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Il lavavetri
È successo da dieci mesi. Non ho ancora capito cosa è successo di preciso.
Conosco bene l'esito: al mio migliore amico non importa più nulla di me.
Da un giorno all'altro, improvvisamente, ho smesso di esistere.
Un'entità non umana, come un lavavetri straniero ad un semaforo.
Fastidioso quando l'incontri ma poi ti dimentichi e ti dedichi ad altro,
a cose più fastidiose ma italiane, stanziali e, quasi mai, più pulite.
Non ha più risposto alle mie telefonate.
Importuno come un cocopro da 5 euro l'ora che chiama da un call center.
Che neanche tiri su il telefono. Hai tante cose importanti da fare.
E non vuoi cambiare gestore.
Visti ci siamo visti. Poche volte, per poco tempo.
Io l'ho visto, lui ha visto il lavavetri.
Io aspettavo qualcosa, una parola, un cenno, un segno qualsiasi.
Niente, sorrisi tirati, movimenti frettolosi, imbarazzo.
Qualcosa ha detto. Poco. Al lavavetri. Frasi spezzate. Reticenze. Approssimazioni.
E soprattutto non toccare il mio vetro.
Non ho capito. Non ho voluto capire. Mi pareva e mi pare incomprensibile.
Non riesco a crederci. È incredibile. Proprio a me. Proprio lui.
Mi sarei ribellato con tutte le mie forze, avrei inveito con violenza contro chiunque avesse anche solo ipotizzato una situazione mille volte meno insensata di questa. Non a me. Non da lui.
Lui no, io mi sarei gettato nel fuoco, e lui per me.
Perché è successo? Non ho voglia di pensarci. Non posso credere che sia stato quell'episodio. Oppure qualcosa che da prima covava sotto la cenere. Se a distanza di poco tempo appaiono poco credibili o futili le cause che scatenano le guerre, incredibili e futili se pensiamo che siamo soprattutto dei primati onnivori inseriti in una biosfera che abbiamo saccheggiato che neanche gli Unni, cosa sarà mai successo di così tremendo tra due persone che si volevano così bene? Che se lo sono pure detto, quanto si volevano bene.
Non ho prodotto e imboscato armi di distruzione di massa. Non sono Saddam Hussein, nemmeno Alì il chimico, non sono neanche irakeno. Non ho trafficato con la Enron, non ho truffato sulle elezioni, non gioco col cavallo a dondolo, non sono George Dabbliù. Non ho neanche tre televisioni. Neanche la guardo la televisione. Non ho nemmeno corso da solo per il gusto di perdere e di fare secchi i cuginetti piccoli, sciocchi, litigiosi ed estremisti. Non porto la croce celtica, ecc.
Il motivo è una stronzata qualsiasi. O meglio lo è l'episodio che ha determinato il cambiamento di status. Da lì è venuto tutto il resto.
Nessuna discussione. Decisione unilaterale. Non mia. Non si può fare altrimenti.
E io? Fattene una ragione. D'altra parte in quel momento lì, non esistevo già più.
Ero lì con la mia spugna sporca in mano e il mio secchio. E non si è più fermato. Sei mesi di semaforo verde. Che a dirla così sembra una cosa positiva. Non se sei un lavavetri.
Non si è più fermato. Nei primi tempi rallentava. Gettava qualche monetina di quelle gialle. Però niente lavaggio. Poi passava sempre più in fretta. Monetine rosse, da 5 centesimi, da 2, da 1.
Poi niente. Non passa quasi più. Le poche volte che passa accelera, altro che rallentare. Ma più spesso cambia strada. Qualunque strada è meglio di quella dove c'è il mio semaforo.
Questo proprio non riesco a digerirlo. Si ferma in tutti i semafori, so che lo fa sempre di malavoglia, ma si ferma. Sorride ai paki, parla coi romeni, dispensa sigarette, ipocrisia, monetine.
Cos'avranno gli altri semafori che il mio non ha? O piuttosto cos'ha il mio semaforo che non va? Questo lo so. Il mio semaforo ha me. E io non vado più bene.
C'è stato un momento di passaggio. Da quando ha smesso di rallentare a quando ha cambiato strada. È stato proprio quando gli ho scritto un biglietto per dirgli che non mi andava che non si fermasse mai. Non mi ha risposto. Anzi ha più che risposto. Ha smesso di passare.
Questo non è il racconto di uno che è stato condannato all'estinzione dal suo migliore amico.
Non saprei cosa dire.
Non ho fatto ricerche prima. Nessuno le fa.
Non puoi mica andare in giro a chiedere se quello lì può andar bene come tuo migliore amico.
Non puoi nemmeno indire gare d'appalto. Costruire modalità di accreditamento.
Ti fidi. Pensi sia per sempre. Perché non dovrebbe essere così? Va tutto bene, per molto tempo.
Poi all'entusiasmo si sostituisce qualcosa di meno frizzante ma più solido. Quando ci sono ombre non hanno peso. Sembra non abbiano peso. Non ti poni mai il tema della fine. Non credi possa succedere. Sapevo che le amicizie possono lentamente svanire. Col tempo, con la distanza, è la vita. Con litigi pesanti, per soldi, per donne, per ideologie.
Ma noi no, cosa c'entravamo con quelle cose lì. Noi saremmo durati per sempre.
Noi eravamo noi.
No, non è l'estinto-a-causa-del-suo-migliore-amico-blues. No.
È che sono dieci mesi che continuo a non capirci nulla. E che non ci sto bene.
Dicono che la scrittura può lenire gli interni dolori dello scrivente. Scrittura come terapia. Scrivi che ti passa. E più hai sofferto, più scriverai bene.
Quindi mi accingo a scrivere. Sofferto, ho sofferto. Neanche poco. Ci si rimane male. E si resta soli. Perché prima c'era un luogo che apparteneva solo a noi due. Un luogo comune? No, un luogo nostro. Poi questo luogo non c'è più. Resta un vuoto. Enorme perché il luogo era enorme.
E non ci puoi mettere qualcosa d'altro, perché quel luogo lì lo facevamo noi due. Solo che uno se n'è andato. E la grandezza del luogo diventa uno spazio smisurato pieno di niente. Si, certo i ricordi. Non servono a niente i ricordi. La nostalgia o la malinconia presuppongono una serie di atti che dovevano succedere e di parole che dovevano essere dette tra il quando va tutto bene e il quando non sono più esistito. Niente di tutto questo...
Arriva una macchina, non è lui, provo a vedere se posso lavare il vetro.
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