Che cavolo di nome gli avevano dato,
pensò Casimiro, mentre lo conducevano al macello clandestino.
Forse non lo stavano portando allo squartamento,
ma a fare solo un giro turistico dei dintorni;
si congratulò con se stesso per riuscire, anche in certi momenti, a mantenere un certo umorismo.
Era un cavallo intelligente,
anche se non c'erano odore acre di sangue e carcasse,
aveva capito cosa lo attendesse.
Guardò stancamente scorrere le forme accanto,
tutto attorno sembrava indifferente,
il vecchio padrone, portato in sella per tanti anni, non era neanche venuto.
Meglio così, sarebbe stata una faticaccia in più tirargli una zoccolata.
Chissà se qualcuno si chiede cosa stia pensando in questo momento,
magari si aspettano pensieri di paura selvaggia,
qualche oscuro presentimento di morte che hanno gli animali, i cavalli in particolare,
c'è sempre qualcuno pronto a regalare la sua pietà.
E mentre formulava tali pensieri, non si accorse di avere iniziato a correre.
Come ai vecchi tempi, quando gareggiava con gli altri puledri e la vecchiaia era un'idea inconcepibile.
Più che dalle facce sorprese delle persone accanto,
capì cosa stava facendo dal respiro affannoso e il cuore che sembrava scoppiare.
Uno strano modo di morire pensò,
alzò il muso,
catturando per un istante tutto ciò che stava andandosene.
L'ultima cosa fu il vento.