre di meno delle persone, soprattutto se erano morte.
Cercai di non pensarci e mi girai fischiettando per calmarmi, anche se i miei occhi erano attratti come calamite da quei lumini che sembravano come ballare, sfuocati in lontananza dalla nebbia.
L’adrenalina scorreva a fiumi e dal passo veloce iniziai senza accorgermi a correre.
Ero appena arrivato al cancello e pensavo proprio di avercela fatta, quando un urlo di dolore straziante squarciò la notte, squarciò il silenzio e squarciò pure me.

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