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Il Finale
Nella mia mente si ricrea sempre la stessa scena:la fine di quella storia raccontatami sino alla nausea.
Ero andato a lavorare tre anni fa lontano da casa col sogno di ricominciare la mia vita tutta dall'inizio. Avevo deciso che la mia vecchia vita sarebbe morta per davvero:dopo aver comprato una scheda nuova per il mio cellulare decisi che avrei salvato nella mia rubrica solo i numeri di telefono delle persone incontrate da quel momento in poi e così fu.
Mi chiamo Paolo, lavoravo a Rapallo, un paese in provincia di Genova, nell'ufficio postale del paese.
Erano i primi di febbraio quando cominciò la mia nuova vita.
Il primo giorno di lavoro filò tutto liscio come l'olio, nell'accogliermi i miei colleghi furono gentilissimi, cercai di essere più cordiale possibile con tutti nonostante la mia timidezza, sapevo già come funzionava dato che non era la prima esperienza in un ufficio del genere.
La prima domanda che i miei colleghi usavano per approcciare con me era "Sei del sud?" oppure "Non sei di qui? Dal tuo accento sembri napoletano". Quasi mi fecero stancare di ripetere sempre la solita risposta: "Sono di San Vito Lo Capo, un piccolo paese in provincia di Trapani". I miei colleghi sembravano abbastanza istruiti, mi pareva che sapessero dove si trovasse Trapani perché nessuno faceva domande riguardo alla posizione geografica del mio paese.
Qualche giorno dopo andai in un centro Tim per comprare la nuova scheda di cui ho già parlato, la maggior parte dei commessi di tutti i negozi in centro erano sempre gentili e disponibili.
Passata la prima estate tra quelle splendide spiagge m'iscrissi in piscina all'inizio dei corsi perché avevo sempre desiderato farlo e adesso che ero solo con la mia nuova vita lo stavo facendo, mi sentivo libero di fare quello che volevo, di parlare come volevo, era cominciata per me una vera e propria nuova vita. Della mia vecchia vita era rimasto solo un piccolo elemento:era un Valknut cucito sul mio zaino.
Non ho mai capito se quel simbolo appartenesse alla cultura tedesca o scandinava ma sinceramente non me ne importava molto. Mi ricordo la prima volta che vidi il Valknut, ero un bambino e mio nonno mi regalò un portachiavi con quella forma, tre triangoli intrecciati tra loro, dicendomi di appenderlo alla cerniera del mio zaino perché sapeva che non uscivo di casa senza. M'affezionai molto a quel regalo e da allora ogni zaino che usavo lo contrassegnavo con quel simbolo, cucendolo o disegnandolo con un pennarello. A Rapallo ancora non sapevo cosa significasse quel simbolo ma la situazione non era cambiata, non uscivo di casa senza lo zaino, il Valknut continuava ad accompagnarmi.
In piscina ebbi l'occasione di conoscere gente nuova, anche alcune ragazze una delle quali, due mesi dopo la mia iscrizione, si sarebbe ritrovata a corrispondere un mio bacio sul lungomare illuminato e deserto di Rapallo.
Questa storia era diversa da quelle che avevo avuto al sud, si chiamava Jenny, la mia nuova ragazza non era come quelle che avevo già avuto, sapevamo entrambi che non era qualcosa di serio, che in qualsiasi momento uno dei due avrebbe potuto decidere di non vedere più l'altro anche per un futile motivo e in questo non vedevamo nessun problema, ci andava bene così, vivevamo la giornata ed insieme eravamo felici.
Un giorno in ufficio è successo qualcosa di veramente strano. Una mattina ero appena entrato in ufficio, sistemai le carte lasciate sulla scrivania dal giorno prima e appena seduto dietro il mio computer, non so come, entrò un uomo che non avevo mai visto prima di circa trent'anni con folti capelli neri, con occhi che sembravano impauriti. Si avvicinò e poggiando le mani parallele alle spalle sulla trasparente scrivania cercò il mio sguardo con gli occhi scuri che non mostravano più paura e mi disse: "Lei non tornerà mai a casa".
Scorsi uno strano tatuaggio all'altezza del suo polso destro:tre pallini allineati con direzione parallela a quella delle dita.
Subito si girò come se la paura l'avesse ripreso tutto d'un tratto e velocemente se ne andò lasciando dietro di sé la porta chiusa come se si fosse accorto che non serviva andare di fretta. Chiesi ai miei pochi colleghi presenti se avessero visto passare quest'uomo ma nessuno seppe darmi una risposta positiva.
Non sapevo cosa pensare di quella frase, non capii se mi era stata rivolta come avvertimento o come minaccia dato che quell'uomo non aveva affatto un tono minaccioso mentre pronunciava quelle parole, d'altronde il pensiero di tornare a casa in quel momento della vita non mi sfiorava nemmeno quindi per adesso non avevo nulla da temere, giorno dopo giorno pensai sempre meno a quello strano evento sino a dimenticarlo.
Mese dopo mese mi accorsi che stavo cambiando, i miei modi di fare, di parlare, di pensare, il mio carattere cambiò e se mia madre m'avesse rivisto non m'avrebbe riconosciuto più;erano passati due anni da quando avevo lasciato San Vito e mi sembrava di essere a Rapallo da solo una settimana, però la voglia di tornare tornare a casa iniziò a farsi sentire ma il desiderio non scaturì dalla mancanza dei miei familiari o dei miei amici:volevo mostrare alle persone che avevo lasciato quale uomo ero diventato, adesso mi piacevo molto di più di prima, volevo che sarebbero stati fieri di me. Dopo aver raggiunto un picco tutti questi pensieri iniziarono ad affievolirsi fino ad abbandonarmi del tutto, ricominciai a pensare alla mia vita, a Rapallo, al mio lavoro e al futuro che mi sarebbe potuto aspettare, alla mia ragazza con cui ero già da più di un anno.
Il giorno del secondo anniversario di fidanzamento con Jenny era giovedì così decisi di ricordare quell'appuntamento in cui la baciai la prima volta tutto nel minimo dettaglio. Ci vedemmo al Chiosco della Musica, entrambi eravamo a piedi, le offrii qualcosa da bere e da stuzzicare nello stesso bar che due anni prima ci ospitò. Passeggiammo poi sul lungomare, mi fermai sotto la luce gialla di un lampione, mi girai verso di lei, era quasi tutto come due anni prima se non fosse stato per le sue labbra che ormai conoscevo, la baciai ed il mare come unico spettatore ad applaudirci ogni volta che raggiungeva la bagnasciuga.
La notte di Natale di quello stesso anno lasciai a Jenny il compito di organizzarla, quindi avremmo cenato a casa sua insieme ad una delle amiche col rispettivo fidanzato:Roberta e Mattia.
Jenny e Roberta cucinarono mentre io e Mattia aspettando che la cena fosse pronta chiacchierammo un po' del suo e del mio lavoro e del rispettivo futuro che questi ci avrebbe potuto portare. Roberta e Mattia mi diedero l'impressione di essere una di quelle coppie dalle poche effusioni d'amore quando nei momenti in cui si trovavano in compagnia. Dopo cena iniziammo a scartare i regali e a scambiarci gli auguri, verso l'una di notte collegammo il computer di Roberta alla televisione per vedere le foto di loro vecchie "avventure" perché durante un discorso emerse da Roberta il desiderio di conoscere il mio passato così dopo alcuni racconti delle mie esperienze decidemmo di vedere le loro. Vedendo le foto Jenny e Roberta si divertirono molto ed anche Mattia presente in alcune delle foto ma io mi sentii in quei momenti un po' escluso, spaesato, per pochi momenti mi feci interiormente domande come "Dove mi trovo?" oppure "Cosa ci faccio qui?" ma poi scorsi una foto e tutti questi pensieri scomparirono d'un tratto, chiesi a Jenny di farmi vedere meglio la foto. C'erano raffigurati sei o sette persone con le braccia sulle spalle l'uno dell'altro e sia Roberta che Jenny c'erano.
In quella foto c'era un viso che già avevo visto ma capì di chi si trattava solo quando vidi un particolare:il polso di questa persona che sbucava dalle spalle dell'amico accanto. Sul polso di questo uomo c'era un tatuaggio:tre pallini allineati.
"Chi é quest'uomo? Lo conoscete?" chiesi. Roberta mi rispose solo che ci aveva scherzato qualche volta durante quel campeggio ma non lo conobbe meglio."Ma certo, Saverio" mi rispose Jenny "quel ragazzo sapeva fare di tutto durante quel campeggio, diede a tutti quanto una mano per montare quelle odiose tende e poi riuscì a ad accendere il fuoco e a tenerlo vivo con una scatola di fiammiferi, insomma era un tuttofare." mi sorrise e mi baciò.
Quando io e Jenny ci ritrovammo soli le chiesi di tutto su Saverio, ma mi disse che le altre sue amiche lo conoscevano meglio, lei lo conobbe solo in quel campeggio, così mi faci dare il numero di una delle sue amiche che pensava che conoscesse Saverio.
Finite le festività chiamai Beatrice chiedendole se conosceva Saverio e se poteva darmi più informazioni possibili su di lui."Allora Saverio lavora alla capitaneria di porto di La Spezia e lì pure ci abita, non è da molto che s'è trasferito infatti ci sentiamo ogni tanto". Mi feci dare il numero di telefono ad anche l'indirizzo, pensai che per essere così dispiaciuta mentre diceva queste cose tra Beatrice e Saverio ci dovesse essere stato qualcosa di sentimentale che ormai era passato, ma non m'interessava più di tanto, volevo solo incontrare Saverio per capire perché m'aveva detto una frase del genere senza nemmeno conoscermi e come faceva a sapere che io ero del sud.
Decisi così di andare a La Spezia il sabato di due settimane dopo, raccomandai Beatrice di non avvisare Saverio di nulla.
Trovai il palazzo dove abitava Saverio ma senza fargli sapere di essere arrivato suonai il citofono di un'altra persona. "Chi è?" Io ero del sud e tutti i ragazzini del sud sanno che quando vogliono farsi aprire un palazzo, per fare uno scherzo o queste robe stupide, basta rispondere "Volantini" ed è così che risposi.
Il portone del palazzo si aprì, c'erano due biciclette, salii piano per piano controllando tutti i nomi presenti alle porte.
Al secondo piano trovai il cognome che Beatrice mi aveva riferito così decisi di suonare il campanello: "Dlin Dlon".
"Dlin Dlon" non rispondeva nessuno "Dannazione!" esclamai. Aspettai cinque minuti suonando il campanello con un intervallo di un minuto ogni volta dopodiché me ne andai, chiamai Beatrice per sapere che tipo di turni faceva sul lavoro ma non ebbi il tempo di tornare a La Spezia perché il giorno della mia partenza arrivò prima.
Stamattina è arrivata una chiamata in ufficio:era mio padre che era riuscito a contattarmi. Non volevo parlargli ma doveva essere successo qualcosa così ho risposto e mio padre sin da subito schietto e conciso ha pronunciato quelle poche e fatali parole che non potevo immaginare: "Tua madre è morta".
Ho pianto davanti ai miei colleghi ma non me ne importava nulla e sicuramente avrebbero capito. Così ho cercato di fare tutto il più possibilmente veloce, ho preparato un piccolo zaino e mi son fatto prenotare un aereo da Jenny che m'ha anche accompagnato all'aeroporto.
Al gate per il mio aereo c'era gente di tutti i tipi, signori in giacca e cravatta con la borsa del loro computer, mogli che tornavano a casa con i loro figli perché venuti a trovare il padre che lavora al nord, c'era un ragazzo, ventenne dall'aspetto, che indossava la divisa dei carabinieri.
Salito sull'aereo decisi di sedermi, dato che i posti non erano assegnati, vicino ad un ragazzo che indossava una tuta della Legea.
La voce registrata mi ricorda di spegnere il cellulare ma appena lo prendo in mano inizia a squillare e la chiamata proveniva da un numero che non conoscevo, decido di rispondere perché avrei staccato subito la chiamata dato che l'aereo stava per partire.
"Pronto" risposi "Sono Saverio, so che m'hai cercato e so che stai tornando a casa, cerca in tutti modi di scendere da quell'aereo" "ascolta Saverio, io devo tornare a casa perché mia madre è morta, se m'avessi potuto spiegare prima cosa sta succedendo adesso avremo potuto parlare tranquillamente, ma" in quel momento una hostess mi fa segno di spegnere in cellulare e sempre gesticolando le faccio capire che l'avrei spento in pochi secondi.
"Saverio, io sto partendo e devo spegnere il cellulare, mi spiegherai tutto quando tornerò" "non tornerai mai, il Valknut ti ucciderà" e chiuse la chiamata.
Così dopo essere decollati ho deciso di scrivere questa storia raccontatami sino alla nausea, la mia storia.
Manca ancora mezz'ora all'arrivo, è una giornata limpida che riesco a vedere la Sardegna dal finestrino, mentre mi rigiro per rimettere a posto il computer scorgo dallo spazio tra i sedili davanti a me il tatuaggio sul polso della persona seduta davanti a me:é un Valknut.
Ho capito le parole di Saverio così vado nei bagni nella coda dell'aereo.
Adesso sono chiuso qui in bagno cercando di escogitare qualcosa per fuggire, aprire il portellone mi ucciderebbe di freddo o comunque devo prima trovare un paracadute, restare calmo aspettando che atterri può essere un'idea stupida in caso avesse intenzione di uccidermi dopo essere usciti dall'aereo, dare l'allarme alle hostess non è una buona idea, può darsi che quel tatuaggio sia solo una coincidenza, tornerò a sedermi ma chiederò ad una hostess di poter cambiare posto cosicché appena sceso dall'aereo cercherò di far perdere le mie tracce e di non farmi vedere.
Apro la porta del bagno ma un uomo mi spinge dentro ed entra afferrandomi per il collo, non riesco a gridare, non riesco a parlare ma cerco di liberarmi in qualsiasi maniera ma qualsiasi cosa faccia mi sembra inutile, l'assassino mi ripete per tre volte con molta rabbia "tu non capisci cosa significa" , capisco tutto quando abbasso lo sguardo verso la mano che che mi sta uccidendo, su quel polso è tatuato il Valknut.
Ogni volta che mi veniva raccontata questa storia speravo che il finale cambiasse, adesso che io la racconto a voi non trovo motivo di cambiarlo.
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- Inquietante... io l'avrei pubblicato come racconto surreale...