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L'uomo che parlava ai gabbiani

Nel paese di C. arroccato sul promontorio meridionale brullo e calcinato dai venti e dalla salsedine, vi era un faro, solitario, bianco, separato dal paese e congiunto ad esso da un'unica stradina, ripida, tortuosa come un serpente addormentato, disseminata qua e là da spruzzate di ginestre giallognole e violacee che erano l'unico tocco di colore in quell'instancabile biancheggiare, in quel riverbero possente che era esso stesso un faro.
in quel mare di luce, interrotto solo dalle tempeste, dal flagellare dei venti e dal frangersi fragoroso delle onde sugli scoglui, viveva un uomo, un po' curvato dagli anni, canuto, la vecchia pipa perennemente tra le labbra rugose e screpolate dal sole, gli occhi chiari d'un azzurro quasi acquoso che guardavano lontano, oltre l'orizzonte, come chi è in attesa o chi indugia nei ricordi.
viveva al faro da nessuno sa quanto tempo, in paese c'era chi diceva che vi fosse arrivato molti anni prima, da un paese lontano, per mare, coi capelli ancor bruni, il volto abbronzato, gli occhi ridenti, in compagnia di una donna. la donna nessuno l'aveva mai vista, e solo tra i più anziani vi era chi affermava la sua esistenza.
- a volte- diceva un vecchio pescatore, dopo il terzo bicchiere- nelle giornate di pioggia, sul far del tramonto, li si vedeva entrambi stare lì fermi, rivolti al mare, e così vicini, tanto vicini da potersi pensare che lui la tenesse sulle braccia. si vedevano chiaramente di lei solo i capelli, i lunghissimi capelli che si confondevano col vento come ali di gabbiani impazziti...
- Perchè nelle giornate di pioggia, Pascali?- diceva un altro.
-Sono fantasie. Una donna non sopporterebbe di vivere in un faro, senza uscire, senza veder gente, senza la sua vita di donna, insomma...-
-E poi- continuava- che fine avrebbe fatto questa qui, eh, me lo spieghi?-
A queste domande il vecchio pescatore Pascali non sapeva rispondere, si limitava ad atteggiar le labbra in una smorfia di dubbio e a strizzar gli occhietti cisposi come a scavar più profondamente nei ricordi annebbiati dall'alcool e dalla vita aspra.
Il paese era situato a valle rispetto al promontorio del faro, che lo sovrastava come un monte, vicino e tuttavia lontano, diverso, estraneo, bisognava salirci apposta, e nessuno ne aveva voglia dopo esser rimasti in mare a tirar giornata, e dopo esser tornati stanchi e inselvatichiti dalle magre.
L'unica cosa di cui si aveva voglia era di sedersi davanti a un piatto caldo e un paio di bicchieri per stemperare gli animi incartapecoriti dall'umidore.
L'uomo scendeva talvolta in paese. Assai di rado, per la verità, quando il bisogno di soddisfare le più elementari necessità della vita si rendeva impellente. Ce lo si trovava davanti tutt'a un tratto, come un'apparizione, senza che alcuno lo avesse visto scendere per la tortuosa viuzza che come un cordone ombelicale univa i due stranieri mondi, col suo maglione di lana grossa, una volta grigio una volta blu, i pantaloni neri, un po' cascanti, risvoltati a mano, le scarpe di tela ruvida scolorite e polverose.
Arrivava sempre di primo pomeriggio, che molti erano fuori o sonnecchiavano, e faceva sempre lo stesso percorso. Non si fermava mai a lungo, non chiacchierava con nessuno, faceva sempre le solite visite, prendeva tabacco, viveri, una manciata di chiodi, dello spago, qualche arnese nuovo e immediatamente spariva, così come era venuto. Non prendeva mai pesce.

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