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Il colore della Paura

All'età di tredici anni presi a nuotare fino alla boa ancorata a circa cento metri da una scogliera che si allungava parallelamente alla spiaggia. Ci andavo da solo, mi buttavo in acqua e nuotavo. Non ero forte di braccia e non avevo neanche molto fiato. Per dirla tutta non ero nemmeno un buon nuotatore. Quello che mi piaceva era arrivare allo stremo delle forze per rischiare di affogare.
L'andata era facile. Non riuscivo a nuotare di filata e mi fermavo periodicamente per recuperare energie. Avevo un fisico mingherlino, non per via dell'età, ma perché avevo proprio un fisico debole da sfigato.
Raggiunta la boa restavo lì per un po'. Guardavo la costa e i colli liguri che si alzavano diventando montagne. Avevo la sensazione di osservare un pezzo del pianeta Terra. Ascoltavo il silenzio e il rumore del mare. Meraviglioso.
Ma a stare troppo tempo fermo mi veniva freddo, quello era il momento di ritornare nella società civile e crudele. Riprendevo la nuotata.
A metà strada del ritorno finivo la benzina e da lì in poi mi dovevo fermare in continuazione. La scogliera mi sembrava lontanissima e irraggiungibile. Le mie braccia da tredicenne sfigato non reggevano lo sforzo. Sentivo la pressione del mare comprimere i polmoni e mi mancava il fiato. Non era uno scherzo, in quei momenti ero davvero in serio pericolo di vita. Era quella la sensazione che cercavo e che mi spingeva a buttarmi in mare. Non lo facevo per goliardia, anzi quando percepivo che potevo "restarci" mi sentivo un imbecille che rischiava la vita per nulla. Ma in quei momenti tutto acquisiva un senso, tutto era bianco o nero, vita o morte. I pensieri inutili, le fantasticherie e le ossessioni che normalmente mi vorticavano in testa scomparivano. Il sentirmi in pericolo di vita mi metteva pace nell'anima. Contava solo riuscire a restare a galla e potevo farcela solo se avevo voglia di vivere. E lei, la voglia di vivere, arrivava puntuale. E puntualmente mi sorprendevo di possederla. La guadavo stupito, incuriosito e lusingato. Mi vantavo di averla come una donna può vantare di avere un anello di diamanti. La mia voglia di vivere mi riportava alla scogliera. Arrivato mi tiravo su e rimanevo a respirare con i polmoni completamente dilatati. Poi, dalla scogliera, tornavo in spiaggia. E la voglia di vivere non c'era più.
Capitò, in una di queste nuotate, un evento destinato a cambiare per sempre il mio rapporto col mare.
Stavo ritornando dalla boa verso la solita scogliera, quando notai che il mare sotto di me diventò scuro, allora mi fermai a guardare giù verso il fondale. Come è vero che al mattino sorge il sole vidi una enorme sagoma di un "pesce" lunga almeno un paio di metri. Dalla forma che aveva mi sembrò uno squalo. La paura mi colpì allo sterno con la forza di una mazzata rompi pietre e persi l'uso della vista. Vedevo solo il colore bianco.
Mi era già capitato di svenire per via della mia pressione bassa; in quei casi vedevo inizialmente una grana nera e bianca, come quando la TV non prende il canale, poi diventava tutto nero e perdevo la percezione del corpo. Ma dopo aver visto quella sagoma il mio campo visivo si era azzerato al solo bianco. Tutti gli altri sensi funzionavano perfettamente e avevo il pieno controllo del mio corpo.
Riassumendo: ero in mezzo al mare, solo, ceco, stremato, e con un presunto squalo sotto di me. Se in quel momento mi avesse colpito anche un meteorite la cosa non mi avrebbe sorpreso. Nuotavo per tenermi a galla, ma non sapevo dove dovevo andare. Lentamente mi ritornò la vista e la mia respirazione riacquistò un un ritmo abbastanza umano. Riguardai giù: non c'era nulla. Ok, mi dissi che poteva essere stato un ammasso di alghe o uno scoglio. Dovevo averne le prove. Nonostante fossi sfiancato fisicamente, nuotai in lungo e in largo in quella zona scrutando il fondale quasi fossi un sonar vivente: vidi solo sabbia. A dire il vero, dato che lì nuotavo spesso, conoscevo bene quel posto e non avevo mai visto nulla sul fondale. Ritornai alla scogliera, ero stremato. Appena riacquistai un po' di energia realizzai che avevo scoperto che il bianco era il colore specifico della paura.

 

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14 commenti:

  • eurofederico il 13/08/2014 18:02
    ci si mette spesso alla prova per dare un senso a tutto... per trovare stimoli... e non ci basta mai!
  • Pepè il 05/05/2011 00:56
    Grazie Massimo. Hai intuito che in realtà il racconto (genere pagina di diario) in originale era più lungo. E continuava spiegando come il mio rapporto col mare si è modificato. Qua ho lasciato quella frase a dividere i 2 tempi del racconto. Ero indeciso se lasciarla così o modificarla. Penso di aver preso la scelta sbagliata perché creo un'attesa che poi non viene soddisfatta.
    ho continuato a darci dentro a nuotare per altri 15 anni. Ma adesso non mi entusiasma più... non so perché.
  • Massimo Bianco il 04/05/2011 20:29
    Un buon racconto, mi è piaciuto, s'intuiva che era autobiografico. Però sono rimasto un po' deluso che sia finito subito, avrei voluto che continuasse, ad esempio spiegando come è cambiato da quel giorno il tuo rapporto con il mare e se hai continuato a nuotare. Vedo comunque che rispondendo a un commento dici di aver continuato a nuotare, in seguito.
  • paola marisa il 02/05/2011 00:44
    Certo che sono io, caro Pepe G!
    Chi lo sa? Se mi viene l'ispirazione, forse un giorno leggerai qualcosa di mio. Vedremo...
    P. S. Per restare in tema di bianco: anche "La sedia bianca" mi è piaciuto moltissimo
  • Pepè il 01/05/2011 19:52
    Paola quale onore. Ma tu sei Paola Marisa M.? amica lonatana geograficamente? Spero di leggere qualcosa di tuo su questi schermi.
  • paola marisa il 01/05/2011 18:41
    Ecco fatto, mi sono iscritta appositamente per votare questo tuo racconto.
    Indubbiamente il bianco è il colore della paura. Durante gli attacchi di panico si diventa bianchi come cadaveri.
  • Anonimo il 30/04/2011 15:01
    Hai ragione...è quello. che stupido... non ricordavo il titolo... ciaociao
  • Pepè il 30/04/2011 14:59
    Giacomo non ho trovato il racconto "Lo squalo" ho letto uno dal titolo "Il mostro marino" che parla di uno squalo bianco e di tutta la paura che ti riesce a buttare a dosso. Comunque io me la farei sotto al solo vedere un cefalo gigante.
    Nei tuoi racconti c'è molto mare. Questo mi piace.
  • Anonimo il 30/04/2011 13:49
    Pepe, non ti preoccupare... ahahah... leggiti il mio racconto Lo squalo, e capirai... ciaociao
  • Pepè il 30/04/2011 13:46
    Grazie a tutti.
    Giacomo non c'è dubbio il colore della paura è il bianco. Non ti conviene pesare al mio racconto durante la prova di nuoto: potrebbe comparire uno squalo!!!
    Nunzio il mio racconto è un fatto reale in tutto e per tutto. La paura come emozione che dia la voglia di vivere... adesso quelle cazzate non le faccio più ma mi è rimasta la paura di ombre improvvise mentre nuoto.
    Michele ogni mare anche quello splendido calabro cela dei pericoli inattesi. Ma non demordere, nuotare è bello.
    Paola grazie per il tuo commento.
  • Anonimo il 30/04/2011 13:18
    Aggiungi alla tua unica esperienza questa mia, verificata per anni: i colori che il polpo assume in funzione del suo stato d'animo. Sott'acqua, con le bombole, ho sperimentato più e più volte che il colore della paura è il bianco... un polpo impaurito diventa bianco come il latte. Il rosso marrone è il colore della tranquillità ed i multicolori sono quelli dell'attenzione, dell'allerta. ciaociao, domani ho una gara di nuoto e ti penserò.
  • Anonimo il 30/04/2011 05:44
    Una volta si diceva andare a caccia di sensazioni forti, poi in seguito è prevalsa la teoria che si agisce in un certo modo per combattere il male di vivere, la noia esitenziale. Una bella scarica di adrenalina ti riporta la voglia di vita, come dici tu nel tuo bel racconto "... la mia voglia di vivere mi riportava alla scogliera...".
    Non so se la tua storia sia tratta da un fatto reale o sia un parto della tua fantasia, comunque è proprio a quell'età che si iniziano a compiere certe cazzate, per conoscere "il colore della paura".
    Ottimo.
  • Michele Rotunno il 30/04/2011 00:41
    Alcuni anni fa, vincendo l'antipatia congenita che ho col mare decisi di imparare a nuotare da autodidatta. Era con la famiglia a Roseto Capo Spulico, in Calabria, e a dieci metri dalla riva l'acqua era già profonda un metro e mezzo. Individuai un tragitto parallelo alla riva lungo una trentina di metri racchiuso da due scogli che spuntavano dall'acqua. Dopo vari tentativi con uno stile personale, il delfino a dorso, provai l'intero percorso. Ci stavo riuscendo solo che in quella posizione non vedevo nulla davanti e andai a speronare lo scoglio. Bestemmiai a più non posso e rinunciai definitivamente.
    Lo so non c'entra nulla ma me lo hai fatto ricordare.
    Bravo
    Ciao
  • Anonimo il 29/04/2011 22:14
    Una significativa esperienza di vita. Piacevole racconto.

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