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Racconti brevi

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Un giorno speciale

Nella squadra di calcio del Sant'Angelo erano rimasti solo in tre: il presidente, pur rimanendo in carica, aveva di fatto deciso di lasciare la gestione a loro: un allenatore, un preparatore fisico ed un segretario.
Avevano fatto tutto da soli, una squadra in economia, spesso girando le strade in cerca di talenti, parlando con le famiglie per portare nuovi tesserati e comprando il necessario abbigliamento sportivo quasi a spese proprie.
L'allenatore Reboli, un tipo segaligno e di buon cuore, si divideva fra lavoro e sport compiendo tanti sacrifici e facendo i salti mortali per arrivare puntuale agli allenamenti. Il preparatore Simoni non lo avresti apprezzato da lontano perché tarchiato e con un fisico non proprio da atleta al quale sopperiva con lo studio di molti testi del settore e tanta passione. Infine il segretario, un personaggio scuro di carnagione e di capelli che si occupava dei documenti e metteva le regole interne. Era proprio un rompiscatole: non si faceva mai chiamare per nome per non dare confidenza, preferiva un colloquiale "mister" così tanto per tagliar corto, non amava gli scherzi a patto che non avvenissero nelle pause di allenamento, custodiva tutti gli oggetti personali che poi restituiva alla fine della giornata e se qualcuno dimenticava di portare un attestato utile per giocare o teneva un comportamento indisciplinato, erano guai.
Che strano! Gli volevano tutti bene lo stesso.
Nell'organico erano in venticinque ma i più rappresentativi erano in quattro: Filippo, il più serio, parlava poco e lavorava in silenzio, di lui ti potevi sempre fidare, Vittorio, piccolo di statura e timido, teneva gli occhi costantemente bassi ma quando giocava era capace di spunti di grande fantasia e due attaccanti per fare gol: Gennaro che parlava solo dialetto ma, per come giocava, riusciva a farsi capire e Michele che aveva avuto qualche guaio per via di un passato turbolento e il calcio e i suoi amici lo avevano salvato.
Prima di ogni seduta c'era anc

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Uno smeraldo tra l'azzurro parte 2

Ed è il mattino: Antonio si risveglia: sa di aver fatto un sogno singolare: un giardino gli è apparso in riva al mare, vicino al porto, con la Madonnina... È un bel giorno di sole... Nino ha dieci anni: non è andato a scuola, trascinato dall'onda dei ricordi.
In quel giardino, vicino al cancello, ferma, alla soglia dell'età matura, Antonio riconosce la sua mamma:
Pallida e bella, proprio come allora, un fior di cera, cui mancò il cristallo, la mamma, nel vederlo dice: "Nino..."
Nino va verso lei, come un fringuello: "Mamma, sei viva?"
Le bianche membra, scioglie, al caldo petto ricadono le chiome, raccolte sulla nuca. A sé accostando il figlio, e prona sui ginocchi, sul viso lo accarezza, poi gli dice: "Figlio, l'amore supera la morte. So, che mi pensi sempre... Anch'io, lo sai? Non le ho dimenticate le dolci tue bugie... Per non andare a scuola mi dicevi: 'Mamma ho la febbre...' Ti rispondevo: 'Resta dove sei...' E quando eri da solo... Immergevi nel te l'apparecchietto... 'Figlio, hai ragione...' Ti dicevo aspetta... E riguardati sotto le coperte..."
Sul filo dei ricordi, umidi gli occhi, Nino le dice: "Mi ricordo sempre... Temevi il freddo e tutte le intemperie: quando pioveva, mi dicevi sempre: 'No, non ti alzare, resta dove sei... Piove a dirotto... Senti come piove?! Speriamo che fra poco, esca il sole... Ma il buongiorno, si vede alla mattina... E c'è un tempo da orbi..."
E Nino s'interrompe... La mamma lo comprende: "Vieni, ti porto al mare, prendiamo un po' di sole"... S'alzano dalla panca, prendendosi per mano; la mamma ora gli dice, la voce sua normale: "Il mio pensiero è sempre a voi rivolto; onorate Maria che è buona e saggia e prendi per me in braccio il più piccino... Che pianse tanto, e ben me ne rammento... Prendendo la manina il sacerdote, gli disse: "Non vuoi, dunque baciare la tua mamma?" Gli rispondeva: "Non ti rispondo perché sei cattivo: ti sei portato in cielo la mia mamma..." "Vi vedo sempre.

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Guia

" E il nostro dolore sia alleviato dal sapere che quest'anima ha raggiunto la casa del Signore, e che accanto a Lui essa ora sorride..."
Una lacrima incandescente le scese prima lentemente poi sempre più rapidamente lungo la guancia fino a raggiungere e a fermarsi ad un lato della bocca. Laura fu contenta che piovesse e che quella lacrima probabilmente non poté essere vista.
Le castagne cadute a terra splendevano come piccoli globi accesi in mezzo al ghiaino rimasto opaco mentre più in alto gli ombrelli aperti formavano una coltre scura che ondeggiava lentamente a mezz'aria.
Tutte quelle zie venute da lontano a salutare sua madre sarebbero ripartite quella sera stessa o al massimo la mattina dopo. Alcune di loro gli avevano detto che, se aveva bisogno, un piatto di minestra gli sarebbe stato dato. Laura aveva arrossito a quelle proposte e aveva risposto che non faceva niente e che pensava che se la sarebbe cavata. E loro non avevano insistito.
Alcune di queste zie erano state presenti durante l'infanzia di Laura. Una in particolare, Guia, aveva vissuto a casa sua per diversi anni quando era ragazza, perché era venuta in quella città per lavorare con sua madre ed era certa che non si sarebbe sposata.
Sua madre diceva talvolta di Guia che non era molto intelligente e che al lavoro doveva spesso aiutarla per non farle fare brutta figura. Laura soffriva nel sentire questi commenti. Guia, è vero, era un po' come una bambina mai cresciuta. Dopo le scuole dell'obbligo non era più riuscita ad andare avanti e il padre gli aveva fatto fare un corso di dattilografia, corso che poi le era servito per entrare nell'ufficio della sorella.
Quando Laura aveva pochi anni, Guia, seduta per terra e con le gambe incrociate, amava tenersela per ore tra le sue gambe, nella sottana che formava come una culla. E la faceva giocare con i bambolotti o la induceva a ridere a crepapelle, facendole le smorfie o il solletico sotto le ascelle o i piedi nudi. Laura avrebbe sem

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Il praticello dietro casa

Volle tagliare l’erba del suo praticello; così mise in moto la tagliaerba. Il praticello era dietro la casa. Vicino, c’erano la piscina con le sdraio e gli ombrelloni, un tavolino e qualche sedia.
“Ma è possibile che devi sempre tagliare l’erba di sabato?” urlò la moglie dal bordo della piscina.
“E quando vuoi che lo faccia?” gridò il marito.
“Il mercoledì per Dio. Ci sei solo tu a casa il mercoledì sera.”
“Pioveva mercoledì.”
“Ma se non piove da dieci giorni!”
“Beh, qui in giardino pioveva.”
“Cazzo, ma cos’è questo rumore!” urlò il figlio dalla finestra della casa.
“Un motore a scoppio ragazzo mio.”
“Ci farai diventare tutti matti!” gridò la figlia uscendo dalla veranda stropicciandosi gli occhi.
“Martin, smettila. L’erba può aspettare fino a mercoledì!”
“E se dovesse piovere di nuovo?”
“Maaartin!”
“Bastaaa!”
“Ma cristo!”
“Non ne posso più!”
“E spegni quel motore!”
“?”
“Ma siete tutti impazziti?” Martin aveva spento la tagliaerba.
“Quell’aggeggio ci fa saltare i nervi. È terribile!” disse la figlia e si adagiò su una sdraio.
Martin lasciò la tagliaerba sul praticello. Avanzò di qualche passo verso la veranda, si fermò, guardò la figlia ora sdraiata sulla sdraio e guardò la moglie mentre si asciugava le gambe, si girò, alzò gli occhi verso la finestra e chiamò:
“Sergio!”
“Che c’è ancora?” Sergio si affacciò di nuovo alla finestra.
“Vieni giù!”
“Un attimo... sì, arrivo.”
Martin guardò la tagliaerba in mezzo al praticello. Decise di lasciarla lì. Poi andò alla piscina e si sedette su una sdraio. Si coprì con le mani la faccia finché la moglie finì di asciugarsi le gambe.
“Si può sapere che cosa ti succede?” chiese la moglie.
“Ho qualcosa nel cuore. Devo parlarvi. A tutti. Aspettiamo Sergio,” disse Martin e si tolse le mani dalla faccia.
Afferrò un pacchetto di sigarette dal taschino della camic

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Monica non ha più un cuore

Monica ha dato il suo cuore, a mille persone diverse. Monica si è vista ridurre il cuore in mille pezzi come carte da gioco spezzate, da un beffardo banco. Monica ha il cuore chiuso, non batte, non brilla, è chiuso, è nero, è in lutto. Monica è ferita per l'ennesima volta e un altra parte è morta. Già in passato una piccola Monica era passata a miglior vita, era la Monica allegra intelligente piena di amici, donava se stessa a questi cosiddetti amici ma loro la pugnalavano, con violenza inaudita nemmeno alle spalle ma davanti ai di lei occhi. Nessuno ha paura di ferire Monica, Monica si merita questo, l'indifferenza totale. Vomitare in faccia a Monica tutto quello che si pensa è lo sport dei conoscenti di Monica, ma anche di sconosciuti, Fare male a Monica è una cosa bellissima ti fa stare bene, è un antistress. Cosa importa se il suo volto si tinge di pianto? cosa importa se poi a casa lei sta male e vorrebbe morire? Molte volte Monica pensa, e pensa che questa gente la vorrebbe vedere morta... sennò perchè questo accanimento? Monica da tre anni aveva affidato il suo cuore a un altra persona. Ma ora questa persona è andata via. Monica è sola più che mai. Lui non si degna di chiamarla. Monica ha preso il suo piccolo cuore e l'ha messo in un sacchetto, lanciato in un dirupo, ha perso le tracce. Monica non sente alcun dolore. Monica non ha più un cuore.



Non ti sento più

Vorrei sentire ancora che mi manchi.
Lancio un sasso nella pozzanghera che ho davanti e i pensieri rimbalzano uno dopo l'altro nella mia mente serena.
Non ho più giorni da dimenticare. Ne' vuoti da ingoiare.
L'aria fresca mi batte sulle guance e il profumo dell'erba dopo la pioggia mi concede ancora un piacere nostalgico.
Non bado ai capelli spettinati e neanche al viso senza trucco.
Con la punta delle scarpe tocco la terra umida. Poi la tocco con le dita.
Non c'è nessuno intorno e il silenzio mi invade.
Il tempo rallenta. E io con lui. I minuti scorrono piano mentre me ne sto seduta su questa panchina fredda. Perdo lo sguardo. Mi stropiccio gli occhi. Li socchiudo.
Il sole inizia ad andar giù e io non voglio più alzarmi. Striature rossastre in questo cielo autunnale. La luce discreta di un lampione mi fa compagnia. In questa strada di campagna piena di polvere. E fili d'erba. È come se da qui non dovessi più allontanarmi. Respiro l'aria cambiata all'improvviso. Si è alzato il vento. Niente più discorsi confusi. O scuse che non reggono. Il cuore batte tranquillo e le gambe non tremano. Non sento più freddo e ho fame di nuovo. Mi tocco la faccia pulita e abbottono questa vecchia giacca che non mettevo da tanto. Più in là vedo la luce accesa della veranda di casa mia. Da qualche parte c'è un cane che abbaia.
Non sento più le mani. E neanche l'odio che avevo dentro. Non mi ricordo più della tua faccia. O forse saresti tu a non riconoscere me.
Inspiro. Profondamente. Sono immersa in questo lunghissimo attimo. Dolce. Rassicurante. Mio.
Ho ancora tanto tempo davanti. Tempo lentissimo. È tempo di non pensarci più.



La stanza condivisa

L'appartamento in cui soggiornavano era composto da una semplice grande stanza, dove era stato ricavato un piccolo angolo cucina, un mobile a soffitto divideva la zona giorno dalla zona notte dove era posizionato il letto doppio in stile antico, che stonava decisamente col resto dell'arredamento lineare e moderno.
Una porta scorrevole conduceva nel bagno, semplice e pulito, con un grande specchio che rifletteva la finestrella dai vetri smerigliati , e che faceva apparire quel bagnetto molto più ambio del reale.
Proprio sotto quella piccola finestra c'era la vasca in porcellana bianca che, piano piano si stava riempiendo, sotto gli occhi impazienti di Lara che controllava anche la temperatura dell'acqua, poiché l'impianto che forniva acqua calda era alquanto obsoleto.
<Erika, .. di solito l 'acqua non manca mai... ma qui, occorre un po di pazienza..>
Appoggiò l'asciugamano sul bordo del lavandino, scavalcò il bordo della vasca allungandosi dentro, tra la leggera schiuma profumata di lavanda.
<Erika,!.. ma che stai facendo? Qui il bagno è pronto... non vieni? >
<Si, si arrivo> rispose, indecisa se entrare nella stanza da bagno ancora con l'accappatoio indossato oppure no.
Erika non capiva il motivo di quell'improvviso imbarazzo che la infastidiva, mostrarsi nuda non le aveva mai causato paranoie, sino all'età di vent anni giocava nella squadra di calcio femminile del quartiere, ed era abituata condividere la doccia con le compagne, ma ora si accorgeva di arrossire per la timidezza.
Poi fece un respiro, entrò nella stanza da bagno, lasciò scivolare l'accappatoio per terra e si immerse nell'acqua, sorridendo davanti a Lara.
<Cara mia... domani ho pensato di andare a vedere il giardino botanico... così fai le tue belle foto alle piante acquatiche ,... ti piace l'idea?> disse Lara, mentre con le mani tirava a se i piedi di Erika in modo da allungare le gambe per stare meglio comode, poi aggiunse:
<È un giardino non molto grande, ma.. vedrai, ha un

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   1 commenti     di: enrica. c



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