username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti su problemi sociali

Pagine: 1234... ultimatutte

Co-raggio di luna II

Un corvo spiccò il volo. L'aveva impaurito un sasso, un sasso caduto non troppo distante provocando un lieve fruscio delle foglie ingiallite di un tiglio. Un buco nell'acqua. Luigi prese da terra un'altra pietra e la lanciò in direzione di quei silenziosi guardiani della storia, arbusti che avevano visto il passaggio di molteplici eserciti, gente dalle varie provenienze che approfittava della disgregazione delle persone che abitavano da diverso tempo quei territori. Era un buco nell'acqua con quei soggetti, impegnati a inseguire qualche fine da cui sperare di trarre un vantaggio, un piccolo miglioramento, anziché inseguire il fine. Che sarebbe stato un nuovo inizio. Salì sul suo cavallo e si addentrò nella selva. Subito si accorse di un profumo diverso, un profumo nuovo, un profumo che non aveva mai percepito dalle sue parti. Come se avesse bevuto un sorso di guaranito, come se fosse tornato nuovamente in Brasile, come se fosse stato in preda a una sensazione di piacere. I ricordi lo ubriacarono offrendo un terreno fertile per i suoi pensieri. Solo quando passava delle serate con Gabriele e Giovanni consumando del vino percepiva simili stati d'animo ed aveva solo una certezza in quel momento, tutto ciò che gli stava venendo alla mente non poteva che essere la verità. Lì era legge, pensò. In quella piccola comunità il silenzio, la pace, quel profumo erano diventati legge sulla base di un tacito accordo, di una volontà comune. Strattonò il suo cavallo ed invertì la corsa. Stava percorrendo un sentiero illuminato dalla luna. Era grande, luminosa e proprio davanti a lui. Sapeva che non l'avrebbe raggiunta ma aveva intuito che era quella la direzione giusta da seguire.
Sono più le persone che appoggerebbero l'operazione che quelli che la ostacolerebbero. Alla maggior parte della gente non gliene frega un cazzo, basta lasciargli il loro orto da coltivare per renderli felici, ma anche molti commercianti se ne sbattono. Gli unici ad aver paura sono i nobili

[continua a leggere...]

   0 commenti     di: vasily biserov


Lucidità

A fatica aprivo gli occhi, intorno a me la solita merda, un cumulo di cose di ogni genere sparse in ogni parte senza alcun senso. Faceva freddo ed era buio, filtravano dalla finestra sbarrata pungoli di luce, qua e la, dipingendo, forse realmente, o solamente nella mia mente, giochi di luce e ombre lugubri, demoni straziati dal dolore, dipinti da lacrime di sangue, ombre riflesse del mio essere, frutto di un'insensata razionalità, parte costante della mia persona. Libri buttati dappertutto, vestiti in terra, ogni sorta di lerciume avvinghiato alle pareti, ai pavimenti, ai vestiti. Il puzzo trasaliva da ogni parte della stanza, una fogna circondata da quattro mura di cemento spesso, rifugio di anime dannate, una latrina ripugnante, esempio del mio modo di essere, senza limite ne vergogna. Mi tirai su, ovviamente mi ero addormentato a terra, avevo ancora al braccio il laccio emostatico improvvisato, una cintura di cuoio, di quelle belle, alla moda, esempio di una vecchia vita, che quasi non ricordo più. La siringa, sporca di sangue rappreso appoggiata sulla bustina vuota di quella sostanza che tanto odiavo ma indispensabile come l'acqua e il cibo. "Grazie a Dio prima di partire, ero riuscito a togliermela dal braccio, chi sa che cosa sarebbe successo se l'avessi lasciata infilata nella vena, si sarebbe potuto spezzare l'ago, e si sarebbe squarciata la vena, forse sarebbe stato meglio così". Ed ecco che si fece sentire, quel morso gelido alla bocca dello stomaco, quel terrore insensato che attanagliava ogni pensiero, avevo bisogno di quel bacio gelido; avevo bisogno della mia carceriera, della mia salvatrice, avevo bisogno dell'eroina. Niente viveva più in me, solo il desiderio indomabile della ricerca di quel primo viaggio di due anni prima. Già, due anni fa... Era molto diversa la vita due anni fa. Maledetto quel giorno di due anni fa, maledetto! Pensavo che forse avrei dovuto farla finita li, avrei dovuto fare un ultimo viaggio, quello più intenso e senza rito

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: gabriele


Forse un giorno

Sono sbagliato. Non c’è altra spiegazione. Sono un errore genetico. Il mio DNA è stato trascritto male al momento del concepimento. Sono certo sia una cosa del genere.
Dio ha detto che la donna è affidata all’uomo ed essi amandosi dovranno procreare, il matrimonio stesso è concesso solo fra uomo e donna…a parte in poche nazioni che fanno eccezione.
Dunque io non sono normale. Io come tutti quelli come me.
La normalità esiste, mia madre mi ha insegnato che normale è tutto ciò che fa la maggior parte della gente e ciò che non crea scandalo. Quindi poiché io creo scandalo ovunque vada e non faccio cose che la maggior parte degli altri fa, io non sono normale.
Quelli come me vengono puniti, guardati male, discriminati, maltrattati, sfottuti…ed è giusto perché non sono cose che si fanno quelle che la gente come me fa.
Forse con le punizioni la smetterò un giorno.
Forse un giorno in questo modo potrò diventare normale e guarire da questa malattia.
Forse un giorno riuscirò a diventare quello che dovevo diventare da piccolo.
Forse prima o poi non mi ecciterò più guardando i ragazzi, forse i sogni smetteranno, forse il mio corpo risponderà ai miei comandi…chissà.
Forse un giorno smetterò di essere omosessuale.
Lo spero. Non ho scelta, devo sforzarmi e far di tutto affinché sia così…altrimenti se mia madre lo scopre muore. Piuttosto che accettarmi si ucciderebbe.
E poi come posso pretendere di farmi accettare da qualcuno se prima non mi accetto io?
Ma come posso?
Voglio dire…è inaccettabile essere così mostruoso.
Sento spesso i discorsi di mia madre, dice che i gay sono peggio degli animali. Quando sento certi discorsi da mia madre è come se venissi pugnalato mille volte.
Vorrei andare da lei e piangendo chiederle in ginocchio perdono per quello che sono, dirle anche che non è colpa mia…e supplicarla di non considerarmi peggio degli animali…pregarla di amarmi lo stesso.
Ma poi non ce la faccio mai.
Sono solo un vigl

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Astrid Basso


Identificazione mancata

Io sono l'Addetto alla Registrazione delle Entrate, Ufficio 5, Sottosezione 3, ma tutti qui mi chiamano Addetto all'entrata. Non ricordo da quanto tempo lavoro nella Grande Azienda: i giorni si susseguono tutti uguali, come i mesi e gli anni fiscali.
Alla fine di ogni giornata il Presidente mi da una pacca sulla spalla e mi sorride, soddisfatto.
Alla fine di ogni mese il Presidente mi da 1100 euro in una busta bianca e mi sorride, soddisfatto. Alla fine di ogni anno fiscale il Presidente commenta con me l'andamento dell'Azienda, i progressi e i recessi e mi sorride, soddisfatto. Mi dice di pensare a riposarmi, di andare a sonnecchiare su qualche spiaggia tropicale come lui sicuramente farà con la segretaria, all'insaputa della moglie.
Ma io non posso mica. E poi non ne ho mica bisogno. Mia moglie comincia, ogni primavera, la sua tiritera per convincermi a portare i bambini da qualche parte. Ma io non posso mica. Non me la sento di lasciare la città, non voglio allontanarmi dall'ufficio, dalle mie carte tutte in ordine, dal pessimo caffè della macchinetta, dal Presidente che sorridente mi promette un aumento che non arriva mai, prima di darmi una pacca sulla spalla e chiudersi nell'ufficio con la segretaria.
Io sono l'Addetto alla Registrazione delle Entrate, Ufficio 5, Sottosezione 3, e ogni mattina, puntuale, alle 8 sono seduto alla mia piccola scrivania bianca, poggiata su un pavimento bianco, nel mio piccolo cubicolo bianco vicino all'ingresso. Afferro la mia penna bianca, allargo un po' il nodo della cravatta, e rimango in attesa. Rimango in attesa di un cliente o di un collega, di qualcuno che voglia entrare nell'Ufficio 5, Sottosezione 3. Quando arriva qualcuno, gli occhi mi si riempiono di gioia: finalmente posso fare la mia parte, far roteare il mio ingranaggio in quel complesso macchinario che è la Grande Azienda. "Prego identificarsi" chiedo con la voce monotona più giusta, con la voce che ci vuole, dice il Presidente, per dare un'idea di profes

[continua a leggere...]



D. O. C. 2 (Con gli occhi di Mara)

Mi sono sforzata, ho provato, ma anche oggi non sono riuscita a trovare i tempi giusti, il rapporto corretto col mondo normale.
È come se - riemergendo dal solito sonno di superficie, l’unico che riesco a raggiungere - dopo un’altra notte trascorsa dapprima a sistemare decine e decine di volte i flaconi dei vari prodotti per l’igiene personale fino a quando la loro disposizione non soddisfa i miei rigorosi criteri; poi insaponandomi metodicamente fino a quando la schiuma non nasconde il mio corpo almeno in parte alla mia vista, ed infine cercando una disposizione inappuntabile delle lenzuola e delle coperte, in maniera che mi ricoprano con sublime precisione, non lasciando fuori nulla di me, nulla della mia persona che possa restare esposto a ciò che di notte aleggia sulla mia mente, il tempo speso in questa febbricitante attività mi abbia mandato fuori sincrono rispetto agli altri, come un film in cui le immagini scorrono con tempi diversi rispetto al sonoro, e mi concede solo due o tre ore di riposo malsano.
Per fortuna Gianni ha il sonno molto pesante, ma in queste condizioni riposare realmente è quasi impossibile, anche perché, per soddisfare le mie necessità, devo anche lasciare la luce accesa, e questo non contribuisce affatto a farlo realmente dormire.
Anche adesso, mentre sono qui in bagno ed ho già ricominciato ad eseguire quella sfilza di gesti obbligati e nocivi dai quali non riesco ad affrancarmi e che anzi, continuano ad aumentare in numero e difficoltà esecutiva, mentre non riesco a smettere di lavarmi, e lavarmi, e lavarmi, e lavarmi ancora le mani, so che di là Gianni stà camminando sul vetro, nervoso ed irritato per il ritardo che sta già accumulandosi sul suo ruolino di marcia giornaliero, e sta pensando alle frecciatine idiote di Terenzi e dei colleghi, alle battutine furbe su quella moglie dalle braccia pallide, eppure non riesco a smettere, non riesco a vincere, non riesco, non riesco……ed il rimorso per la vita a

[continua a leggere...]



No Comment

Nel buio, quattro uomini scendono le scale con un pesante fardello. In silenzio, attenti a non fare rumore, e soprattutto per evitare di far sbattere la cassa sulle pareti. Una volta fuori, la mettono su una macchina che si era fermata di sotto. Dopo averla legata e assicurata bene, la macchina partì. L'accompagnano con gli occhi fino alla sua scomparsa, e poi si allontanano in direzioni diverse.

Un giovane uomo, viaggiando in autostrada, fa attenzione a non oltrepassare la velocità massima, solo problemi con la polizia, no. Sopra la macchina una cassa da bagaglio a forma di barca. L'effetto di alcol è passato lasciando posto a disagio, dolore, stanchezza e una sorta di pentimento. A volte asciuga qualche lacrima. E, di tanto in tanto, un sospiro. Deve passare alcuni Stati, i primi li ha lasciati alle spalle. E, con loro, una parte di ansia e paura. Spesso vede il tetto della cabina e mormora alcune parole, parti di preghiera interrotte da un pianto lento. È entrato in terra rumena... l'ansia sembra lasciare il posto alla stanchezza ed alla fatica. Gli occhi stanno per chiudersi. Si allarma. Dovrebbe arrivare vivo. Vede un autogrill. Decide di fermarsi, un paio di minuti, prendere un caffè e poi partire di nuovo. Perché il tempo non aspetta, deve arrivare in fretta... nessun altro pensiero.

Ferma la macchina, si trascina rapidamente verso l'autogrill, ordina e a aspetta con impazienza il caffè, poi lo beve in fretta. Si sente un po' meglio, almeno le gambe sono più leggere. Esce e cammina dove l'ha lasciato la macchina. Improvvisamente... non crede a suoi occhi. La vettura è lì, con il colore metallo grigio lucida di un beffardo sottotono, la merce è mancante. No, non è possibile, non può succedere. Si sente un pezzo di ghiaccio dal cuoio capelluto fino alle dita dei piedi. È un sogno, un incubo. Dio, ti prego, dimmi... che non è vero... Povero me... Le gambe non la tengono più, la disperazione sta per farlo stramazza

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: suzana Kuqi


Abbandonato

Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?
Le preoccupazioni mi assalgono,
il terrore divampa.
Non ho denaro, Dio mio.
Mi rinfacciano la mia condotta.
" Prova a fare qualcosa... ".
Dio mio, io ho aiutato coloro ai quali chiedo aiuto.
Ma loro danno con l'umiliazione.
Incutono insicurezze nel mio animo che si sta abbandonando a te.
Dio mio, Dio mio, non mi abbandonare.
Gli stenti e le umiliazioni che soffro siano le messe a cui manco.
Dio mio io ti cerco.
Dammi la possibilità di andare avanti.
Così è stato finora nonostante i duri colpi della vita.
Dio mio perché mi hai riscattato?
Per lasciarmi forse in balia degli ingrati?
Moltiplico le preghiere, pratico l'elemosina, perdono al mio prossimo, porgo la guancia e abbasso la testa.
Dio mio, Dio mio dove sei?
L'urlo del mio intimo ascolta e venga a me la tua pace.

Amen




Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Problemi sociali.