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Il treno

Anni fa, per entrare a testa alta sul posto di lavoro - completamente privo di forze e puzzando di sudore - prendevo i mezzi: Ferrovie Nord da Paderno Dugnano a Cadorna e poi nove fermate di metro in direzione-Sesto.
Lo ammetto... talvolta mi era capitato di rimpiangere la comodità dell'auto, ma al volante della mia Clio avrei respirato molti meno germi e mi sarei ammalato molto meno.
Una mattina torrida e disperata, quando il ritardo accumulato dal convoglio precedente aveva raddoppiato il numero già proibitivo di passeggeri, mi trovavo conficcato in un punto anonimo della carrozza a premere il mio pene flaccido contro la scapola appuntita di una vecchia molto magra.
Col mio metro e novanta la sovrastavo... tutti quanti la sovrastavamo, ondeggiando appena anche durante gli scossoni più violenti, impossibilitati a cadere e a muoverci, respirando a ritmi sfalsati così da poter gonfiare i polmoni nel momento in cui il nostro vicino espirava.
La vecchietta - da quel poco che riuscivo a vedere - aveva un aspetto veramente poco sano, avvolta com'era da una patina di pallore giallognolo che le fissava indelebilmente sul volto una smorfia di fatica e rassegnazione.
Ansimava. Non riusciva a controllare un fastidioso tremito che provocava più vibrazioni dell'irregolarità dei binari e sembrava sul punto di crollare da un momento all'altro.
Di certo io non provavo alcuna compassione: era una ladra d'aria e di centimetri, proprio come tutti gli altri.
A rendermela interessante furono i suoi movimenti strani; il fatto che nella totale mancanza di spazio potesse solo pensare di portare le braccia al petto era molto più sconvolgente dell'assurdità d'indossare una felpa pesante a maniche lunghe in una mattina bollente di metà giugno.
Io e i tre che la stavamo schiacciando cominciammo a guardarla con una certa curiosità e ad un certo punto ce la trovammo col braccio sinistro ritto, perpendicolare al soffitto, con la manica abbassata.
Fissando le sei cifre tatuate sul suo avambraccio, a due centimetri dal mio naso, pensai istintivamente alla Banda Bassotti.
Quando ad Affori le porte si aprirono e nessuno scese, il mucchietto di ossa iniziò ad urlare: "Muselmänner! Selektion! Muselmänner! Selektion! Muselmänner! Selektion! Selektion! Selektion!"
Nessuno la toccò, né disse niente.
Al capolinea, incamminandoci verso la Linea Rossa della metropolitana, sentii alcuni compagni di viaggio formulare le ipotesi più bizzarre e fantasiose e mi venne da ridere: quel "176. 628" cos'altro poteva essere, se non il numero del suo abbonamento mensile?

 

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1 commenti:

  • Dora Forino il 19/06/2011 18:01
    il tuo racconto invece racconta la storia di un'ebrea che non ha dimenticato i lager di cui è riuscita a sfuggire. Quel marchio sul braccio è il suo biglietto di visita... infatti il suo ricordo è rimasto in quelle parole:Muselmänner! Selektion! Muselmänner...

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