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Una voce all'infinito

È il racconto di una vicenda realmente accaduta, frammento di un passato lontanissimo e misterioso che attraverso le narrazioni di mia nonna e di mio padre è arrivato fino a me. Magicamente mi ha proiettata a ritroso nel tempo, un tempo senza date e senza altri riferimenti di rilievo, dove la fantasia ha colmato la lacune narrative trasformando poche parole in una storia. Ed ecco una voce all'infinito, per raccontare della dura contrapposizione tra uomini e lupi nella lotta per la sopravvivenza e di Zuanne, l'avo più lontano, che non s'è perso nell'oblio del passato.

-Mamma, perché la luna ha gli occhi tristi?
-Dove li vedi gli occhi sulla luna? Sorrideva sua madre.
Zuanne, trascorreva tanto tempo a scrutare la luna quando, bella piena, troneggiava nel cielo come una regina. I suoi occhi di bambino ne coglievano un'espressione perennemente tragica e sofferente, che non riusciva a spiegarsi e a descrivere alla madre con la sua semplicità di bambino.
-Sarà che da lassù osserva tutte le nostre miserie - pensava - e ne è impietosita. Sarà che non può far nulla per alleviarle, se non regalare la sua luce d'argento.

Era quella una sera d'estate. Le abbondanti piogge primaverili avevano riempito i torrenti e i corsi d'acqua minori che solcavano le colline. Il fosso, che scorreva vicino alle case, rumoreggiava come una cascata.
Faceva caldo, più caldo del solito, ma forse era una sensazione condizionata dagli eventi e l'afa soffocante portava con sé un'umidità insopportabile.

Dal Col de Fer, il colle più alto, un castello sovrastava la piana sottostante formata dall'incontro tra due valli, e consentiva una buona panoramica su una zona importante di collegamento tra la pianura e la montagna e tra la pianura veneta e quella friulana.
La sua terra ricca di ferro conferiva al suolo un colore rossastro che aveva suggerito il nome dell'altura, ma c'era anche un'altra interpretazione legata a quel nome: la sua inespugnabilità da parte dei nemici.
Il castello era costituito dal mastio, situato sulla sommità del colle, e dal borgo sulle pendici sud-occidentali e meridionali, entrambi delimitati da una vasta cinta muraria. Al suo interno lo spazio era contrassegnato dagli orti e dai terreni recintati, collocati su gradoni e dalle case dei suoi residenti, i castellani, come erano chiamati i privilegiati che vivevano dentro le sue mura.
Esternamente c'era il popolo, non molto numeroso in verità, che abitava nei piccoli agglomerati di case, sparse qua e là, che formavano il villaggio di Caneva.

Zuanne, a Caneva era nato e vissuto. Era un ragazzo molto sveglio, due grandi occhi scuri che spiccavano su un viso magro, solcato dalla fame. Il sorriso era quello dolce di bambino, quello dei suoi tredici anni, anche se le asprezze della vita lo avevano già segnato.

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2 commenti:

  • Marisa Amadio il 06/10/2010 18:23
    Grazie Noir per aver letto e lasciato il tuo commento.
    Mari
  • Noir Santiago il 02/10/2010 11:56
    Un racconto che si mescola alla leggenda, da raccontare attorno al fuoco. Suggestivo, dal sapore medioevale. Scritto in maniera scorrevole e piacevole.

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