Le mie domande...
Sono sempre di più e sempre più senza risposte le domande che mi pongo e che mi stanno attanagliando.
Mi chiedo perché ho sciupato la bella età dell'adolescenza e della gioventù per inseguire sogni ed ambizioni, mi sono illusa di poterli raggiungere a volte anche carpire per poi, piano piano vederli di nuovo sfuggire e rimettersi a correre avanti a me.. sempre di più ... sempre più forte... mentre io, che sono sempre più stanca, non riesco più a raggiungerli ed a volte nemmeno più ad intravederli.
Mi chiedo perché mi ostino a continuare a vivere con il peso di dover costruire qualcosa, di dover dimostrare qualcosa oppure di dover ottenere qualcosa, senza pensare che mi perdo le cose già costruite, i rapporti già allacciati ed i traguardi già raggiunti.
Mi chiedo perché non mi riesce di sedermi sui gradini davanti alla porta di casa, ammirare il fresco verde del parco antistante, respirare la leggera aria primaverile calda e frizzante al contempo, sentire il sole che scalda ma non scotta ed ascoltare i suoni della natura che sembrano voler prevalere su tutto e voler entrare in te, per distenderti, calmarti e coccolarti fino a riportarti alla primordiale serenità, trovandoti invece chiusa, insensibile, tenacemente assorta in pensieri, contraddizioni e macchinose ricerche di soluzioni che appaiono subito geniali per poi sembrare assurde un attimo dopo e... intanto la leggera aria è diventata vento fastidioso, il sole brucia ed i rumori della strada sovrastano su tutto.
Mi chiedo che senso ha avuto fare tanti sacrifici e tante lotte con se stessi e con gli altri nel tentativo di conquistare un certo tipo di immagine che però tale rimane, non sei tu ma sei ciò che hai cercato di diventare... ma.. non sei tu... è una immagine.
Mi chiedo se ci sarà un momento in cui trovarsi in pace con se stessi e con gli altri in questo mondo oppure se dobbiamo aspettare l'incognita del dopo.
Mi chiedo perché le situazioni più tristi dell
crediamo di avere una missione importante da svolgere nella vita,
lasciare un segno del nostro passaggio o fare comunque in modo che tutto non sia passato invano o quantomeno questo è quello che pensiamo dato che siamo cresciuti con l'idea che tutto quello che ha valore debba lasciare una traccia, poi a volte capita di comprendere che è l'esistenza stessa che attraverso di noi sta cercando di lasciare un segno che è suo il compito da svolgere e così tutto si fa più rilassante ed a noi non resta che prepararci e fare una buona morte, ecco il momento che appartiene totalmente a noi e quindi buona morte a tutti voi amici e nemici lontani e vicini.
Sul campo di battaglia c’è un uomo ferito e il suo sangue è sparso tutto intorno alla sua figura stesa. Nessuno nelle vicinanze, nessuno in quel punto. La terra ora è polvere e impedisce di vedere chi soffre, chi urla, chi aspetta un medico militare.
C’è un uomo ferito ed è solo, ma non è morto. Non si sente morto. È stato trafitto nel fianco da una spada e ha perso quasi tutta la sua forza. Oggi i più valorosi periscono dopo avere stranamente sbagliato tattica. I maggiori degli eserciti hanno incitato i soldati-schiappa. E a terra hanno lasciato immerso nella sua chiazza rossa il migliore di tutti.
Caro Andrea,
avevi promesso che avremmo fatto altre chiacchiere filosofiche questa notte, ma poi ti sei addormentato (eh eh eh... devo ammettere che ho barato, ti ho fatto un valium e ti ho steso.. noi dottori siamo inaffidabili, lo sai). Spero tu abbia dormito bene, finalmente, che con tutta quella agitazione e rabbia che ti porti appresso, sono convinta, no, che non si debba vivere bene, per cui spero che il mio valium almeno abbia sortito l'effetto di farti passare qualche ora di sonno sereno.
Non so se ci rincontreremo più, spero di sì, magari fuori dall'ospedale, un giorno, spero di incontrarti con una bella ragazza per mano, a passeggiare sul lungo mare e gustarti un bel pomeriggio di sole, uno di quei giorni in cui tutto è perfetto.
Lo so che adesso ti sembra impossibile, e lo so che nemmeno lontanamente t'interessa ma, in questa vita che affligge tutti noi in vario modo e maniera esistono le giornate perfette, esiste la felicità e a nessuno questa è preclusa a priori.
Anche il peggiore degli esseri umani, o l'essere umano nelle peggiori condizioni esistenziali, sperimenta nell'arco della sua esistenza alcuni momenti di gioia, pura, assoluta, incondizionata, ed è la speranza di quella gioia che gli permette, ogni giorno, di tollerare la sua misera esistenza.
Per te non dovrebbe essere nemmeno lontanamente così difficile, tu non hai una misera esistenza, sei vivo, non hai alcun deficit mentale né fisico, non sei malato, puoi girare liberamente per il mondo, vivi peraltro nella parte del mondo ricco, il che vuol dire che non ti devi preoccupare ogni giorno di se e che cosa riuscirai a mangiare o se troverai da bere o se avrai un posto dove dormire la notte, e poi sì, perfetta o imperfetta che sia, hai una famiglia che si prende cura di te, e che non ti abbandona, nonostante tutto. Dio, o chi per lui, ti ha dotato diciamo, di tutti gli "optionals" per poter avere una esistenza felice, senza nemmeno dover faticare troppo, e tu invece dici che "vu
Solo un lento accavallarsi di momenti consequenziali, di appunti scarabocchiati e mai trascritti all'ombra delle lancette di un orologio fermo da troppo, troppo tempo. Come per un bizzarro scherzo stampato su FR-4 (a prova di ricordi incandescenti) non siamo che in corsa per una firma con tratto più pesante delle altre, un lascito per la polvere e l'oblio. Per una fotocellula più sensibile, per un lampione in mezzo ai fumi di scarico di bollette e uffici.
Persi in cimiteri di catodi, a sviscerare la semantica di un'oppressione insostenibile. Intanto il Sole perfora le retine, rende ciechi e richiude i lucchetti.
Ma adesso è notte e piove, è tempo di accendere il televisore ed andare al lavoro.
Noi esseri pigri, improduttivi, troppo stanchi o senza nulla da fare, forse la spesa o un aggiornamento di stato sul PC, reduci da esplorazioni nei nostri labirinti mentali e ansiosi di ritornare in uno stato di catalessi malinconica, ci sentiamo come ladri a stare in giro per troppo tempo. La città ci assorbe e ci rimescola quando usciamo vestiti anonimamente, correndo tra passerelle acciaccate e vicoli depressi, senza dare spettacolo e con la fretta di chi non vuole arrivare a casa ma solo togliersi di lì, sobbalzando e bestemmiando per i rumori improvvisi, lo stridere dei treni in frenata sui binari e i clacson dei centralinisti al volante, che vedrebbero meglio con un'anguria spiaccicata sul parabrezza. Tutto si risolve nel percorso in linea retta, pianificato nei suoi piccoli, inconsci rituali: aspettare battendo un piede che il semaforo diventi verde, camminare sul lato opposto dei vari ragazzi delle comunità e venditori di rose, che ci puntano sempre come se fossimo fasciati di carta moschicida, e ancora volare con lo sguardo in cerca di un tabellone che indichi l'ora, gettare oceani di ortiche a chi, passando, osa guardarci negli occhi. Non vogliamo soste, deviazioni, non traiamo gioia alcuna dall'esplorazione, dal contatto casuale. Tra paranoie e diffidenza, a volte ben riposta dati i tempi striscianti e burrascosi, il nostro ultimo scopo è sempre e comunque sentirci avviliti, arruginirci lo spirito, riducendolo a una figura lacera e brutta a vedersi, che passa il tempo rannicchiata in un angolo a vomitare minacce e oscenità, senza che le innumerevoli fughe immaginarie possano salvarla. Non abbiamo il tempo di riflettere, di riempire la metà del bicchiere. Perché tirare il fiato quando molti problemi aspettano, pazientemente in coda, di aggiungersi alla nostra catasta? Affidare un buon quarto d'ora di quiete a noi poveri masochisti è come dare in custodia uno Stradivari a un toro infuriato.
Nel bene o nel male le cose vanno avanti, scorrono veloci.
Non c'è niente che tu possa fare per tornare indietro e cambiare tutto.
Puoi solo modificare il tuo destino, il tuo futuro.
Puoi manovrarlo tu e puoi decidere tu stesso cosa ti riserverà questa merda chiamata vita.
Basta un piccolo sforzo, un passettino in avanti, guardare al di là del proprio naso, dei propri occhi.
Gli esseri umani peccano di noia e fatica a volte, basterebbe fare come le nuvole che si muovono lente con il vento, o guardare un po' di più il cielo soleggiato per accorgersi che gli occhi s'illuminano di nuovo di una bella luce.
E per sentirsela dentro, quella luce, non basta solo farci caso;
devi assaporarla, sentirne il calore, coccolarla e farla entrare dentro la retina, fin sopra la testa, lasciare che ti avvolga, che rubi ogni pensiero negativo e che lo distrugga, per poi farla scendere giù fino al cuore, dove esplode come una bomba ad orologieria e riempie il petto di calore, quasi come se bruciasse.
Ed ogni respiro, si affanna sì, ma quando butti fuori l'aria liberi qualcosa, che non so definire, ma ti svuota del male e ti da un battito in più, quasi irregolare, che fa scorrere il sangue più veloce...
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