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L'oroaldo
1 SUCCESSI CAPITAI
"Col Razionarsi degli avvieni,
solcare il tempesto mar. Il solito di me esprimere.
Quivi giunsi ad libera traccia,
l'il tema della mi riscontranza.
E quivi giunsi ad libera pro traccia, nell'Arcano loco, in misure costanti, e tecnico ridenne al mio cospetto.
Co'tant'anni passai e in molti giusti non capii,
ma se fossi in loco chiaro adesso no sarei al libero volo"
Si disse chiar lindo Oroaldo, e si ritorse al suo mattutin opèro e pensiero.
Ritenne il sole nell'alto blu ciel e dì quattro ore passarono.
"Col Buongiorno ti Saluta" lo disse ill'omo conoscente all'Oroaldo "Col Suo" risposensi.
Voltò, andò alla Materna Casa piacevole, calda e turbolenta patria de' ricordi.
Oroaldo no avea c'alcun altro al suo stesso e al lavoro era un mestiero gran ben penso.
Alto, giovane e snello al paesano apparia, e poi venn reputo gentile, caro e bello.
Quan'illo passea per le vie nel borgo, al buongiorno o alla sera, tutto lo salutavan giulivi;
felici nel vederlo poichè da ragazz'or fu sempre.
All'alba mattutina del su operato, esso era solito, prima del sù opèro, andar in cammino al sentiero,
cosa a lui grata e gioviale.
Di Notte spesso, nell'ultimo tempo, sonnava l'eguale:
un giovine passante lì chiedente a lui consigli e opèri;
ma di notte in notte, in turbolento pensero, ello si svegliea in fulminea maniera,
col sembrasi che lui fè un sonno orrendo.
Al Giorno, sempre, tornava al su lavoro, dal sole mattutin al pomeridiano a quello serale;
di ciò, libera via ne' avea solo i' du giorni, il sesto e l' settimo,
in cui solitava riposante al parco verde smeraldo flora di cui ne avea il ricordo della madre.
2RICORDI
Giuliva orsù felice la donna matura, dalla rossa chioma e linda pelle caucasiana.
Portea l'figli in quel loco orsempre primaverile,
ove il verde non è comune ma smeraldo,
ove il color fior di rosa è rubino e sangue,
ove l'acque del laghetto eran del zaffir color.
A volte udii cherubi cantar felici nei giorni ventosi:
lì eolo, in brezza felice, era solito accarezzare le guance dei bimbi.
Essi, figli della donna, eran due fieri di marte, in cui la brezza eolesca n'è avea dato d'un di venereo aspetto.
Coll'anni passarono e presto, i bimbi vennero adolesci e poi uomini;
la rossa chioma materna si spense e tosto dopo un figlio, il primògene.
Esso dalla terrea fronda, dall'incarnato roseo, era il fratello maggiore.
Co' su occhi celesti avea stregato una donna per volere paterno, e poi sposata.
Di notte però tornava ansante e felice dal fratello giovine e con lui erano soliti procintarsi in lochi amorevoli e deliziosi.
Spesso tornavano alla casa minore e lì davano sfogo alla loro accomunazione: l'amore.
Essi in oscurità velata si amavano,
no com si infatuano i giovincelli al passo,
ma come amanti e presto fra loro sposi.
Erano felici e a ritorno dell'alba si distaccavano, come strappansi pelli proprie.
il Fratello Maggiore in sventura morse e Oroaldo rimase solo;
non si innamorò più d'alcun sesso, ma capii che il suo amava lo stesso.
Una mattina, all'opèro, venne un garbato giovincello,
ne aveva l'aspetto d'una beltà rara e abbandonata, forse persa;
i su occhi topazei e i su capelli onicei;
la sua pelle quarza e labbra carnose rubinee.
Veniva col passo incerto alla direzione della su scrittoia.
Oroaldo impegno alla macchina,
si distaccò d'essa e salunse il giovine
"Bondì. Posso aiutarla?".
Il giovine avea aria corta, ma presto chiese
"Al sedensi posso?" e Oroaldo "Certo!" col sorriso smaglio.
Aggiunse "Dicami!" e l'giovine "mio nome è Fierbenso, chiedo opèro!" afferme il giovine con indole domandesca.
"Certo. allo sguardo andrò!" disse Oroaldo.
Si alzò. Il giovine vide un mascolino ergersi, magro, snello.
La chioma bionda splendeva e gli occhi azzurri rifleggevan l'anima.
Il giovine sbalordisse alla beltà suprema che ll'Iddio diffondea in quell'umile aula.
Torse dopo alche poc'ora e si sedette con la sua immensa grazia,
come se Venere, nelle piccole gite al parco con la madre, avesse abbuonato le peculiarità di Marte, donandone beltà e grazia suprema ed eterna.
Il giovine, estasiato dalla figura porsi,
si riprese in realtà e ritorse a pensare e vedere con nebbia la luce che sentiva parlare.
"Ebbene" cominque l'Oroaldo "Se il lui vuole, può tosto principiare. Vuole?"
ello chiese con eleganza e raffinata delizia come se il'lui fosse il Dio dei Piaceri.
Il Fierbenso imise un "si" giusto e proporzionato alla timidezza che avea in corpo in ell'istante.
3 / GIORNI SUBSENQUI
Dal momento cominque il giovine a guardarlo come icona sacra.
"Tosto, il lui, stia con me" disse l'Oroaldo, poi aggiunse deliziosamente una questione "Nel proposimento, se posso del "tu" darle?";
il giovine dalla chioma ebanica rispose come trasecolo "Certo e Assicuro lei e solo lei può del "me" darmi".
Ed ecco, l'Oroaldo disse a Fierbenso "Alzati Fierbenso, ti fò visitae il lòcàle".
All'ordine falso il Fierbenso si diede nell'alzarsi e si procinse al cammino con l'Oroaldo.
Ne avea d'immaginato d'altro.
Benchè fossero due ragazzi della giovine età, ormai adulti,
appariano stravaganti e in contempo d'esilarante sublimia:
l'Oroaldo, alto, biondo e snello camminea avanti nel guidar il giovine;
il Fierbenso dietro ad esso, di media statura e nerae chioma.
Passarono nell'insieme tre ore in discùssione e in Fierbenso visitante.
Passò quindi il primo di Fierbenso giorno
ed entrambi salutanti a loro nei propri alloggi anderono.
sì impiegarono le ore del sole in cielo e vennero le ore della Luna nell'empireo.
Lì Fierbenso, al suo asilo si arbitrò nell'uscire e si diresse in un vano a lui gradito e frequentato.
Entrò.
Il Locale gremìto di razze diverse perea un ciel imbandito da meteoriti cadenti,
pe' le luminose raggia e colori fuochensi.
Si in là, verso il banco per bevandarsi, andò.
Il Locale gremito di razze diverse, all'infine d'apparenenza ne avea poca,
poichè lì si vezzeggiava danzando l'amore corporeo e all'indetto anche il "pretto affetto".
La musica era canto per le orecchie del ritmo che parea esso una figura danzante vivante.
Prese, ordinando, una bevanda fresca, quel Fierbenso:
dei vestiti erano a lui nell'indossato modello,
si vedeva a lui un corpo statuo che fingeva rubato da lui ad un grecheo statuo.
I suoi capelli onicei, erano alcun tracciati e la sua pelle era tinta com un quadro:
il Da Vinci l'aveva dipinto ill'ragazzo.
Sembrava divino con un po di poca umana forma.
Si sedette nell'attesa di un giovan'lui chiensì di danzare; ma no venne.
Finì di bevandarsi e sì alzandosi volse:
vide una ragazza alta bionda chioma, vestita a sfarzo. Ella si girò.
Fierbeno orpreso immedio a lei si diresse da cotesta femminea figurà in cercha di domande del loco provenzo.
Ella si torse al nuovo e sì rimase a guardar Fierbenso, che veggeva, quasi scrutasse.
Ello si camminò a lei, e lei a lui.
Poi parlò, e disse "Piacere femmèa, il mio appello è Fierbenso, lei. Il suo?"
esitò un attimo "Lei già mi conosce, solo lei può darmi del tu! Fierbenso".
La sua voce non era femmea, ma di marte benchè avesse di Venere il fascino.
Lui la scrutò al nuovo ed esclamò "Oroaldo! che piacevole il tuo animo essere qui"
e l'Oroaldo "Chi t'aspettassi fossi?".
Stettero a parlare, sedettero e stesero lì come fanciulli innamorati.
Oroaldo, benchè della bionda chioma l'avesse,
portava altre chiomae lunga del medesimo pigmento.
Era, ill'ello imbellito da cosmesi: sembrava femmea.
"Posso osare?" chiese Fierbenso alla femmea di marte.
Oroaldo "Cosa, mio caro giovine?".
Fierbenso lo Baciò.
3/ IL DIVINO DI UN SOGNO
La notte si festecchiò l'amore corporeo in quell'aula da sera.
Oroaldo si svelse scosso e un po depriso.
Andò al bagno e poi alla cucina dove prepanse piatti mattutini.
Dopo qualche ora Fierbenso si svelse: sembrava Accontento e aggradito della notte precedetta.
Oroaldo però turbo fù al lavoro e alla patria materna in ossequio silenzio.
Fierbenso si alzò e si procinse al bagno e poi nella cuoca sala
ove s'aggradì, con Oroaldo, delle prelibate pietanze mattutine.
mentre eseguirono il loro pasto, cadde e uscì dalla voce villosa ma educata e infantile: una domanda.
Al porse fu Fierbenso:
"Caro mio Oroaldo, posso osare una diletta domanda?"
"si mio fedele" disse ll'Oroaldo con un sorriso
"Fedele in quest'ora no! sebbene, come il tuo diletto e piacevole soggiorno in questa vita, a te vien piacevole la vestizione in abiti non martensi?" chiese Fierbenso
"Questa delle domande è la più cagionevole risposta!" cominque Oroaldo
"Quando mi baciasti, ill'lei approfittò di me in modo caro e gentile, e io di lei ne feci cara la forma statua.
beh! l'er sera non s'era turbato, ma l'atto l'ha compiuto.
Sebbene il dettaglio fa la forma, rispondo alla domanda da te ponensi:
Il vestire in abiti di venere appaga la felice aemozione che vuole svegliarsi, poichè
la felice via, Dea del orcosa, è la più dilettuosa e difficoltosa Dea da pregare e del desio
farsi avvenire. Quando però 'ndosso quell'abiti e quelle chiome, che delle svariate forme,
Oroaldo non v'è oramai più, o almeno un poco rimarso,
Egli è la Dea della via felice. Colei che colma dubbi e rallegra l'anime"
detto ciò si alzo. sparecchie.
Fierbenso rimasto colpito e pensante a motivi di turbo in confronti all'Oroaldo,
si alzò dalla seggiola lignea e andò di spalle all'Oroaldo.
Così avvolgendolo fra le sue armi, infonse il suo amore e calore all'Oroaldo, che in quellae mattina
s'era creaso di neve.
Lo avvolse forte, Fierbenso all'Oroaldo.
Poi Oroaldo si torse e vidense negli occhi topazei del Fierbenso.
Fierbenso approfinse
e lo Bacio
come quando il bacio e l'amore si confondono:
come quando l'odio s'annulla.
i giorni prossimi vissero all'insieme sia nel lavoro, sia nella casa
stavano bene all'insieme.
ma tempeste solcavano all'orrizzote,
cavalli fuggiti trottavano impazziti
onde maree s'alzavano titane.
La Dea Venere e Amore, videro
alri pogetti pe' l'Oroaldo...
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