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Mai dire mai

Alla fine dovevo ammettere che ci era riuscito.
Mai dire mai.
Che lezione mi avevamo dato quei due.
Un po' forse li invidiavo. No! L'invidia è un sentimento troppo negativo per associarlo a ciò che provavo verso Paolo e Manuela. Forse scavando nei meandri più profondi della mia psiche, avrei dovuto ammettere che come coppia rappresentavano un modello di riferimento. Ma era in questo desiderio emulativo che emergeva la negatività che una parte di me nutriva nei loro confronti. Probabilmente ero infastidito dalla consapevolezza che non sarei mai riuscito ad essere come loro.
Paolo era un collega di vecchia data. Di Manuela posso dire che è una donna piacente. Più interessante che bella. Ha un fisico invidiabile per i suoi 43 anni; insomma è una di quelle con tutte le cose in ordine, come si usa dire tra uomini. Lavora anche lei nella stessa nostra società, ma in orario di lavoro è raro vederli assieme. Le uniche occasioni i cui si intuisce che sono una coppia è a mensa quando Paolo non è in trasferta o impegnato in riunioni.
Nonostante ciò basta vederli vicini una volta per comprendere la particolarità del loro rapporto.
Presi singolarmente sono due normalissime persone, ma quando uno entra nel campo visivo dell'altro le cose cambiano. Tra loro si percepisce un'ansia, un'urgenza emotiva, una tangibile fame dei sensi. Un'arsura fisica. Sembrano due corpi carichi di elettricità di segno opposto che si attirano inesorabilmente per collassare uno sull'altro.
Ma raccontiamo le cose con ordine.
Io e Paolo andavamo spesso in trasferta assieme e questo ci offriva la possibilità d'intrattenere lunghe conversazioni nelle quali Paolo parlava spesso e volentieri di sesso; argomenti che alla fine necessariamente riguardavano l'intimità dei rapporti con la moglie Manuela.
Alla fine divenni il suo confidente, solo che come tale, alla stregua di un confessore religioso, avrei dovuto mantenere un distacco rispetto alle attività di cui mi parlava, essere al di sopra delle parti e non farmi coinvolgere nei loro "Giochetti".
Oggi ripensando a quando accaduto rivedo il progredire del loro disegno: postulare assunti comportamentali, creare situazioni a dir poco ambigue per ricavare dalle mie reazioni la dimostrazione pratica della correttezza delle tesi alla base delle loro scelte di vita.
Insomma un goliardico metodo pseudo-scientifico di auto approvazione e riconoscimento in cui io facevo al tempo stesso sia da cavia sia da giudice.
Come quella volta che fui testimone di un fatto pruriginoso, almeno per quanto riguarda quello che può normalmente accadere in un ufficio.
Un giorno fui chiamato per un rendiconto spese da Emma, una collega che lavora nella stessa stanza di Emanuela. Gli uffici dell'amministrazione erano stati ricavati da un grande open space suddiviso in stanze tramite pennellature prefabbricate con ampie superfici vetrate. In ogni ufficio c'erano dalle tre alle quattro postazioni e dall'interno era comunque possibile creare schermature visive rispetto chi transitava nei corridori tramite apposite tende a lamelle orizzontali.

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2 commenti:

  • Michele Rotunno il 05/10/2010 19:03
    Franco, che dirti? Ho iniziato a leggere alle 18 e 20 e ho finito alle 18 e 40 e la lettyra è stata tra le più piacevoli.
    Eheheheh! Dire che il contenuto non abbia contribuito sarebbe da ipocrita, dovrei provare a leggere qualcosa di diverso (e non equivocare sul termine).
    A caldo è anche difficile fare un commento che esuli dal conenuto, di primo acchito (e non è una novità hai la grande dote di mantenere viva l'argomentazione fino alla fine, senza vuoti d'aria per dirla trasvolando con la fantasia.
    Chiudo con la speranza che non cambi genere, sai è sempre per la piacevolezza...
  • loretta margherita citarei il 05/10/2010 15:46
    piaciuto

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