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Soggetto del desiderio

Quando la guardavo mi sfuggiva il concetto comunemente inteso di semplicità.
Fare le pulizie è indubbiamente un lavoro umile, spesso viene fatto da donne di scarsa istruzione, di ceto proletario, o da immigrate che non sono riuscite a trovare di meglio.
Quest'ultimo era il caso di Adela, Colombiana, la ragazza che fa le pulizie nell'ufficio dove lavoro.
Quando la guardavo mi venivano in mente un sacco di pensieri, di aggettivi, di immagini... ma definirla semplice o umile mi sembrava assai sminuente e quasi offensivo per una donna così intensa ed evocativa.
Lei veniva al lavoro vestita con dei vecchi maglioni di flanella e pantaloni attillati da aerobica che risaltavano perfettamente le cosce piene, sode e il suo sedere latino dai fianchi larghi. I capelli erano un po' spettinati; nel complesso era poco curata ovviamente, perché nel suo lavoro doveva essere comoda, non aveva bisogno di divise!
L'aura che emanava, tuttavia, era indipendente dalla cura che aveva impiegato nella preparazione e nel trucco. Lei si affacciava alla porta, salutava noi impiegati con la sua voce sonora e l'accento spagnolo. Gli occhi dolci, ma affilati da uno sguardo malizioso quando li rivolgeva a noi ragazzi, donavano immediatamente un senso di gioia e leggerezza e mi collocavano prepotentemente al mio essere uomo. Non intendo machismo da esibire, mi immaginavo delle scene d'altri tempi, di ragazzotti bramosi che corteggiavano le ragazze del villaggio, magari mentre passeggiavano con la madre o la zia e queste ricambiavano lo sguardo cercando di non dare nell'occhio. Immagini di genuine ragazze della campagna con cui intrattenersi nel fienile ad amoreggiare.
Poi mentre procedeva con i suoi lavori di pulizia, canticchiava melense canzoni latinoamericane, mettendo un po' di imbarazzo noi, abituati all'etichetta del grigiore formale da ufficio, dove anche una risata, un imprecazione è contenuta.
A volte, con l'atteggiamento di uno che si sposta di fretta impegnato dal lavoro, volutamente la incrociavo nei corridoi e mi intrattenevo con lei; quei momenti erano molto piacevoli, scambiavamo qualche battutina un po' maliziosa, un po' allusiva, ma non avevo la sensazione di dover dimostrare qualcosa e di venir giudicato come quando parlo con una ragazza italiana, del mio paese.
Talvolta mi intrattenevo un po' di più con lei, allora facevamo anche quattro chiacchiere più serie. Mi ha raccontato qualche piccolo aneddoto della sua vita: ha già un bambino di 11 anni e il padre non l'ha più visto da quando è rimasta incinta.
Anche senza che mi svelasse chissà quali particolari privati, quando la guardavo negli occhi sentivo che era piena di vita vera, che aveva sicuramente sofferto, ma che era una persona intensa, con un carattere forte e senza il bisogno di essere aggressiva per dimostrare che è una donna indipendente... lo è già! Anzi, il suo senso più ancestrale dei ruoli, sicuramente l'avrebbe portata ad essere una compagna servizievole e dolce e sono sicuro che nessuno si sarebbe permesso mai di dire che era sottomessa. Sarebbe stata la sua volontà, un istinto femminile innato ed uno spirito e una predisposizione anche ad eventuali sacrifici, senza la rincorsa obbligatoria alla soddisfazione individuale, con la consapevolezza che forse il senso profondo della vita non era l'università, la carriera, o la casa.

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1 commenti:

  • valeria ste il 11/11/2010 15:56
    Bellissima la descrizione della femminilità di Adela, interessanti le riflessioni sul perché continuare o interrompere un rapporto forse un po' esausto. Per il resto è storia di ordinaria vita! Bravo!

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