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Un applauso scrosciante

Avrebbe voluto anche lui un applauso scrosciante. Di quegli applausi dedicati e straordinari. Di quelli che spellano le mani a chi li offre e riempie le orecchie di chi li riceve tanto da non voler smettere d'ascoltarli e non sentirli cessare.
E lui nonostante i suoi anni e i viaggi percorsi e chissà quali emozioni, vittorie e sconfitte, non li aveva mai ricevuti neppure una volta, neppure una stramaledettissima unica volta.
Magari quell'unica volta, ai tempi d'oro, quando in piedi sopra la cattedra all'università urlava come un ossesso per chissà quali motivi e smuoveva emozioni.
Oppure quell'altra volta che, da bimbo, era uscito indenne da una caduta improvvisa tra gli scogli finendo in una pozza d'acqua e ricomparendo qualche metro oltre, in mare aperto un po' più in là e la felicità nei presenti aveva fatto esplodere l'applauso. Ma non erano la stessa cosa.
Il primo era un applauso di claque, qualcosa di mansueto che avvolge i partecipanti alla stessa minestra e li fa sentire accomodati alla stessa tavola. Il secondo di chi improvvisamente si sente sollevato da una tristezza che poteva sconvolgere in un solo istante e per infiniti istanti a venire.
Avrebbe desiderato un applauso scrosciante di un pubblico ostile, sino a diventarne l'amico intimo e profondo, che contro tutto e tutti aveva dimostrato il talento e quei tutti avevano dovuto riconoscere in mezzo alla contrarietà della sorte avversa. Anche quel mattino non arrivò l'applauso.
In ufficio la mattina sembrava come tante altre. Un passivo ingresso di saluti sempre identicamente uguali a quelli del giorno prima e a quelli che sarebbero stati identici il giorno dopo.
Era entrato in ufficio e aveva acceso il computer automaticamente ancor prima di levarsi la giacca ed appenderla all'appendiabiti a stelo che si trovava vicino alla finestra.
Quel mattino intorno alle dieci lo avrebbero chiamato al telefono interno e gli avrebbero chiesto di recarsi nell'ufficio di uno dei titolari.
Si era alzato dopo aver emesso un va bene alla cornetta posandola dove l'aveva trovata prima di rispondere e sapeva che quel momento sarebbe dovuto arrivare e forse l'aveva anche atteso. Comunque si dava il caso che fosse avvenuto come doveva accadere. Glielo avevano detto tra le righe di un discorso.
"Sai che sei nella lista?"
"Ah si?" Aveva risposto, come non dando peso alla cosa.
Eppure sapeva che una voce di popolo vale tanto quanto quella di Dio e cominciò a pensare cosa avrebbe dovuto dire il giorno in cui fosse stato chiamato.
E ci aveva pensato molto, anzi moltissimo. Probabilmente era necessario alzare il prezzo e vender cara la pelle oppure si sarebbe ridotto il tutto ad essere un normale passaggio di informazioni considerandoti da quel momento già fuori dell'azienda.
Quel mattino mentre percorreva il corridoio per bussare alla porta in fondo, prima della sala riunioni, non fece neppure mente locale. Arrivò davanti al vetro satinato, bussò quei tre colpetti di chi già gira la maniglia per aprire, sapendo d'essere atteso senza neppure attendere il permesso e all'interno della stanza dopo aver salutato si sedette sull'unica poltrona disponibile tra i cenni dei presenti.

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6 commenti:

  • Red Rose il 29/08/2010 13:57
    Non c'è che dire: questo racconto rispecchia una realtà che sta distruggendo molti di noi.
  • Anonimo il 19/02/2010 15:41
    Non leggo molto i racconti, come ho detto anche ad un altro autore in questo sito, ma se li leggo è perchè vi è qualcosa in essi ( nel tuo caso, quella limpida prosa schietta che lascia trapelare vissuti ancora accesi sotto la cenere) che mi colpisce davvero, specie se quello di cui parli è una realtà che molti di noi - ahimè- hanno già sperimentato o rischieranno di sperimentare. Lettura piaciuta; un caro saluto.
  • fabio martini il 31/01/2010 12:50
    sai che puo' essere verissimo quello che hai detto roberto? non ci avevo mai pensato... ci riflettero'. grazie. fm
  • Anonimo il 31/01/2010 12:40
    Ciao fabio, penso che sia scritto davvero bene, anche se non è il mo genere. Sembra che descrivi una tua esperienza personale, il che da un lato trasmette una certa passione nel racconto, dall'altro non gli da il giusto distacco tra narratore e protagonista.
  • Amorina Rojo il 31/01/2010 12:30
    ma ch'è successo fabio?... un commento coi fiocchi del nostro Monstrum Ugo ed io m'aspettavo un cinque stelle... e chi gioca al ribasso? 'un è giocatore di poker di sucuro... io ti riporto su la media... gran racconto.. c'è pathos e fegathos da vendere... si respira in questo racconto autobiografico la rassegnazione rabbiosa di un uomo che s'illudeva contasse qualcosa la dedizione al lavoro... ma fabio, sarai miha tè il grullo che pensava quelle cose... bacino e 5 stelle... a chi abbassa, attento che 'un t'abbassi i tù pantaloni
  • Ugo Mastrogiovanni il 31/01/2010 11:39
    Credo si tratti proprio di una relazione autobiografica. Lo dico perché, oltre che con la penna, in questo caso, una passiva ed esperta esecutrice di ordini, quello che l'impetuoso autore chiama racconto è scritto con la passione del cuore e del suo cervello. Elettrizzante fin dall'inizio, spontanea nella precisione e nei dettagli, diventa avvincente man mano che si legge. La diligenza usata nel porgere, la successione rapida di un evento non intuibile se non quasi alla fine, suscita un particolare interesse nel lettore che fa suo tutto l'argomento della narrazione. A tratti nervoso, in altri rassegnato, arrendevole quando analizza le sorti della sua azienda, con estrema maestria descrittiva e con velata amarezza, l'autore riesce a riscattare garbatamente il suo protagonista: gli dà anche la forza di trovare considerazione e tristezza per la sorte di quella che per tanti anni era stata la sua seconda casa, veicolo di crescita e della sua realizzazione. Un lavoro veramente gradito, degno di tutta la mia stima. Attenzione a quel refuso "di claque".

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