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Racconti brevi

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Cara vecchiaia

Mi guardo allo specchio e vedo i segni del tempo: alcuni delicati, altri incisi e profondi, là dove il volto ha subito a lungo le contrazioni del dolore e della fatica.
Più leggere ai lati della bocca dove il sorriso è stato breve e la risata rara.
Sul collo scarno intravvedo la mia vita sempre protesa al domani ignoto, migliore nella speranza.

Sebbene il vigore vada via via riducendosi e il mal d'amore abbia corrugato l'anima che traspare dallo sguardo vacuo, sbiadito, c'è comunque una luce che nasce dai sentimenti familiari, che cullano il cuore e, nel sonno, cancellano il ricordo amaro del tempo trascorso nel lungo scorrere dei miei giorni.

Nonostante il rattrappimento della vecchiaia, ho mantenuto il portamento eretto e l'alta statura, anche se diminuita. Non mi ha ancora tolto del tutto la bellezza che avevo e che mi ha dolcemente accompagnata nel vivere.

Coloro che questo dono hanno, col passare del tempo lo perdono. Coloro che non l'hanno mai avuto, non hanno nulla da perdere anzi, il tempo rende più dolce lo sguardo, il sorriso, la voce, l'atteggiamento più elegante anche se il passo è più lento.

I colori dei capelli oggigiorno non sono più il segno evidente della vecchiaia, più o meno precoce; ogni persona ha la possibilità di scegliere il colore che preferisce, il più adatto alla propria personalità. Io tra il grigio ed il biondo/cenere, ho scelto quest'ultimo che attenua anche la visibilità delle rughe.

Quando la sarta mi consegna l'abito nuovo, mi miro e mi rimiro nello specchio, contenta di essere ancora di piacevole aspetto.

Di recente un gentile amico mi ha scritto su Face Book: "per dirla come Loredana... sei belliiiiiiiiiisssssiiiiimaaaaaaaaaa!!!" La qualcosa mi ha divertita e fatto tanto piacere.

In gioventù un altro amico mi disse: "Tu non sarai mai brutta!" Anche allora mi divertii e quando ora mi guardo allo specchio vedo che erano bugie anche se non del tutto vere.

La vanità è donna e questo non si

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   2 commenti     di: Verbena


Una serata speciale

Thomas era lì che non rompeva le palle a nessuno, se ne stava tranquillo al bancone del pub. Il Gasolina, quel pub che sta sulla statale, sì sì proprio quel pub lì, frequentato più che altro da motociclisti e qualche rockers old style con la maglia degli AC/DC
Anche lui era uno di quelli. Ma la maglia degli AC/DC quella sera non se l'era messa, aveva optato per un camicia nera a maniche lunghe, jeans anche quelli neri, stretti e un paio d'anfibi.
Fatto sta che se ne stava lì al bancone con la sua media di birra cruda, se la stava gustando proprio, era dalla mattina che stava immaginando quella birra.
Era il mese di giugno faceva caldo, lui lavorava in un magazzino di una di un fabbrica tessile, aveva passato tutta la giornata sul muletto a scaricare bancali di filato dai camion sotto il sole cocente. Il suo capo continuava a urlare come uno sclerotico sotto cocaina e l'unica cosa che aveva impedito a Thomas di farlo fuori era il pensiero che alla sera si sarebbe gustato la birra fresca. Immaginava la sensazione dissetante e quel gusto leggermente amarognolo, quella sensazione di rilassatezza che solo una birra fresca dopo un' intera giornata di merdoso lavoro riusciva a darti.
Certo avesse avuto una ragazza sarebbero state altre le cose da fare per rilassarsi, ma i tempi in cui aveva la donna, i tempi in cui al posto della birra c'erano i pompini sotto una doccia fresca, erano lontani.
Thomas era solo da dieci anni.
Di solito se ne stava a casa a guardarsi i film che accumulava per via del downloading acuto che faceva da mesi, da quando finalmente era riuscito a mettersi Internet in casa.
Un bel film d'azione e un paio di filmati su you porn e la sua esistenza si trascinava senza intoppi da un giorno all'altro.
Quella sera però aveva avuto lo slancio di uscire, sarà per la bella stagione che ormai era esplosa e poi gli era venuta quella voglia di birra la mattina e vi assicuro non era più riuscito a togliersela fino alla sera.
Dicevamo

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Un passero

Una domenica mattina me ne stavo tranquillo su un ramo del grande albero davanti al piazzale della chiesa. La primavera aveva già decorato di innumerevoli colori le piante e le siepi circostanti. Davanti all'entrata della chiesa un vecchio signore su una sedia a rotelle al quale il crudele destino aveva privato l'uso delle gambe. Il viso segnato da profonde rughe contrastate da un dolce e tenero sorriso che il vecchio dispensava alle persone che uscivano dalla chiesa nell'intento di ottenere anche una minima elemosina. Qualcuno lo guardava quasi scocciato e altri lo ignoravano del tutto. Ma neanche questo bastava a cancellare quel sorriso straripante di dignità e purezza d'animo. Finita la coda di persone il vecchio rimasto solo tira fuori dall'inseparabile zaino un pezzo di pane probabilmente del giorno prima in quanto noto che non fa briciole e la sua difficoltà nel masticarlo. In un attimo volo sopra le sue ginocchia e lui felice di vedermi non esita nel dividere con me quel povero pasto. Anche se per un attimo i suoi occhi brillano felici come quelli di un bambino.

   0 commenti     di: Vincenzo Renda


Solo con un cane

D'un tratto mi accorsi che stavo piangendo. Le lacrime scendevano lente per il mio viso triste. Gli alberi rispondevano in coro alle silenziose grida del vento.
Stavo camminando solo con l'unica compagnia del mio cane. Mi muovevo lento cercando di ritardare il più possibile il mio rientro.
Ero stato inconsapevolmente tradito. Avevo visto delle cose in Lei che non c'erano. Si era trasformata in un essere come tanti. L'innocenza dei ghiacciai infuocati dietro i suoi occhi azzurri era sparita. I suoi capelli dorati non erano più quelli di un angelo. La sua unicità così da me adorata e forse segretamente amata era svanita.
Mi sedetti ad accarezzare il mio tacito compagno. Oggi non abbaiava come il solito. Sentiva in qualche modo qualcosa di strano in me. Grazie. Lo adoravo, era il mio consolatore. L'unico essere a non avermi mai tradito. Anche i cani hanno un'anima.

   6 commenti     di: Marco Caoduro


Il Cristo venuto dall'Est

Il Cristo venuto dall'Est, all'Est è restato.
Il Cristo venuto dall'Est ha almeno 53 anni, è calvo, ha la pancia e va in giro per le strade di Varna con una vecchia bicicletta.
Il Cristo venuto dall'Est sa parlare anche inglese, lo ha dovuto imparare per lavoro, visto che affitta stanze a studenti e turisti in vecchi e fatiscenti palazzoni sovietici.
Il Cristo venuto dall'Est si chiama Hristo, con la H.
Una volta lavorava nell'industria chimica, me lo ha detto lui, poi si è inventato il lavoro di affitta-camere perché il comunismo era finito, e con esso era finita anche l'industria chimica e tutta l'industria sovietica, il metallo, le armi, i macchinari e tutto il resto.
Il Cristo venuto dall'Est affitta un appartamento dove vive anche una signora di cinquant'anni bassina e grassottella, che parla solo bulgaro e ride sempre, e le uniche parole che conosce in inglese sono verigud e noproblem e izzochei e la mattina prepara frittelle buonissime per colazione, e ti offre anche coca cola che tu rifiuti con gentilezza, e allora lei ti chiede se vuoi della voda, tu accetti pensando che sia latte e invece è acqua, ma è sempre meglio della coca cola alle 8 del mattino.
Il Cristo venuto dall'Est affitta una camera doppia per 35 lev bulgari, al settimo piano di un edificio di Varna dove si vede anche il Mare. Il Mar Nero, lo chiamano così perché davvero il colore delle sue acque è scuro, molto scuro, anche se non è proprio nero. Ma per i ragazzi di Varna il Mar Nero è il loro piccolo Oceano Pacifico, e Varna è la loro piccola California.

   3 commenti     di: MercuryFly


Il Caffè della morte

Mario era appena giunto in città; era mattino presto e camminava senza sapere dove andare.
“Cerco una nuova esistenza,” si diceva Mario.
CAFFÈ DELLA MORTE: vide quell’insegna; decise di entrare. Il locale era deserto; si diresse al bar.
“Desidera?” domandò l’uomo dietro al bancone.
“Cerco una nuova esistenza,” disse Mario.
“Con ghiaccio o liscio?”
“Senza ghiaccio, grazie.”
Mario sorseggiò il suo drink e si accese una sigaretta. Osservò la gente circolare sulla strada e camminare sul marciapiede. I palazzi erano illuminati dalla forte luce del mattino. Un posto dove poter vivere,
“Una vita migliore,” ordinò Mario.
“Lei la conosco,” disse l’uomo dietro il bar, “non è mica uno famoso lei?”
“Ho battuto il record della mediocrità.”
“Ah, è un onore averla qui.”
“Certo.”
“Posso offrirle un altro drink?”
“Grazie, senza ghiaccio.”
“Rimane un po’ dalle nostre parti?”
“Forse sì.”
“È una bella città, vedrà, si troverà bene qui.”
“Farò del mio meglio.”
“Ha intenzione di battere il suo record?”
“Ho l’intenzione.”
“Noi siamo aperti tutti i giorni, 24 ore su 24, sarà sempre il benvenuto signore.”
“Certo.”
“Mi scusi,” aggiunse il barista, “devo scendere un attimo sottoterra.”
“Faccia pure.”
Mario finì il suo drink, cercò qualche moneta nella tasca, posò i soldi sul banco e uscì sotto la luce del sole.



Andarsene d'estate

Andarsene d'estate quando gli alberi ti sbattono in faccia il colore della speranza.
Mentre moltiplicano al calore del sole il manto di freschezza.
Sentire il gelo avvolgere il cuore, i pensieri, i ricordi...
Vivere quando si ha il vuoto dentro...

Stai seduto davanti al muro specchiandoti nelle rughe della parete, dove la parola felicità non arriva in superficie nemmeno in trasparenza.
L'abisso accoglie l'anima che non pulsa più, cancellata dal bianco del pennarello della vita.
Il tuo corpo è la mela che avvizzisce senza succo acerbo o zuccherino, prosciugata dal bruco che si è insediato nella tua mensa senza essere invitato.
Non si tramuterà in farfalla come i suoi simili.
Le tue braccia come rami di salici piangenti ricadono sui braccioli dove lasci l'impronta di uno scricciolo.
Prendo la tua mano e la stringo forte.
L'istinto mi dice di lasciarla andare e lei cade come piuma sul corpo che riconosco vivo solo dal movimento della camicia.
Le mie parole d'amore ti investono come acqua di cascata. Dissetano l'orecchio ma l'istinto le permea nel rigetto.
- No!
Un no secco.
La voce è il filo che si spezza nel chiedere perdono per non potermi ascoltare, chiuso nell'oscurità.
Lo sguardo corre lontano, si sofferma nello spazio dove l'immagine si tramuta in essenza d'etere senza tempo né dimensione.
Sfuggi al mio sguardo, diventi serpente che striscia nell'antro nero che si allarga a macchia d'olio.
Mi offro a te senza speranza.
Il dolore senza perché penetra come il coltello nella ferita invisibile del rifiuto del domani.
È tempo di andare, di lasciarti. È il tuo desiderio.
Ti lasci annegare nel nulla dell'esistenza.
Ascolto le tue parole :
- Addio sofferenza di vivere.




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Questa sezione contiene una serie di racconti brevi, di lunghezza limitata all'incirca ad una videata