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Racconti brevi

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Un racconto

La corriera procedeva con tranquillità sospetta lungo la strada statale. Nessuno che ci precedesse o che ci stesse seguendo. Il traffico era concentrato tutto nell'altra corsia, in direzione opposta. Strano, quella strada con il tempo era divenuta d'importanza secondaria, e non ricordavo di avervi mai contato tanti mezzi come quel giorno. Sembrava di vedere una riedizione delle domeniche al mare sulle strade degli anni sessanta. Sembrava a metà, però. Come già detto, nella nostra via c'eravamo solo noi.
Quello che più m'inquietava, però, era il comportamento delle poche persone che si potevano scorgere a terra, lungo la strada, davanti alle loro case, nei campi. Avevano tutte una gran fretta. Di andarsene. Tutte verso la medesima meta. Lontano da dove ci stavamo dirigendo noi. La mia preoccupazione poi stava raggiungendo livelli parossistici nella constatazione di un'ambiguità di fondo che all'inizio non avevo notato, ma che ora era in totale evidenza. Gli altri passeggeri, impegnati ognuno nelle diverse occupazioni d'uso durante un viaggio, chi a leggere, chi a guardare il paesaggio, chi a confabulare con il vicino, erano tutti, nessuno escluso, tranquilli. Sembrava che quello che stava succedendo fuori non fosse cosa per loro, come se non appartenessero a quella realtà. Forse era vero, forse ero io ad esagerare, forse non riuscivo ad interpretare bene le immagini che stavo vedendo. Forse è così che si presenta la follia.
La poltrona al mio fianco era vuota, così anche quelle della stessa fila sull'altro lato della corriera. In quelle davanti c'erano un uomo e una donna di giovane età, forse una coppia di fidanzati a giudicare da alcune frasi che ogni tanto giungevano alle mie orecchie. Probabilmente non si erano accorti di niente. Come tutti gli altri, chiosai. Decisi comunque di lasciarli stare, e visto che anche i posti dietro erano vuoti, mi alzai in piedi e con studiata lentezza esplorai l'interno della corriera come se stessi cercando un

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La gita in Africa

Volevo raggiungere l'Africa per mare, nonostante i reiterati tentativi di persuasione che, subdoli come comizi alla vigilia delle elezioni, si infiltravano a mia insaputa e decisamente contro la mia volontà, nella calma delle mie riflessioni mattutine e la perturbavano, inondandole di farneticazioni sui benefici della velocità e della fretta per l'opportunità che esse offrono di cogliere tutte le occasioni.. al volo.
i tentativi più perniciosi giungono via etere, si presentano camuffati da savi consigli, addolciti da sorrisi bonari, denotando la presenza di mandanti dotati di una certa qual intelligenza quasi pari a quella di un buon commesso viaggiatore che ama il suo lavoro, ma senza la sua facondia... così che appena svegli, quando la mente è ancora rugiadosa e purificata nel riposo notturno da tutte le scorie accumulatesi, si può facilmente argomentare sulle loro false profezie.
La fretta è cattiva consigliera, fa male alla salute, fa nascere gattini ciechi, è associata analogicamente alla furia, che non ha mai dato buoni frutti e deforma il tempo e lo spazio ben più drammaticamente delle equazioni di Einstein.. il che non mi pare una buona cosa se uno, appena appena, vuol essere riflessivo e ragionevole, evitando bestialità e spropositi.
Dunque decisi per il mare, poichè il treno non vi arriva, nè l'auto ha capacità anfibie, o almeno non me ne hanno informato.
Tirai un sospiro di sollievo, fantasticando le belle e argute argomentazioni che avrei spiaccicate sulla faccia dei seguaci della setta: "Mordi e fuggi, e torna presto" e mi sentii straordinariamente calma e decisa e forte come i leoni che avrei sicuramente incontrati.
nessuno avrebbe potuto distogliermi dalla decisione presa nella calma pigra del risveglio, quando il senso del tempo è ancora in sospensione e l'avvenire ancora da decidere, nemmeno la sferza dolorosa e asprigna di un figlio degenere di madre natura che mi sta dinanzi travestito da pragmatico consigliere turistico

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Cuore di Rubino

È ormai scesa la notte sulla laguna, stendendo il suo manto leggero su uomini e cose. Questa è l'ora dei misteri in cui i sogni prendono corpo... l'ora dei segreti, dei sospiri e delle preghiere... Lassù nel cielo di velluto la luna magnetica e stregata sembra vibrare, tanto bella da suscitare paura ed ammirazione insieme. Le creature viventi osservano estasiate la grande trasformista: si turbano i semplici davanti al suo pallore mortale, sognano gli amanti rapiti dal suo abbaglio. Balla la luna, vestita di giallo, la sua danza sinuosa e leggera, simile ad una piccola principessa con piedi d'argento.
" È strana la luna questa notte..." pensò tra sè una piccola Ondina.." sembra arrabbiata.. ma io non posso più aspettare.. essa deve ascoltare la mia preghiera... Oh luna, luna, grande madre di cristallo, il mio cuore è gonfio e i miei occhi bagnati di sale. Allieta il mio animo, realizza i miei sogni..." Ma l'astro di lassù le rispose tuonando " Piccola ingrata di cosa ti lamenti? Ogni notte io rischiaro i tuoi flutti.. e tu non sei felice! Ho strappato le mie stelle dal cielo e le ho gettate nel mare per fartene un vestito; ho pianto lacrime di ghiaccio invidiando la tua bellezza, e ho piegato le maree per carezzare il tuo corpo... L' oceano è la tua casa e i coralli sono fiori per profumare i tuoi capelli..."
" Luna, luna tu hai posto nel mio petto un cuore di conchiglia, un cuore cavo e profondo... ma le mie corde non suonano più e il mio canto è divenuto un sibilo stonato... Qualcuno ha rubato la mia voce, ed ora non posso più cantare per te..."
" Così mi ringrazi di quello che ti ho dato! " le urlò la luna " ... uomini, uomini, mortali indegni anche del solo pensiero di una creatura eterna! ... Occhi ammalianti, traditori e bugiardi... Non chiedermi quello che non posso darti, piccola stella, non chiedermi un' anima mortale, corruttibile ed imperfetta... mi spezzi il cuore... Io spio gli uomini ogni notte e non mi piace quello

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   2 commenti     di: nadia freschi


McDuff

In mezzo a quella gente, in mezzo a quei passi silenziosi si nascondeva un sottilissimo velo di malinconia che l'inizio dell'estate non aveva ancora cancellato.
Era qualcosa di sbiadito, quasi impercettibile e allo stesso tempo infinitamente reale.
Ci sono alcuni giorni in cui le persone sembrano tutte d'accordo, non saprei dire perché, magari organizzano riunioni segrete la domenica pomeriggio dove si fermano e discutono davanti a una tazza di tè e biscottini cose di questo tipo:
<Venerdì mi piacerebbe essere triste, voi che ne pensate?> Potrebbe dire un qualsiasi musicista.
<Venerdì? No, torna mio nipote dall'America.> Potrebbe essere la risposta di una vecchia nonna chiusa in una pelliccia color cenere.
<A che ore torna?>
<Non lo so di preciso, verso sera suppongo.>
<Magari potremmo essere tutti tristi fino all'ora di pranzo per poi tornare a essere felici nel pomeriggio, che ne pensa?> Direbbe allora un uomo d'affari con il cellulare in mano.
<Per me va benissimo.>
<Fantastico, tutti d'accordo?> Chiederebbe a quel punto il sindaco ricevendo in risposta un boato affermativo.
Queste riunioni devono esserci, ne sono convintissimo, ma io non sono mai stato invitato purtroppo.
Mettendo da parte queste fantasie, quel giorno, il paese, ne sono sicuro, aveva deciso di essere malinconico. Al McDuff, un vecchio pub vicino al fiume, tre persone finivano di bere sulle note di un blues così lento che sembrava accompagnare, danzando, il fumo che si sollevava annoiato dalla sigaretta di Fitz.
Fitz se ne stava seduto al centro dello stanzone arredato con grosse tavole di legno e strette sedie scricchiolanti.
Stringeva nella mano destra un bicchierino contenente dello scotch pessimo. Lo beveva a piccoli sorsi e dopo aver bevuto le sue labbra sottili si arricciavano con disgusto.
Detestava quello scotch, aveva lo stesso sapore del disinfettante ma nonostante questo dettaglio, Fitz, continuava a berlo. Sarebbe stato semplice, uscire dal McDuff e andare alla

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   0 commenti     di: Andrea Pezzotta


Come al solito

Come al solito Jack non riusciva a dormire. Uscì dal letto, si infilò mutande, maglietta, pantaloni. Non trovava più le calze,
“Cristo!” brontolò.
“Che cosa c’è questa volta?” chiese Maria.
“Scusa, non riesco a dormire.” Jack si chinò su Maria, e le diede un bacio sui capelli; sapevano di shampoo alla vaniglia, “vado a fare un giro,” aggiunse.
“Ma è possibile che tu non possa restare una notte intera con me. Vieni qui a scoparmi, poi te ne vai come un ladro.”
Maria si girò e cercò Jack nel buio della stanza.
“Ho detto solo che vado a fare un giro,” disse seccato Jack.
“È sempre la stessa storia,” disse Maria e riuscì vedere Jack che cercava le sue calze. Stava con le mani e le ginocchia a terra vicino al letto.
“Dici che ritorni e poi non ti vedo più finché non ti chiamo io,” disse Maria.
“Allora non chiamarmi più.”
Jack aveva trovato le calze e se le stava infilando seduto sul tappeto.
“Non ne posso più Jack, sei un figlio di puttana, questa è stata la tua ultima scopata con me!”
Maria si era girata sulla pancia.
“Dai non fare la sciocca, ti voglio bene. Sai che sto passando un periodo difficile.” Jack si era seduto sul letto e accarezzò la spalla di Maria.
“Non toccarmi Jack, questa volta è finita, se esci da quella porta non ci vediamo più.” Maria piangeva.
Questo irritò ancora di più Jack:
“Va bene, se è quello che vuoi, io me ne vado.”
“Non t’importa nulla di me! Vattene e non farti più vedere,” gridò Maria.
“Mi dispiace che non riusciamo a capirci Maria.”
“Sei tu che non capisci un cazzo! Brutto stronzo.”
“Maria, non dire così.”
“Sei solo un cazzone Jack, tutto il tuo cervello è un cazzone fottuto.”
“Mi dispiace.” Jack uscì dalla stanza, calzò le scarpe che trovò in salotto e si diresse alla porta. Aprì e chiuse senza fare rumore.
Jack le voleva bene, ma aveva bisogno di tempo.
Jack non capiva perché mai non poteva togliersi da

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Un malato di cuore

-Sai- ricominciò a parlare all'improvviso, interropendo bruscamente il loro sguardo -Da ragazzo passavo quasi tutto il giorno guardando fuori da quella finestra- indicò dietro di lei - spiavo gli altri ragazzi correre e giocare; li vedevo divertirsi, inciampare e rialzarsi, ridere e gridare. Ed ogni volta che li vedevo, mi promettevo che sarei corso al prato e avrei iniziato a giocare con loro. Alla fine finivo sempre col perdermi in tutte quelle fantasie, rimanevo a fissarli chiedendomi che cosa mi mancasse per essere come loro-. Smise di parlare per un momento, guardò il suo bicchiere e prese un breve sorso. Il suo voltò appariva quasi sforzarsi in quel gesto, nonostante fosse solamente acqua. -Ma come diavolo facevano a riprendere fiato...?!- aggiunse abbassando lo sguardo. Finì di bere, fece diversi piccoli sorsi sofferti e, con il respiro leggermente affannato, si sedette sul divano scuro, cercando di evitare il contatto con i suoi chiarissimi occhi.
La giovane, slegando i suoi lunghi capelli color nocciola, ammise -deve essere davvero triste il doversi far raccontare la vita dagli occhi- rompendo l'imbarazzante silenzio ormai calato tra loro. Si guardò intorno, perdendosi per un attimo tra tutte le librerie e le varie fotografie nella stanza, e continuò -non aver vissuto un solo giorno della tua vita, questa è la cosa peggiore-. Lui alzò lo sguardo ed i loro occhi si incrociarono di nuovo, lei lo fissò per un istante e, senza perdere il contatto, gli si sedette vicino. L'uomo pensò bene di alzare una mano, per portarla al viso di lei, ma il timore scacciò in fretta la sua idea. Forse gli mancava il coraggio, o la forza, di vivere quella situazione, ma non voleva che tutto ciò rimanesse un fiore non colto; con grande sorpresa di entrambi le prese la mano e la strinse nella sua. La donna, che per lungo tempo aveva desiderato, era li. E sorrideva.
Il suo sorriso gli infuse coraggio, alzò l'altra mano e, lentamente, la portò sulla rosea guancia d

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   0 commenti     di: Publio Sestio


La zia Palmira

Non sentiva ragioni: era più ortodossa dell'Unità quando era l'Unità.
L'Unione Sovietica faceva solo cose giuste, chi diceva il contrario era sempre dalla parte del torto.
Vacillò, ma poco, durante le invasioni del cinquantasei in Ungheria e del sessantotto in Cecoslovacchia.
Le aperture del partito alla critica non scalfirono la sua opinione neanche per l'Afghanistan negli anni ottanta.
Quando accadde il disastro di Černobyl non si smosse dalle sue posizioni:
"Ancora una volta grazie all'Unione Sovietica l'umanità è stata messa in guardia sul pericolo nucleare!"

Essere comunista per lei era il vespro, e non la messa. A messa si va anche senza fede, il vespro è veramente per chi crede.




Centodieci familiare




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