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Il Libro delle Formule Magiche
La prima volta che i suoi genitori videro in lui ben più di un cucciolo d'uomo fu quando, a soli 7 mesi, Alfio pronunciò a colazione la sua prima frase di senso compiuto: "mamma, Gigi ha fatto la pipì a letto un'altra volta". Gigi, nato circa 11 anni prima, non fu mai invidioso di suo fratello, ma già da quel giorno si accorse che in lui c'era qualcosa che non andava.
Era appena in primina quando un pomeriggio, al supermercato, volle stupire la sua famiglia con gli effetti speciali. Alla mamma che, vedendolo controllarsi più volte i ditini, ogni tanto gli chiedeva "che fai, pezzetto?", Alfio rispondeva seccamente "te lo dico dopo", "non ora", o peggio "zitta". Quel giorno, a scuola, la maestra aveva spiegato le addizioni e, quando arrivarono alla cassa 21, quel nanerottolo si alzò dal suo carrello per sputare in faccia alla cassiera una sentenza che lasciò lei e la sua famiglia letteralmente di sale: "è inutile che controlli, signorina, il totale fa 127 euro e 45 centesimi"... Inutile dire che aveva ragione, oltre che una propensione innata all'apprendimento, e che, da quel giorno, fu una continua escalation: in seconda elementare, non solo, era il cocco di tutto il corpo docenti; ma l'esempio che ogni genitore portava non senza una punta d'invidia al proprio figlio. In terza vinse il torneo professionistico di scacchi della regione con il tempo raggelante di 4 primi e 6 secondi mentre, in quarta, ricevette la nomina di bambino prodigio... tanto che gli esami di quinta furono pura formalità.
Perfino la sua prima ragazza, Emilia, una biondina degli ultimi banchi alle medie, la conquistò a suon di copiature durante i compiti in classe o di dediche dalle varie trasmissioni televisive a cui veniva sistematicamente invitato e, il giorno che finalmente riuscì a darle la prima ripetizione casalinga, e dunque il primo bacio, non diede grande peso alla lettera dell'ennesima università che si augurava di poter presto accettare la sua iscrizione. Era inspiegabile, eppure, per quanto fosse al di sotto del suo livello, riuscì a trarre un insegnamento profondo perfino da colei che, a circa due settimane dalla fine degli esami di terza media, lo lasciò per un ragazzo conosciuto al mare. Quel giorno imparò che non bisogna mai dare per scontati i sentimenti.
Inoltre, a causa di una tale intelligenza, del tutto sproporzionata alla media, e alla conseguente tracotanza che ne dervivava, già dal primo anno di liceo classico i suoi coetanei, che vedevano in lui niente più che un secchione spavaldo, un primo della classe pieno di sè, lo esclusero ben presto da qualunque contesto che non fosse prettamente scolastico e, per tanto, Alfio fu suo malgrado costretto ad imparare anche il sapore della solitudine figlia dell'invidia. Ad ogni modo sembrava che fosse proprio il verbo "imparare", a fare da trade d'union di tutta la sua esistenza: imparava dalle spiegazioni, dei professori e non solo quelli di nome, dagli errori, suoi e degli altri, dalla natura intorno a lui, dal modificarsi della sua immagine nello specchio; riusciva a imparare ogni volta qualcosa... perfino dalla televisione! Fu in questo periodo, infatti, che scrisse la sua prima poesia, graffiandone una riga ogni tanto sulla carena dello scooter:
"
ho imparato che più dai e meno ricevi
ho imparato che prima o poi la ruota gira
quando ormai non te ne frega più niente
ho imparato che contano solo i fatti
perché le parole se le porta via il vento
ma ho imparato che ignorare i fatti
non li cambia affatto
perché, ho imparato
che non si finisce mai di imparare
"
A forza di studiare, poco alla volta prese a sostituire definitivamente le parole di uso comune con termini più consoni e, al povero fratello che gli obbiettava cose tipo "è solo un albero di nespole Alfio" egli rispondeva sardonico che "il suo vero nome è Mespilus germanica, sicchè, se vuoi chiamarlo in un altro modo, vuol dire che un giorno chiamerai anche me Susanna". Con l'esperienza della sua maggiore età, Gigi, ultimo contatto con la gente comune relativamente giovane di cui Alfio disponeva, avrebbe voluto ribattere a quel genere di affermazioni, ma non ne era davvero capace e, poiché ormai sposato e con la sua famiglia cui star dietro, dovette infine abbandonare il fratello alla solitudine più completa dei libri, durante gli anni che trascorse a Oxford; periodo in cui, inesorabilmentemente, questi si lasciò schiacciare dal peso enorme della sua stessa cultura. Se in circostanze normali egli avrebbe sbalordito l'insegnante più severo, con tutto il tempo che ebbe a disposizione per studiare - e non solo i testi della sua facoltà - all'università non c'era professore che non lo considerasse un genio.
Approdato non ancora trentenne al mondo del lavoro, si accorse che ad ogni successo conseguito, corrispondeva anche una considerevole contropartita nel sociale e, con l'acquisto della prima macchina sportiva, imparò il reale valore che molti esseri umani computavano ad'amore e amicizia. Se pur con la morte nel cuore, imparò dunque a servirsene per attorniarsi finalmente di nuove amicizie e, nel giorno in cui fu ufficializzata la sua candidatura al premio nobel, festeggiò con un costosissimo champagne anche il suo primo rapporto sessuale. Ma la furba ragazza, che in lui aveva visto l'ennesimo pollo da spennare, capì in breve di aver preso all'amo, invece, il granchio più colossale di questo mondo e, infatti, non solo non potè cavarne il classico ragno dal buco, ma anzi, a stenti riusciva a reggersi sulle gambe, davanti alle disarmanti logiche lapalissiane con cui sbriciolava ad ogni occasione "tali futili facezie da donna".
Scappò via anche lei, così come tutte quelle che vennero dopo: perché lui era troppo per chiunque, questa era la verità... e più restava solo, più studiava e rifletteva... e più studiava e rifletteva, più imparava e si imbeveva come una spugna di qualunque cosa gli capitasse a tiro; fagocitando nozioni di ogni genere con la voracità famelica di un buco nero. All'età di quarantaquattro anni, nella sue infinite elucubrazioni riuscì a capire cose che nessuno aveva ancora neppure immaginato: ad esempio, capì che esistono alcuni concetti ben al di là dell'umana comprensione, che potevano tranquillamente spiegare ciò che il genere umano definiva "inspiegabile" e, quando a Natale Gigi lo chiamò per gli auguri, volle regalargli, esplicandoglielo in breve, il concetto che determina il segreto della vita.
Il problema era, però, che per intelligere tali concetti, il suo interlocutore avrebbe dovuto disporre di un livello mentale almeno pari al suo; e non era certo il caso di Gigi che, dal canto suo, credette il fratello ormai letteralmente impazzito di solitudine nella sua grande villa di Ginevra. Affranto da quella constatazione, allora, Alfio prese la penna e cominciò a scrivere il suo primo e ultimo "Libro delle formule magiche"; come scrisse a grandi lettere in corsivo sulla copertina. In realtà, sapeva che non erano proprio formule magiche: non era la fila di parole in se, a poter spiegare l'inspiegabile; ma i puri concetti cui queste avrebbero indotto il lettore più perspicace a giungere... ma, per una volta, gli piacque l'idea di spacciarsi per mago e, d'altro canto, poteva giusto permetterselo.
Per circa due mesi, lavorò alacremente alla stesura del libro, senza concedersi che la distrazione dei bisogni corporali. Nelle prime due pagine trattò il tema ambientale, che molto gli era caro, spiegando cos'era veramente, perché e come integrarvi l'esistenza di ogni essere vivente della terra. Il lavoro di decenni di tutte le associazioni ambientaliste mondiali non valeva una riga di quelle due sole pagine, se lette e comprese. Poi condensò in un altra pagina la nascità dell'universo e la comparsa dell'uomo sul pianeta e, dalla pagina seguente, scrisse una serie dettagliata degli errori che l'uomo contemporaneo da allora perpetua e come poterli facilmente correggere. Trovò soluzioni estremamente efficaci quanto brevemente descritte per ogni tipo di problema, fosse esso il semplice litigio fra coniugi come il razzismo, la fame nel mondo o la guerra... Sarebbe bastato diffondere a tutti la conoscenza pressofusa in quel libro per conquistare l'esistenza serena di un mondo quasi perfetto e, benché non sapesse quando, era certo che un giorno il genere umano ne sarebbe stato in grado.
Parlò nel suo libro di come si potesse calcolare con esattezza estrema e anticipato rigore l'estrazione dei numeri al superenalotto e di quale accezione avesse il sorriso della monna lisa, creò poi anche un bellissimo test sulla personalità che poteva aiutare chiunque a capire se stesso e cosa volesse dalla vita; proponendogli poi, a guisa di manuale d'istruzione del vivere, il metodo più efficace per ottenerlo. Elaborò perfino una serie di progetti per realizzare macchine del tempo, lozioni per far ricrescere i capelli e sieri della giovinezza realmente efficaci. Spiegò anche come raggiungere un orgasmo, o addirittura l'estasi dei cinque sensi, con il solo ragionamento. Quella mente eccezionale conosceva profondamente qualunque cosa avesse una certa importanza e, di ognuna, era riuscito in sole 98 pagine ad esaminarne tutte le sfaccettature.
Fu allora che, d'un tratto, si rese conto che aveva ormai trattato di tutto e che, per completare il libro, mancavano solo due pagine... le più difficili da scrivere, poiché più difficili da comprendere anzitutto per lui. Quindi, prima di immergersi nell'abbisso di pensieri perfino a lui così ostici, decise di andare a fare un saluto al fratello; cogliendo l'occasione per mostrargli il prezioso manoscritto e vedere cosa ne poteva pensare un "comune mortale".
Dopo aver dato una scorsa al libro di Alfio, Gigi alzò verso il fratello lo sguardo complice di chi si appresta a fare una burla e, trattenendo a stento una risata, gli disse "Con questo, vincerai senz'altro il premio nobel, caro fratellino"... e scoppiò a ridere abbracciandolo.
- Pretendo una spiegazione immantinente e perentoria che giustifichi il tuo moto al riso, fratello caro, o mi riterrò personalmente offeso - disse allora Alfio, rincarando la dose di vocaboli a me del tutto sconosciuti. Gigi lo guardò un altra volta, ma stavolta il suo sguardo era quello deluso di un bimbo a cui è sfuggito l'aquilone e, poiché non aveva capito nulla di quanto gli era stato detto, non fu in grado di rispondere alcunché.
Il giorno dopo, quando salì in camera sua per portargli il caffè, Gigi vide suo fratello ancora seduto alla scrivania, con il capo riversato sull'ultima pagina bianca di quel libro di disegni infantili che gli aveva mostrato il giorno prima. Provò a svegliarlo, ma era morto già da diverse ore, nel riuscito tentativo di concepire l'ultimo capitolo del suo libro di formule: l'aldilà.
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1 recensioni:
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- apprezzato... complimenti.
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