racconti » Racconti del mistero » Il risveglio di Jackie
Il risveglio di Jackie
“Ciao!... sì certo!... ciao, ciao, divertitevi! Sì che mi ricordo…ciao!”.
Le solite raccomandazioni e i saluti di circostanza accompagnarono la porta che Jackie si chiuse alle spalle, senza voltarsi nemmeno un momento.
Per qualche secondo il silenzio della villetta di periferia fu la colonna sonora della sua libertà, ora che i genitori, con sua sorella Annalisa, erano partiti per una vacanza di quindici giorni in un paese della Sardegna di cui Jackie non conosceva nemmeno il nome.
Libertà, libertà. Ampia scelta sulle cose da fare, ma soprattutto su come farle, gestirsele.
A ventuno anni non si poteva certo dire che fosse un bambino; il vivere in casa con i genitori era necessario durante gli studi universitari e non aveva certo ofuscato la maturità e l’indipendenza da giovane uomo che Jackie si incollava addosso tutte le volte che usciva di casa.
Si appoggiò con la schiena alla pesante porta blindata e si godette ad occhi chiusi la partenza del nucleo familiare, sperando che non avessero dimenticato niente che richiedesse un rapido ed imprevisto rientro.
Jackie ovviamente non era Jackie ma Giacomo, dal momento che era nato e risiedeva in un piccolo comune dell’Emilia Romagna; niente stelle e strisce, niente di esotico, ma portava comunque volentieri quel soprannome che gli era stato cucito addosso fin dalle scuole elementari.
Camminando verso la sua stanza non potè non ammirare lo splendido lavoro fatto da sua madre che, come se si avvicinasse una guerra, aveva preparato alla perfezione il fortino che Jackie avrebbe difeso e vissuto nelle successive due settimane, pulendolo da capo a piedi e rifornendolo di tutto il necessario.
Ovunque si girasse Jackie vedeva ordine, qualsiasi cosa cercasse con lo sguardo era lì: i soprammobili erano dritti, gli asciugamani in bagno erano puliti e piegati, saponi e confezioni di bagnoschiuma nuovi e pronti all’uso. I suoi cassetti non avevano mai visto tanta biancheria pulita e perfino la scarpiera pareva avere un volto nuovo.
“La quiete prima della tempesta”, pensò Jackie sorridendo.
Non era sicuro di voler organizzare qualcosa con i suoi amici, ma era certo del fatto che non sarebbe riuscito a far trovare una casa così al rientro dei genitori, per quanta buona volontà ci potesse mettere.
La prova finale consisteva nella dispensa, che Jackie aprì con lentezza quasi religiosa per non rovinarsi il colpo d’occhio della spesa appena fatta.
Era tutto lì.
Mille scatole, risotti in busta, pasta di tutti i tipi, crackers e biscotti oltre ad un paio di confezioni sigillate delle merendine preferite da lui e da Annalisa.
Di bene in meglio, ora ci si poteva veramente rilassare.
Il divano, che di rado poteva godersi fino in fondo, sembrava chiamarlo insistentemente, così ben disposto di fronte al televisore al plasma che Jackie aveva tanto voluto.
Un pensiero corse a Sofia, la sua ragazza, una morettina semplice e simpatica che studiava economia a Bologna; durante la settimana Sofia stava in appartamento con altre studentesse nella città universitaria, quindi Jackie e Sofia si potevano vedere solo nei fine settimana.
Lui era veramente affezionato a lei, ma in quel momento il pensiero che lei non andasse conteggiata nei suoi impegni amplificò la sensazione di libertà che la partenza dei genitori aveva appena acceso in lui.
Alla fine decise di accomodarsi sulla poltrona in pelle, perché non voleva rovinare immediatamente la perfetta disposizione dei cuscini sul divano, ed il modo altrettanto preciso con cui sua madre aveva disposto il telo copridivano.
Impugnò il telecomando come se dovesse premere il bottone decisivo per la sopravvivenza della fortezza di cui gli avevano assegnato il controllo, con la stessa gioia e senso di onnipotenza.
Mezz’oretta di televisione via satellite, su un canale che trasmetteva documentari storici che creavano sempre assuefazione in Jackie, bastò a riposarlo e a dargli la forza di trascinare le ciabatte fino alla sua stanza, per cercare almeno di aprire il libro dell’esame che stava preparando.
Jackie era iscritto al secondo anno della facoltà di medicina, e stava preparando un esame di anatomia che alternava argomenti interessanti a foto che personalmente trovava un po’ macabre e di difficile assimilazione.
Quel giorno a fatica sfogliò le pagine e cercò di ricordarsi nomi di ossa e organi, che gli venivano presentati su carta patinata quasi fossero una cartolina ricordo del cadavere dal quale erano stati estratti.
Un leggero brivido gli percorse la schiena, facendogli venire la pelle d’oca nonostante la calura di luglio e costringendolo a guardarsi intorno nella stanza vuota per distogliere l’attenzione dal libro.
Fin da piccolo, quando gli capitava di restare solo in casa, provava un alternarsi di sensazioni, un misto di pieno controllo su tutto e paura del silenzio e dell’immobilità, quasi come se tutto intorno a lui fosse in statica attesa di qualche misterioso evento.
Un rumore secco dall’esterno lo fece sobbalzare e lo distolse dai pensieri in cui si era perso.
Jackie sapeva che la causa di queste paure era la trasmissione “Ultimo minuto”, in cui venivano proiettati filmati che ricostruivano situazioni critiche e pericolose dalle quali i protagonisti erano usciti grazie all’aiuto di qualcuno, o più spesso grazie a qualche specie di miracolo.
Da bambino la vedeva spesso, ed era capitato che venissero affrontati casi di furti in abitazioni, o aggressioni nel cuore della notte, filmati che lo avevano impressionato molto.
A fatica riuscì a studiare un intero capitolo di anatomia, impresa che lo riconciliò con la coscienza.
Si meritava una ricompensa, il suo fisico meritava una ricompensa, e Jackie decise di infilarsi le scarpe da corsa e di godersi un’ora di tramonto campestre, correndo nelle strade di campagna che partivano nelle vicinanze di casa sua per addentrarsi nei campi.
Scarpe allacciate, occhiali da sole, via al cronometro. Senso di benessere.
Jackie adorava rilassarsi così appena poteva, accompagnando silenziosi pensieri ad un po’ di esercizio fisico.
A metà strada verso la cascina del mulino un alito di vento mosse un fascio d’erba alta alle sue spalle, dandogli la sensazione che qualcosa fosse strisciato dietro ai suoi piedi.
Jackie si voltò leggermente, senza smettere di correre. Niente di strano, tutto normale.
Solo quelle sensazioni, solo impressioni.
Non era uno stupido, e nemmeno troppo facilmente impressionabile, ma la solitudine mette in moto la mente, ed ogni tanto la mente ha dei riflessi che difficilmente si possono spiegare.
Rientrò in casa verso le otto, quando la luce più bella del giorno che finisce esalta i colori della campagna.
Soddisfatto della corsa si chiuse la porta alle spalle; quella sera non sarebbe più uscito, quindi mandata dispari e chiave inserita nella toppa, ovvero il sistema che tutte le porte blindate hanno per evitare che un’altra chiave venga inserita dall’esterno.
La maglietta ed i pantaloncini sudati violarono il fondo del cesto degli sporchi, ovviamente svuotato dalla madre durante le pulizie, e Jackie si abbandonò ad una lunga e rilassante doccia.
Acqua semicalda, porta del bagno aperta, canticchiare. Anche questo serviva ad esorcizzare la doccia in casa da solo, altra immagine cinematografica che spesso suggestionava la sua mente.
Finalmente durante la cena Jackie si rilassò, trovando anche la forza di lavare i piatti prima di abbandonarsi sulla solita poltrona di pelle ed accendere la televisione.
La danza dei canali si fermò su un film che Jackie aveva già visto ma che tutto sommato non era male, la solita commedia all’americana che qualche risata strappava sempre.
Con un’occhio guardò il film e con l’altro il cellulare, mentre si scambiava qualche messaggio con Sofia, prima di seguire un talk show a sfondo sessuale programmato in seconda serata su una rete minore. Jackie trovava sempre divertentissimi alcuni personaggi abituali frequentatori di certe trasmissioni, e quando possibile dava una sbirciatina, assolutamente senza malizia.
Uno sbadiglio. Un altro. Era ora di andare a dormire, nonostante il caldo non conciliasse certo il sonno.
Jackie controllò nuovamente la porta e chiuse anche quella sul retro, accendendo la luce del giardino e gettando un’occhiata in giro come era abituato a fare quando era solo in casa.
Prima di spegnere il computer di camera sua controllò la posta elettronica e ascoltò una canzone del CD degli Strokes che un compagno di università gli aveva appena masterizzato, con le casse e non con le cuffie, per non amplificare la sensazione di isolamento che già pesava in lui.
D’altra parte non era abituato a stare da solo in una casa così grande, completamente vuota e silenziosa.
Dopo aver letto alcune pagine di libro si addormentò a fatica, come sempre gli accadeva nelle calde notti d’estate, spesso spezzate da mezzi risvegli, da coperte arrotolate, da sudore e sensazione di sete.
Silenzio.
Buio.
Solo qualche grillo friniva fuori dalle finestre aperte del secondo piano, sottofondo naturale del sonno estivo in un piccolo paese di campagna.
In un momento imprecisato della notte Jackie subì un mezzo risveglio, rigirandosi sul materasso, ed avvertì un alito di aria fredda sulla guancia che era stata appoggiata al cuscino.
Succede, nelle notti d’estate, soprattutto se si è sudati.
Sensazione spiacevole, comunque, accompagnata dal fatto che nella mente di Jackie si accavallavano le raccomandazioni dei suoi genitori alle ossa sezionate ritratte nelle foto del suo libro di anatomia, in una opprimente via di mezzo tra sogno ed incubo.
Quando Jackie raccontava di queste notti parlava di ossessioni, più che di incubi, riferendosi ad immagini ricorrenti che martellavano la mente in mille modi, anche se magari di per sé non erano cose particolarmente brutte o tristi. Gli succedeva nei periodi di stress o comunque quando un sacco di pensieri gli intasavano la mente; gli era successo anche alcune notti che aveva dormito con Sofia.
Si riaddormentò senza fatica, senza rendersi bene conto dei pensieri che aveva appena formulato.
Quando si dorme non si riesce a pensare chiaramente, nemmeno se il sonno è leggero: piuttosto si assume un umore, un atteggiamento, positivo e rilassato oppure disturbato e nervoso.
Jackie non era tranquillo, e diverse volte si trovò con gli occhi semi aperti a rigirarsi nelle lenzuola sudate.
Un’altra volta il soffio fresco sulle guance…ma che ore erano?
Non ebbe il tempo di controllare perché il sonno lo avvolse nuovamente.
In quelli che poterono sembrare dieci minuti la luce del giorno fatto trafisse le palpebre di Jackie che lentamente si risvegliò, desiderando un grosso bicchiere di succo fresco.
Ovviamente uno dei primi pensieri che lo colse fu lo studio da portare avanti, ma decise di accantonarlo almeno fino alla fine della colazione, come sempre accompagnata dai telegiornali mattutini.
Strabuzzando gli occhi si rese conto che erano già le dieci. Come era possibile? Ma quanto cavolo aveva dormito?
Si maledisse ed affrettò la vestizione, per non perdere una intera mattinata di studio.
Passando per la sala gli cadde l’occhio sul divano, fino ad allora non utilizzato. Il copridivano era leggermente ma visibilmente spiegazzato, e ciò gli parve molto strano; si sforzò ma non riuscì a ricordare di essercisi seduto la sera precedente, né di essersi alzato durante la notte.
Era sicuro di non essere sonnambulo, o almeno così era stato fino ad allora.
Con un misto di inquietudine e rassegnazione si avviò verso la cucina, per versarsi una caraffa di succo d’ananas e mangiare qualcosa.
Aprì la dispensa e per un momento si fermò, attonito. Si guardò intorno come se dovesse spuntare da un momento all’altro un presentatore che gli urlava complimenti, che era su candid camera, e lo invitava a sorridere con lui.
Non successe niente, non saltò fuori nessuno. Non avrebbe riso, comunque.
Davanti a lui il pacchetto di merendine era aperto, e così ad occhio ne mancavano un paio.
Di nuovo inquietudine, ora decisamente più marcata.
Le spiacevoli sensazioni del giorno prima riaffiorarono sulla sua pelle, che reagì come se in quella mattina di luglio facesse davvero freddo.
Escluso il sonnambulismo, per un momento Jackie pensò che i genitori fossero tornati nel cuore della notte e non l’avessero svegliato. Pensiero irreale, che fu subito accantonato a malincuore.
Disorientato si diresse verso camera sua per accendere il cellulare e mandare un messaggio a suo padre, pensando a come mettere giù le parole in modo che non suonassero troppo allarmanti.
Fu allora che se ne accorse, appena uscito dalla cucina.
La porta era aperta, non c’era dubbio.
Non era spalancata, la luce quasi non filtrava.
Era appoggiata allo stipite, ma inequivocabilmente, minacciosamente aperta.
Jackie la richiuse meccanicamente, con lo sguardo perso nel vuoto ed il cuore che batteva suppergiù alla stessa velocità del giorno prima, durante la corsa.
Una scarica di adrenalina gli indurì le gambe quando vide il suo mazzo di chiavi ordinatamente appoggiato sulla piccola mensola dell’ingresso, dove tutti erano soliti appoggiare portafogli e chiavi dopo il rientro a casa.
Cosa era successo?
Le sensazioni che accompagnavano Jackie dal giorno precedente si andavano trasformando in sgomento.
Una rapida occhiata in giro per la casa gli confermò che nulla era stato rubato, il che se possibile aggiunse una punta di inquietudine in più al fragile stato d’animo di Jackie.
Quando entrò in camera sua tutto era come l’aveva lasciato la sera precedente.
Tutto…o quasi.
Rimase colpito dalla sveglia, che essendo sempre regolata sullo stesso orario non veniva quasi mai toccata da nessuno.
Non era nella sua posizione naturale, la sua sveglia blu. Era girata per metà verso la parete, con una angolazione che dal letto non consentiva nemmeno la lettura dell’ora.
Jackie si accorse che la funzione di allarme era stata disattivata.
Con la forza di un pugno nello stomaco si rese conto del perché si era svegliato a mattinata inoltrata.
Con la violenza di una sberla sul viso prese coscienza della situazione.
Capì che quella notte non era stato solo, e lo capì con la stessa sensazione di un freddo alito di vento su una guancia, l’alito di vento che dal giorno prima lo inseguiva nelle azioni e nei pensieri.
Jackie capì che qualcosa o qualcuno non aveva dormito, o comunque si era svegliato prima di lui, intorno a lui, dentro al suo mondo.
Trovò solo la forza di essere contento del suo risveglio, prima di riappoggiare la sveglia sul comodino e comporre il numero della polizia.
123456
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- Lunga e intenza.
- è alquanto inquietante!
quindi missione compiuta...
bel racconto
- Al fine di incrementarne il valore sappiate che è una versione romanzata di fatti realmente accaduti!
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0