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La Cattedrale e le sardine

Percorro la litoranea pugliese diretto a Roma. Preferisco evitare l'autostrada fino al confine nord per godermi sino all'ultimo la bellezza del mare e delle città costiere. È un vero e proprio atto d'amore, quello che compio ogni anno, per rendere il distacco dalla mia " amata " il meno traumatico possibile. Mi allontano dal mare, e da questa terra, un poco alla volta, a scalare, come si fa per ogni dipendenza. Ed io, lo confesso, sono assolutamente Puglia-dipendente e a tutto ciò che vi contiene : la generosa terra rossa ferrosa, pregna di sudore della fatica di uomini, donne, bambini, che per secoli l'hanno lavorata per ricavare i frutti per il loro sostentamento e il nostro benessere. I secolari ulivi coi loro corpi antropomorfi così umani e inquietanti da far rabbrividire per la paura. Sono tutti bellissimi, alcuni sembrano sculture contemporanee alla Henry Moore, altri lunghi e sottili da sembrare gracili e delicati, altri ancora tozzi e corti dalla folta capigliatura. Alcuni sono talmente vecchi e ricurvi da dover essere sorretti da mura di tufo. Ci assomigliano molto, oppure siamo noi ad assomigliare a loro? Io propendo per la seconda ipotesi, se non altro perché vivono sul Pianeta da molto tempo prima della nostra comparsa. L'olivo è una pianta che sa essere molto generosa di frutti, che sono ottimi sia da mangiare così come sono, dopo un trattamento essenziale che serve a mitigare l'amarezza dei frutti freschi ed a garantirne la conservazione, come la salamoia, oppure spremuti e pressati per farne fuoriuscire l'olio, universalmente noto per la sua bontà e le sue eccelse qualità nutritive.

Ricordo con affetto misto a nostalgia quando, ancora un bambino, i miei genitori mi portavano in campagna da mia nonna materna Concetta, quando era tempo per la raccolta delle olive. Per l'occasione venivano chiamati parenti e amici per raccogliere quel prezioso frutto che, una volta spremuto, avrebbe fornito un saporito nettare per tutti. Anche noi bambini davamo una mano ai grandi ma solo per poco tempo, perché, poi, ci allontanavamo per giocare tra alberi da frutta, vitigni oramai spogliati dall'uva raccolta il mese precedente, grotte misteriose, per noi, scavate nel tufo, la grande casa dai soffitti alti e bianchi e l'enorme cucina dov'erano appesi pomodori a grappoli, meloni d'inverno, agli, cipolle, mazzi di peperoncini rossi e verdi, un lungo e solido tavolo col piano di marmo bianco circondato da sedie in legno massello, la cucina a legna e il gigantesco camini acceso dove bolliva lentamente una grande pentola colma di sugo rosso carminio, dove noi bambini, di nascosto, inzuppavamo pezzi di pane rubato dalla dispensa. Mi piaceva molto stare in campagna da nonna perché godevo della libertà di movimento che in città mi era proibito. Di solito gironzolavo scalzo, malgrado il disappunto della nonna - non c'era nonno Michele poiché morto quando avevo pochi mesi di vita - . Amavo affondare i piedi nella terra grassa e calda e arrampicarmi sugli alberi dalla cui cima intravedevo, all'orizzonte, il mare confondersi col cielo. Anche l'ampia stalla era una meta abituale delle mie esplorazioni. Rammento i due cavalli, Alfredo e Giosuè, che mi riconoscevano appena imboccato l'ingresso della stalla e che mi salutavano con dei prolungati nitriti. Il mio animale preferito, però, era Ettore, un grosso, bellissimo, pastore tedesco padrone incontrastato di tutta la masseria. Lui sovrintendeva tutto. Libero - non l'ho mai visto legato - di circolare ovunque, sorvegliava qualsiasi attività si svolgesse in campagna e in casa e quando non era d'accordo con qualcosa abbaiava con voce forte e insistente finché non veniva preso in considerazione, mentre, quando approvava, invece, emetteva dei suoni come se parlasse. Le corse che ho fatto con Ettore me li ricordo ancora e mi viene l'affanno proprio come se affiorasse dal profondo della mia memoria la fatica della corsa. Amavo quel posto, regno della mia infanzia spensierata, libero dall'autorità dei mie genitori. Adoravo nonna Concetta. Una donna bellissima, alta - la sola della nostra famiglia - con un viso ovale e perfetto color latte, occhi dal colore simile a una notte stellata e i capelli lunghi bianchi, raccolti in una treccia arrotolata, vestita sempre con lunghi abiti rigorosamente in nero per il lutto del marito. Aveva una voce gentile e calma, sempre misurata - non l'ho mai sentita urlare - con cui mi raccontava vecchie storie fantastiche che a volte mi facevano tremare tutto dalla paura. Allora, lei, mi tirava a se con tenerezza e mi avvolgeva tra le sue grandi braccia e mi faceva accucciare sul suo morbido petto che profumava d'amore materno. Mi manca tanto nonna Concetta! Le nonne dovrebbero essere immortali per concessione Divina. Ne sono certo : il mondo sarebbe migliore se fosse affidato alle cure delle nonne. Quando, superati i novanta anni, si decise a raggiungere nonno Michele su qualche remota stella della via Lattea, il dolore e la disperazione mi tenne compagnia per molto tempo. Ancora oggi, quando penso a lei, provo una fitta lancinante al cuore mitigata solo dal dolce ricordo dei suoi teneri e profumati abbracci.

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3 commenti:

  • Michele Rescio il 21/06/2010 17:47
    Grazie Guido per il tuo puntuale apprezzamento
  • Guido Ingenito il 21/06/2010 02:24
    un'immagine più bella, scusa l'avevo dimenticato
    buonanotte
    Guido
  • Guido Ingenito il 21/06/2010 02:23
    molto bello, ma per palati di un certo tipo bravo Michele, queste descrizioni così dettagliate danno un'immagine di quello che ci circonda.
    La ricetta finale è davvero uno spasso

    Guido

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