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Una gabbia a cielo aperto

Appollaiato sul ciglio di una superba altura il giovane Antiògu contemplava pensieroso il ricco incanto che la natura offriva dinanzi ai suoi occhi: il sole iniziava ad affacciarsi timidamente all'orizzonte e con una luce ancora fioca illuminava le inaccessibili montagne di quella terra aspra e inospitale, ma incantevole. Nell'ammirare l'alba il tristo giovane tratteneva a stento la commozione pensando e ripensando alla sua condizione di bandito, ad una libertà perduta per sempre su quelle aspre vette. Vagava coi ricordi e finiva col rammentare i terribili fatti che lo avevano costretto a prendere la via dei monti. Diciannovenne perse il padre, tziu pedreddu, ucciso barbaramente per questioni di pascolo; non poté mai scordare il momento in cui aveva vendicato il suo sangue: appostato dietro a dei cespugli di lentisco sul margine di una strada sterrata aveva atteso a lungo l'arrivo del suo nemico, l'assassino del povero padre; il suo cuore batteva talmente forte che pareva volesse uscirgli dal petto, il sudore gocciolava freddo dalla fronte, le mani tremavano come foglie. Alla vista di Zuanne, che si avvicinava a dorso del suo cavallo, l'odio terribile, alimentato dalla memoria del padre, cancellò ogni indugio. Puntato il fucile, la mira divenne salda e decisa. Antiògu premette il grilletto; il silenzio della campagna fu interrotto da una detonazione. L'acerrimo nemico cadde a terra fulminato colto in pieno petto dalla palla arroventata.
A seguito dell'audace impresa era divenuto latitante; errante per boschi e montagne, ospite di quello o di quell'altro ovile, nella continua ansia di perire tragicamente. Ora, a distanza di cinque anni dal primo delitto, sulla testa di Antiògu Medas pendeva una condanna all'ergastolo e una taglia vertiginosa che, ahimè, poteva far gola a molti; era accusato tra l'altro dell'omicidio di due giovani carabinieri facenti parte di un corpo di spedizione per la repressione del banditismo. La vita alla macchia non garantisce certo la libertà, tutt'altro, è come un carcere senza sbarre, una gabbia a cielo aperto, da cui si esce solo con i ferri o con la morte.
Quando di rado incontrava la madre in aperta campagna, in luoghi da lui designati, lei gli si gettava al collo colma di lacrime strazianti, lo accarezzava teneramente e, stringendolo forte a sé, gli sussurrava con un filo di voce:- fizzu meu, coro meu, consegnati alla giustizia se hai cara la vita, impazzirei all'idea di piangere un figlio morto!-. Ma la giustizia, purtroppo, era in Sardegna più lontana del cielo stesso e nessuno credeva più in lei, al suo posto regnavano le leggi impartite dalla tradizione.
Un giorno nella calda estate di agosto avvenne l'irreparabile: calava la sera e Antiògu attraversava rapidamente un fitto bosco di lecci, alla cui estremità si trovava una spelonca sicura dove il bandito soleva rifugiarsi durante la notte. Proprio come una bestia il giovane si affrettava a raggiungere la sua "tana" quando ad un tratto esitò sospettoso; dotato com'era di un udito felino, gli parve di avvertire dei piccoli spostamenti tra le frasche, come di gente appiattata; a rendere chiari i suoi sospetti fu la voce di un giovane brigadiere che uscito allo scoperto gli intimò il fermo:- Antiògu Medas, la bellezza di dieci fucili sono pronti a far fuoco su di te, perciò evita di fare sciocchezze e vieni avanti lentamente con le mani bene in vista, è finita, rassegnati ai ferri!-. Era veramente finita: il giovane si guardò intorno sconsolato, in pochi istanti i suoi ricordi più cari gli attraversarono la mente; poi, con un ultimo gesto esasperato, estrasse la pistola e puntò il brigadiere dritto al cuore. Ma non ebbe il tempo di sparare poiché fu fatto segno delle palle di dieci moschetti! Stramazzò al suolo senza emettere un grido, fulminato, con gli occhi spalancati; il suo viso pareva assumere un' espressione sorridente mentre un leggero rivolo di sangue scivolava dalla bocca. Vittima di un vile tradimento perse la vita come un cinghiale in una crudele battuta di caccia. Un ennesimo lutto insanguinava questa terra afflitta nei secoli dei secoli, dimenticata dalla storia e dal progresso, chiusa nella miseria e nella sofferenza.

 

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3 commenti:

  • Sergio Manconi il 02/12/2011 19:36
    Ti ringrazio molto! Apprezzo il tuo commento. Gli anni passano, questa terra a cui sono molto legato sembra volersi aprire al mondo, ma faticosamente! La traccia di un antico popolo fiero e ribelle resterà sempre indelebile...
  • Anonimo il 02/12/2011 18:51
    Aveva scelto una " gabbia a cielo aperto ", mai ne avrebbe voluto un'altra. Hai narrato una delle mille storie verosimili della tua bella terra, aspra, inospitale ma incantevole, come tu dici. Una sceneggiatura perfetta. Lettura gradevolissima.
  • patrizia melito il 18/01/2011 08:51
    Il senso di libertà perduta, la condizione di latitanza si respira in ogni frase. Mi è piaciuto molto. Anche l'esito dove, credo, non avrebbe mai scelto una " gabbia senza cielo". Bravo.

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