C'era una volta una mano molto soddisfatta di sé, perché, nel suo maneggiare quotidiano, era capace di fare davvero di tutto.
Ella stringeva con forza il martello per battere i chiodi in profonde fessure,
poi ci appendeva sopra le tele, su cui dipingeva raffinate figure.
Impastava farina e sfornarva pani fragranti,
con ago e con stoffa cuciva abiti eleganti.
Pizzicava la chitarra con disinvoltura,
con le pinze svitava bulloni di ogni misura.
Poteva infilarsi dentro ai burattini per raccontar le fiabe a tutti i bambini,
e poteva scrivere storie brillanti sui bianchi tasti con le dita danzanti.
Piegava la carta,
sbucciava la mela,
con un cencio per terra passava la cera,
con un ferro caldo stirava i calzini,
e con la falce affilata tosava i pratini.
Insomma non c'era niente che non riuscisse a fare, ed era così orgogliosa di sé, che tutto le sembrava possibile; finché un giorno non vide qualcosa nel caminetto.
Era bello il suo aspetto: caldo e lucente sfavillava,
il fuoco sulla legna scoppiettava.
Non riuscì a resistere a quell'energia attraente,
e di afferrarlo subito le passò per la mente,
ma ahimè,
un dolore tremendo la pervase tutta,
la mano tornò indietro con ustione brutta.
Convinta che tutto poteva fare,
un'altra, e poi un'altra volta ancora ci rivolle tornare,
ma aaaahhhh quel calore,
mio dio che tremendo dolore!!
Tutta bruciata la mano piangeva,
e afflitta pensava:
quel che più male faceva,
il dolore vero, non era tanto l'ustione,
quanto il dover constatare,
che quel bel fuoco non riusciva a maneggiare.
L'ultima volta, e fu quella davvero,
entrò dentro tutta senza mai più tornare,
perché,
troppo orgogliosa di sé,
quel dolore non volle mai più provare.