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Il delitto

Costante Pes era in fuga da diversi giorni, tra dirupi scoscesi, monti, anfratti, dormiva dove capitava e mai bene.
La bisaccia di pelle ormai vuota, mangiava verdure raccolte dagli orti, frutta dagli alberi e beveva dalle fonti.
I piedi gonfi, doloranti, non toglieva le scarpe neppure per dormire: la paura, l'angoscia era la sua compagna.
Guardando le mani scorticate dai rovi pensava quasi farneticante:
"Ecco cola il sangue... il mio sangue... e altro sangue..."
"Nessuno può cagionare la morte di un uomo" aveva letto nel codice di diritto penale.
Nelle lunghe notti ancestrali, nelle giornate interminabili dietro il gregge nelle valli di Tiscali aveva letto Dante, tutta la Bibbia, l'enciclopedia medica e il diritto penale.
Aveva letto tutti i cantori sardi e sapeva cantare, cantava da solo.
Non cantava più... farneticava:
"ancora sangue... sangue..."
Lo assaliva un'angoscia, un dolore, un tormento mai provati prima.
Aveva dolori in tutto il corpo, la testa stretta in una morsa, era in preda a un senso di vertigine, di nausea, barcollava:
"L'inferno... e se l'inferno esistesse davvero... ma che dico, no, non sono credente, ma non sono i non credenti ad annullare l'inferno... loro non credono... ma può bastare?... ma poi..."
Ecco! Era quello l'inferno, quell'angoscia irrefrenabile, quella paura, quella prostrazione fisica... quel vuoto...
Era quello l'inferno... lui l'aveva visto in quel cranio spappolato da un macigno, aveva visto schizzare il cervello... in quel cervello erano racchiuse ed impresse migliaia di nozioni di medicina... gli affetti più cari, la preghiera...
Prima di morire si era messo in ginocchio ed invocava la Madonna...
"Maledetta quella battuta di caccia..." pensava.
Quella mattina il medico attendeva lì in quel viottolo, come altre volte.
Loro conoscevano ogni dettaglio.
Erano ben informati da quel giuda di Tore Pais, il fattore delle sue terre... quel GIUDA!!!
Il medico attendeva l'avvocato Porru compagno di bevute e di battute di caccia... ma erano arrivati loro, l'avevano tramortito, bendato, caricato nel bagagliaio della sua stessa macchina e trasportato per chilometri fino al nuraghe.
Avevano chiuso l'entrata e l'avevano lasciato lì.
A turno lo vegliavano, giorno e notte lo vegliavano.
Il medico pregava... era in quella gabbia e vedeva solo due secchi: quello dei cibi e quello degli escrementi foderato da una busta di plastica nera, che poi richiudeva con le sue mani... ogni giorno li vedeva scendere e risalire, unici compagni di sopravvivenza.
Aveva chiesto dei libri... erano riusciti a procurarne uno sulle malattie della vite, sgualcito, ingiallito e odorante di zolfo.
Lo leggeva e rileggeva, sapeva tutto sulla peronospora, ripeteva la lezione a voce alta e ogni tanto si fermava e pregava supplicando il Cielo.
Quella preghiera era per Costante un tormento, apriva l'abisso della sua anima primigenia.

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