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Saggi

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Un Russo a Venezia, d'inverno

Mi emoziona un poco parlare di Iosif Brodskij, premio Nobel per la Letteratura nel 1987. Lo faccio con riferimento ad un piccolo suo libro, pubblicato da Adelphi, nel maggio 2011 ( in diciassettesima edizione). Si tratta di " Fondamenta degli Incurabili ", un luogo di Venezia un poco fuori mano, verso la chiesa della Salute e di fronte all'isola della Giudecca, dove ci si spinge in una passeggiata silenziosa e di abbacinante bellezza, verso il Bacino di San Marco.
Brodskij è un Russo nato nel 1940, esiliato negli Usa nel 1972 e colà diventato insegnante di letteratura. Dice di sé, "di professione faccio lo scrittore, di mestiere però faccio l'accademico". Sin da ragazzo ha questo grande sogno: visitare Venezia, conoscere questa città. In Russia, nel suo piccolo paese sperduto ai margini del Baltico, egli ha visto soltanto cartoline di questa città o fotografie su una qualche rivista. Rimase colpito da una immagine in bianco e nero, pubblicata da "Life", di piazza San Marco innevata e grigia e da allora decise con tutte le sue forze che avrebbe conosciuto Venezia.
Iosif scrive : "Giurai a me stesso che se mai fossi riuscito a tirarmi fuori dal mio impero, per prima cosa sarei venuto a Venezia, avrei affittato una camera al pianterreno di un palazzo, in modo che le onde sollevate dagli scafi di passaggio, venissero a sbattere contro la mia finestra, avrei scritto un paio di elegie spegnendo le sigarette sui mattoni umidi del pavimento, avrei tossito e bevuto;e quando mi fossi trovato a corto di soldi m invece di prendere un treno mi sarei comperato una piccola Browning di seconda mano, e non potendo morire a Venezia per cause naturali, mi sarei fatto saltare le cervella".
Trentenne, Brodskij riesce ad arrivare a Venezia - e ci ritornerà costantemente per diciassette anni, sempre e solo d'inverno ( periodo in cui egli disponeva delle vacanze invernali come insegnante in America). In questo piccolo libro, egl

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Capacità umane, pulsioni emotive e gestione delle masse

Premessa

Questa sintesi di osservazioni e pensieri è rivolta alla comprensione dei nostri tempi e dell'atteggiamento assunto dalle persone, in quella che potrebbe essere definita "la crisi senza fine".

Non dimenticando l'indubbio peso che rivestono attualmente le questioni economico - monetarie, lo scritto vuole raccontare e mettere in relazione tre aspetti che attengono, essenzialmente, alla natura umana e che paiono assai poco distanti l'uno dall'altro.

Il tentativo è quello di "unire i puntini" per scoprire il disegno nascosto che, spesso, non lo è più di tanto.


Tre temi e tre domande

Il primo argomento riguarda le capacità e potenzialità del cervello e del corpo umano, le quali sono costantemente in fase di studio, catalogazione e approfondimento scientifico.

La mole di lavoro svolta, le pubblicazioni e la sperimentazione inerenti alle "possibilità" della nostra mente, è semplicemente sconfinata.

Suscitano particolare attenzione, gli studi e gli esperimenti che si occupano della capacità di precognizione/presentimento, che alcuni scienziati hanno definito essere "patrimonio comune della razza umana".

La questione riveste particolare importanza, soprattutto se si considera che un uomo sensibile, attento, istruito e consapevole dei propri "mezzi", è più difficile da "amministrare".

Il secondo tema è quello che vede il macro mondo dei mass media impegnato in un incessante bombardamento, fatto di notizie e rappresentazioni grafico - televisive intrise di violenza, sesso e messaggi subliminali.

Il terzo aspetto attiene alla "gestione delle masse".

È il secondo argomento, tuttavia, a "ispirare" gli interrogativi che seguono:
- Perché negli ultimi anni i media ci "impegnano", in modo assillante e ben più che evidente, con immagini e richiami violenti, oltre che di natura sessuale?
- Come mai, soprattutto in rete, la maggior parte di trattazioni e approfondimenti (scientifici e non), "ci raccontano" della costante pres

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   4 commenti     di: Antonio Pani


Ibn Hamdis, poeta di wasf ( anno 1055 d. c.)

Ibn Hamdis rappresenta un'antichissima voce di poeta, dischiusa in Sicilia, nel periodo arabo-islamico di quest' isola. Egli, di cultura araba, nacque a Siracusa nel 1055, quando oramai i Normanni cominciavano a conquistare la Sicilia. Ibn Hamdis ha lasciato un canzoniere molto ricco, circa seimila versi, per i quali egli primeggia in quella forma che è chiamata " wasf", ossia poesia descrittiva nata nell'Andalusia araba. Lo " wasf" canta non solo particolari della natura e del paesaggio nel senso più ampio, ma anche dell'amore, con l'esaltazione della bellezza femminile, del vino e della notte; del sentimento guerresco ( vedasi i versi sulla spada, sul cavallo, o sulla cotta di maglia per affrontare le lance), delle varie età della vita dell'uomo.
In Italia è pubblicata la raccolta " La polvere di diamante" , che rappresenta una scelta antologica di wasf creati da Hamdis, accompagnata da una interessante introduzione di Andrea Borruso, che ben spiega la complessità della poetica del tempo, nata dagli intrecci culturali del mondo arabo/ andaluso in Sicilia.

Vi propongo alcuni wasf, ricordando che si tratta di una poetica risalente all'XI secolo, la qual cosa rende la loro eleganza ed intensità veramente uniche.

- LA LUNA NUOVA NEL MESE DI RAMADAN-

Mentre la gente osservava lo spuntare della luna nuova, simile a lucertola per la magrezza del corpo, dissi:
O voi che digiunate, ecco il ramadan: la prima lettera del suo nome è per i fedeli scritta con la luna.

(n. d. s.: qui si fa riferimento al fatto che la prima lettera della parola " ramadan ", in scrittura araba, assomiglia ad una esile, piccola luna).


- LA SICILIA -

Un paese a cui la colomba diede in prestito il suo collare ed il pavone rivestì del manto delle sue penne.
Par che quei papaveri sian vino e i piazzali delle case siano i bicchieri.


- LE PLEIADI -

Di notte, sto ad osservare le stelle: lucignoli acces

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no alla biotecnologia avanzata malvagia

lo scrittore artur clarche nel 1979, descriveva il suo libro un ascensore per andare in orbita, al centro dei progetti della nasa ed negli anni 2000 se ne discuteva molto vi era la scoperta di materiali rivoluzionari i nanotubi di carbonio, sono aggregati che appartengono alla vasta famiglia dei fullereni molecole di carbonio in cui gli atomi non sono disposti su piani paralleli come nella grafite o tetraedi come nel diamante ma seguono geometrie più complesse come ad esempio i vertici di una cupola geodetica oppure sulle pareti di lunghi cilindri detti appunto nanotubi con questi materiali se sarebbe stato possibile costruire un cavo verticale di 36000 chilometri scriveva artur clarche siccome questi materiali sono 100volte più resistenti dell'acciaio e 6volte più leggeri!!! ai tempi 2000 all'universita di buffalo pensavano di utilizzarli per irrobustire il calcestruzzo e per costruire l'ascensore per andare in orbita ma negli anni 2000 si producevano appena un grammo di nanotubi al giorno al costo di migliaia di dollari e il progetto fu presto abbandonato, insieme a quello delle nanomacchine.
ma come spesso accade i progetti vengono anche a distanza di centinaia di anni ripresi e cosi nel 2997 william smalley un lontano antenato di richard smalley che nel 1996 vinse il premio nobel per la scoperta dei fullereni il quale aveva un sogno creare l'ascensore per andare in orbita! questo stabilimento doveva essere in grado di produrre migliaia di tonnellate annue di nanotubi ma fu sorpresso, william però aveva una mente genialmente perversa ed nel 2998 uni il progetto dei nanotubi a quello delle nanomacchine o nanorobot le nanomacchine dalle dimensioni di un milionesimo di millimetro ed si misurano in in nanometri nel 2999 fu pronto il primo nanorobot dalle dimensioni di un atomo che aveva tramite programmi sofisticati presente in se tutte le conoscenze umane nell'ambito di produzione di beni di ogni tipo, ed il nanorobot chiamato eva perche il primo si riprodusse

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   0 commenti     di: ELENA MACULA


Sotto il segno della continuità: Dalle resurrezioni del Cristo a quelle di San Francesco e Santa Caterina

Quante volte abbiamo pensato alla morte come all'ultimo capitolo dell'esistenza, trascurando o peggio dimenticando che il fine dell'uomo non è di certo la solitudine o la sofferenza, ma l'irragionevole (razionalmente parlando) bagliore della resurrezione che sovverte il nostro ordine mentale e apre interrogativi e speranze verso la realtà incorporea, percepibile per intuizione, ma accessibile solo per volontà divina.
I Vangeli raccontano della resurrezione del Nazareno, ma parimenti ci illustrano altri tre prodigi simili compiuti in vita da Gesù e sono: la resurrezione del figlio della vedova di Nain e quelle della figlia di Jairo e di Lazzaro. Dentro una bara, sopra un letto o dentro una tomba, Gesù ridona la vita in qualsiasi luogo, indipendentemente dall'arco temporale in cui è avvenuta la morte o dal tipo di infermità del beneficiato.
Per noi Dio compie grandi meraviglie e talvolta a qualcuno affida un incarico eccezionale. San Francesco d'Assisi e Santa Caterina da Siena, compatroni dell'Italia, aderendo perfettamente al progetto salvifico di Dio, si sono resi protagonisti di eventi che hanno oltrepassato i confini della fisicità e del comune senso della razionalità, lasciando stupefatti i testimoni delle rispettive epoche.
Fra' Tommaso da Celano contemporaneo e biografo del poverello d'Assisi racconta nel trattato dei miracoli che una nobildonna originaria di Monte Marano presso Benevento, molto devota a San Francesco a seguito di un male, muore. A tarda sera, davanti ai parenti ed ai rappresentanti della Chiesa sopraggiunti per una veglia di preghiera, la nobildonna già defunta da alcune ore, si solleva dal letto e chiede di essere confessata tra lo stupore generale. Agli increduli astanti, lei spiega che grazie all'intercessione di San Francesco le è stato permesso di tornare in vita, perché dichiari nella segretezza della confessione un peccato non dichiarato. Terminata la confessione, la donna lascia nuovamente questo mondo, stavolta per

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   4 commenti     di: Fabio Mancini


Teatro all'università

Nemmeno un'aula grande, capiente solo per pochi spettatori ed essa stessa palcoscenico. Solo un tavolo con sopra una bottiglia di vino e un bicchiere.
Non c'è sipario, né luci che si spengono, né musica, ma uno stuolo di ragazzi e non, seduti nemmeno a tre metri di distanza dall'Attore quasi ad avvolgerlo.
A fine spettacolo egli parlerà della sua paura di recitare guardando i visi degli spettatori così da vicino, paura svanita per incanto non appena ha misurato col silenzio e l'attenzione che il suo lavoro stava arrivando dove e come aveva desiderato.
Il regista Giuseppe Bertolucci ha cominciato dicendo che quello che ci si apprestava a vivere non era uno spettacolo teatrale ma "questa cosa", che si andava sperimentando in anteprima assoluta.
Tratta dal libro "Casa d'altri" di Silvio D'Arzo, la storia si snoda attraverso il racconto che ne fa un anziano sacerdote, l'unico protagonista della pièce, insieme ad una donna anch'essa in età avanzata, che con maestria l'unico attore fa vivere attraverso pochi tratti e il dialetto scarno ma incisivo delle sue poche frasi.
Lei da sempre nella sua solitudine di stenti, ormai sa che perfino la sua capra ha una vita migliore e azzarda a dire al prete che forse propro lei può essere un'eccezione a certe regole canoniche, che insomma può anche togliersi la vita.
Non avrà commento o risposta, il sacerdote è ormai in solitudine esistenziale, si autodefinisce "prete di sagre", solo quanto la povera donna e si accorge di non aver parole per lei ma solo silenzio.
Antonio Piovanelli è un artista che ama recitare quasi sempre da solo con un rigore lavorativo intenso ed in questa prova la sua maggior forza è stata l'aver saputo donare traparenza e semplicità.
Con parole pacate si sono delineate le due figure di una struggente umanità, a porgerci domande sempre attuali, oggi più che mai.
Non è stata quindi la trasposizione solo di un bellissimo racconto, dove anche la natura è foriera di fatica, miseria e solitu

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   1 commenti     di: Chira


Innamoratevi!

"Innamoratevi, se non vi innamorate tutto è morto!".
Questo è il tema centrale del monologo che Begnini recita nel suo film "La tigre e la neve". Ed è un buon consiglio, l'amore rende veramente vivi. Innanzitutto fa scaturire dei sentimenti e sono essi a guidare l'individuo nelle scelte di ogni giorno. Per capirne la forza e l'importanza basti pensare all'atteggiamento opposto all'amore, l'odio, che nei casi estremi spinge ad uccidere. È fondamentale che ogni persona ne faccia nascere di diversi tipi, dall'amicizia alla simpatia, dall'ostilità alla pietà. L'uomo deve sviluppare il proprio mondo interiore, altrimenti rimarrebbe soltanto una creatura facilmente controllabile dai governi e dal mercato.
Rivolgiamo la nostra attenzione al passato. C'è stato un periodo nella storia umana in cui venivano esaltati i sensi e i sentimenti. Si tratta dell'epoca del Romanticismo, momento in cui natura ed emozioni hanno avuto un ruolo centrale. Ha avuto il suo primo sviluppo anche l'idea di nazione, la quale ha acquistato da subito una grande rilevanza. Questo ideale è stato alla radice delle guerre risorgimentali, che avevano l'obiettivo di liberare un popolo italiano dal suo oppressore. Si sa, l'uomo è un animale stupido, ed è per questo che il concetto di nazione è stato enfatizzato fino al suo significato estremo, creando i diversi nazionalismi. In questo modo, al valore della patria si è affiancato quello dell'aggressività e ciò ha contribuito a creare attriti che, dalla Prima Guerra mondiale fino ai nostri giorni continuano a sfociare in guerre. Tralasciando la gravità di certi esiti, rimane il fatto che tante aspirazioni generate dal Romanticismo sono sopravvissute per oltre un secolo, fornendo la base per i moderni ideali.
Gli orientamenti estremistici ancora oggi sono molto diffusi per un semplice motivo: il Novecento non ne ha prodotti di nuovi. Unica eccezione è stato il movimento degli hippy, una "controcultura" che metteva completamente

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   3 commenti     di: vasily biserov



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