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Bloody nails

"Dopo la scomparsa di Tracy Stevens, mia madre non mi aveva più permesso di fare uscite serali. Il fatto che una mia compagna di classe fosse svanita nel nulla, per lei significava che anch'io avessi potuto fare la stessa fine. Quel martedì pomeriggio, quattro giorni dopo la presunta scomparsa della mia amica, i notiziari non facevano altro che mandare in onda foto della sedicenne abbracciata ai propri genitori che sorrideva, con la sua solita frangia che le copriva parte dell'occhio sinistro. Alla nostra scuola, la Exler High School, gli insegnanti avevano organizzato alcuni incontri, dove studenti e genitori potevano partecipare e discutere riguardo Tracy, nella speranza di poter colmare quel vuoto che aleggiava in tutti i nostri cuori. Poiché era la vigilia di halloween, quel martedì mattina avevo chiamato Evans Shannon, il mio fidanzato, chiedendogli di venire la sera stessa a casa mia: mia madre sarebbe partita nel tardo pomeriggio per andare a trovare un'amica che non vedeva da qualche tempo, e che abitava a Saint Luke, così avevo pensato che guardare alcuni dvd horror in compagnia del mio ragazzo, sarebbe stata una cosa carina per trascorrere la notte della festa dei morti. Ebbene, Evans fu entusiasta della mia proposta, dicendomi di aspettarlo vestita da strega per le otto in punto. Laurie mi raccomando fai la brava mentre sono via, aveva scritto mia madre su un pezzo di carta rozzamente scocciato allo schermo della televisione. Alle sei, mezzora dopo la sua partenza, ero salita nella mia stanza, e mentre mi guardavo allo specchio sistemando i capelli in una coda di cavallo, pensavo a quale costume indossare. Mi chiamo Laurie Mason, ho diciassette anni e frequento la 4F del liceo alla Exler High School. Dopo essere stata campionessa per due stagioni consecutive, la mia passione per la pallavolo è cresciuta di giorno in giorno, e sebbene negli ultimi tempi non se ne fosse parlato, poiché anche Tracy, la ragazza scomparsa, faceva parte della squadra, iniziavo a sentire la nostalgia della palestra sottostante l'edificio scolastico. Mentre mi guardavo allo specchio dietro alla porta, avevo avuto l'impressione di essere dimagrita. Le mie guance sembravano meno tonde e il naso più aguzzo. I capelli neri mi scendevano di ben dieci centimetri sotto le spalle, e fare la coda di cavallo era l'unico modo per tenerli in ordine. Mia madre diceva in continuazione che per avere diciassette anni ero bassa, ma questa sua fissazione, in realtà, dipendeva dal desiderio di vedermi più attiva giacché l'ultima volta che mi ero misurata ero 1, 74. Abito nella sonnolente cittadina di provincia chiamata Laketown, nel Canada centrale. Qui l'unico giorno in cui si vedano persone uscire da casa è halloween, altrimenti posso affermare che questo posto, oltre ad essere perennemente avvolto dalla nebbia che sale dal lago Prolunya, è il covo della noia più totale. Dopo diversi minuti di ripensamenti, finalmente presi dall'armadio vicino alla finestra lo stesso completo da strega dello scorso Halloween: una gonna nera, delle calze a rete appositamente strappate in diversi punti, un cappello a punta nero e una maschera che rappresentava la faccia di una vecchia piena di rughe. Il primo dei tanti episodi accadde dopo le sei e trenta, mentre ero in bagno a passarmi il rossetto viola sulle labbra. Di sotto la televisione era accesa, e nell'istante in cui varcai il corridoio per raggiungere a piedi nudi la mia stanza, sentii la voce del padre di Tracy spiegare per la decima volta la dinamica della scomparsa: quella sera era a casa sola mentre noi cenavamo dai vicini, indossava una felpa verde della squadra di pallavolo e un paio di blu jeans. Quando gli Stevens fecero ritorno all'abitazione, secondo ciò che aveva riferito il padre agli agenti di polizia, Tracy era sparita, il suo cellulare giaceva sul pavimento e la porta d'entrata era semiaperta. Una volta nella mia stanza, trovai ciò che avevo dimenticato di portare in bagno: il reggiseno giallo che a me piaceva tanto. Poi, uscendo, con la coda degli occhi intravidi un puntino rosso. Proveniva dalla mia scrivania, anzi, più precisamente da una foto posta su di essa. Rappresentava la mia squadra di pallavolo, e tra le undici ragazze in seconda fila con il completino arancione e minigonna, c'era anche Tracy Stevens. All'improvviso però, la sua faccia era mutata: gli occhi e la bocca erano due buchi neri e profondi, e la faccia era diventata un grumo di sangue che lentamente colava sul resto della foto. A quel punto, avevo urlato cercando di indietreggiare, ma sfortunatamente il mio piede sinistro si era scontrato con l'altro, facendomi capitombolare sul pavimento in legno. Una volta in piedi, sgranai gli occhi concentrandomi di nuovo sulla foto: il volto di Tracy era normale, sorrideva mettendo in mostra i suoi bellissimi denti e i capelli mossi color castano. Mi sentivo confusa, respiravo a fatica e cercavo di spiegarmi ciò che avevo appena visto. Comunque, le stranezze che mi avrebbero accompagnato per tutta la notte non finirono lì. Dietro la scrivania, la finestra era aperta, e fuori, i protagonisti della notte erano solo due: il buio che avvolgeva ogni cosa, e il vento che proiettava le ombre degli alberi grazie al chiarore della Luna. Ebbene la notte di halloween era cominciata e sulle strade s'iniziava a sentire il vociare di bambini in cerca di dolciumi. Portandomi vicino alla finestra per chiuderla, notai una strana figura nel mio giardino: era immobile, indossava un lungo lenzuolo bianco che la ricopriva fino al terreno e sulla parte alta centrale, c'era dipinta in nero una bocca triste a U rovesciata e due occhi neri. Pensai subito si trattasse di Kyle Benson, il mio vicino di casa che normalmente si divertiva a terrorizzarmi con maschere da film dell'orrore, invece quando pronunciai il suo nome, non ricevetti alcuna risposta. All'inizio mi ero sentita stupida, in fondo chi si sarebbe stupito di vedere qualcuno mascherato per la notte di halloween? Poi, come d'incanto il campanello suonò, quindi chiusi la finestra e velocemente, scesi le scale precipitandomi alla porta. Dolcetto scherzetto, la luce saltò. Sul pavimento c'erano delle impronte di piedi insanguinate che portavano allo sgabuzzino. Frugai nelle tasche trovando un accendino, e con il cuore che mi palpitava in gola, seguii quelle tracce con lo scricchiolio del pavimento sotto i miei piedi: la porta dello sgabuzzino era aperta di qualche centimetro, e mi bastò fare pressione con la mano destra per avere la visuale libera. Ricordo che appena vidi il cadavere di Tracy rannicchiato nell'angolino, con le braccia che cingevano le gambe, e la gola tagliata da un orecchio all'altro, mi venne da vomitare; la ragazza dalla faccia spigolosa, che fino a quattro giorni prima aveva giocato nella mia stessa squadra di pallavolo, indossava solo il reggiseno e le mutandine, e il sangue che dapprima colava sul collo, poi seguiva lungo le braccia diramandosi, aveva formato una pozza che lentamente cominciava a inzupparmi la punta delle scarpe. Poi, mentre ero indietreggiata urlando, chiusi gli occhi portandomi le mani alle orecchie. Uno, due e tre, a occhi riaperti lo sgabuzzino era tornato vuoto: una scopa, alcuni secchi, degli stracci e qualche dozzina di vecchi quotidiani, ma niente cadaveri! Non sapevo davvero che cosa mi stesse accadendo: la luce non era saltata e il campanello di casa stava suonando ancora. Con le gambe tremanti, raggiunsi la porta, la aprii e mi ritrovai davanti William McKinnon, mio cugino. Indossava dei jeans neri e una felpa anch'essa nera con un teschio bianco stampato sulla parte frontale. Era venuto per chiedermi di accompagnarlo alla festa che c'era nella palestra del liceo: vagamente ne ricordavo i volantini che avevano distribuito a scuola giorni addietro. Comunque, con la faccia ancora pallida per l'allucinazione appena avvenuta, gli dissi di no. Ricordo che William aveva fatto un sorriso chiedendomi se stessi bene, allora gli domandai se entrando dal giardino, avesse visto qualcuno mascherato da fantasma con una bocca disegnata a mano. Mio cugino rispose di no, e che pertanto, essendo halloween, la maggior parte delle persone portava delle maschere sui loro volti".

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2 commenti:

  • Massimo Bianco il 08/05/2011 19:25
    Pur con la presenza di qualche cliché tipico del genere, presumo voluto, mi pare un buon racconto. La tensione viene tenuta alta in modo soddisfacente. A mio parere sarebbe però opportuno che tu andassi a capo molto più spesso, a costo di allungare il racconto anche di una pagina, perchè soprattutto la prima pagina risulta troppo compatta e il rischio è di spingere il lettore ad abbandonare la lettura prima che faccia in tempo ad appassionarsi e sarebbe un peccato. Ciao.
  • Anonimo il 04/05/2011 16:41
    bravo scorrevole e appassionante

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