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Racconti di ironia e satira

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Silviade (2a parte)

SILVIADE (Le fantasie dell'anima/Kimerik 2009, ammesso in Biblioteca Vaticana)

-Silvio tirato a lucido sembra di cera... cave solem qui omnia liquefacit!


Silviade (2a parte)
... per cui ampiamente ce ne frega che "Luca era gay"!

Dal teatro Ariston al casinò municipale il passo è breve e qui in tema di giochi, per l'immoralità dilagante, al poker non si parla più di coppia vestita ma di coppia denudata anche perché il texano, come il black jack e la roulette, ti spoglia di ogni cosa materiale e ti compromette la materia cerebrale.
Tornando adesso agli uomini veri, con certi attributi tra palle e palloni, magico condottier Silvio, tu che hai ordinato all'Italia di risorgere, cerca comunque di preservarci da ogni male, insegnandoci come sfuggire ad ogni umana tentazione.
Su questa strada, credo, hai fondato "il popolo della libertà", dando così potere, da buon pater familias, a tanti giovani di belle speranze, tutti in prima fila (brava Arisia, con il tuo look evocativo e la tua canzone che punta all'eternità, hai capito tutto della vita) dal cui volto illuminato traspare l'amore per la verità, al grido di libertà con la premura della fraterna uguaglianza, vera regalità dell'umana alleanza... cugini transalpini il vostro motto è grande.
Venendo, infine, a noi due, caro presidente, ti auguro di dilettarti sempre con l'imprenditore musicale e mio compaesano, il melodioso Apicella, che tanto bene ti canta e... ti dovrebbe suonare per aver tanto turbato la tua gentile signora, a lui mi raccomanderò per la tua conoscenza.
In ambito familiare, pertanto meriti, anzi entrambi meritiamo un appunto che non ci fa e non ci rende onore.
Parimenti, infatti, da più tempo (pur prodigandoci per la pace mondiale) con le nostre gentili consorti non abbiamo più la benché minima intesa. In riferimento filiale, invece, tra noi due c'è gran differenza e chiara evidenza con i tuoi figli che stravedono per te (anche per i beni materiali!) mentre i miei non

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IL MESTIERE DEL PARCHEGGIATORE ABUSIVO A NAPOLI

OVVERO CHE COSA SUCCEDE QUANDO UN "GUAPPO DI CARTONE" (il parcheggiatore abusivo, in questo caso) INCONTRA UN AUTOMOBILISTA CHE QUEL GIORNO HA PROPRIO LA LUNA STORTA(il sottoscritto).

Nuovo multisala Med, a Fuorigorotta.
Impossibile trovare un parcheggio, poiché quello del cinema non è ancora aperto.
Giravo già da un'ora alla ricerca di un posto.
Nel frattempo ricevevo alcuni SMS da parte di amici che mi avevano oltremodo irritato.
Dopo lungo girovagare si libera finalmente un posto.
Siccome in questi casi gli automobilisti si trasformano in veri e propri pescicani, m'infilzo per non lasciarmelo soffiare. Ma è stretto e - ahimè - in una manovra non c'entro.
Anche perché dietro si erano fermate altre macchine che mi si erano attaccate al posteriore, un'altra stava uscendo, un mezzo macello.
Alla fine, quando finalmente non ho più nessuno dietro, esco di nuovo dal posto, mi allargo ed in tutta tranquillità rientro, rifacendo la manovra (in una sola sterzata mi sarei parcheggiato).
Interviene questo signore che inizia a fare:
«T'ho pozz rà nu' suggeriment? fa ascì a gent' a rint a' machin'»

[Posso permettermi di darti un piccolo, ma utilissimo suggerimento per agevolarti questa difficoltosa manovra di parcheggio? Prova a fare accomodare le signore che sono dentro, fuori dell'auto].
Non vedo il perché, mica debbo salire sul marciapiede?...
Vabbuò.
Mentre sto entrando, con la mia seconda manovra, questo interviene di nuovo:
«Vai vaie'.. c' pass' nu tram!».

[Prego, va' pure avanti. Secondo quando ho calcolato ad occhio, potrebbe anche passare un mezzo di grosse dimensioni, ad esempio un tram in questi 25 millimetri di spazio che ci sono tra la tua e l'altra autovettura ivi parcheggiata]
Grazie al [omissis], ho rifatto la manovra e lo vedo anche io che ci passo adesso.
Dopo aver posizionato antifurti ecc. Scendo e questo fa, non contento delle due stupide frasi testè pronunciate:
«T'ha pozz' fa na dumand'? A qu

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   9 commenti     di: Ettore


Il Tormento della freccia

Questa può sembrare apparentemente una delle infinite trite storie western. Ma è invece qualcosa di più e qualcosa di meno.
È una storia difficile da classificare e, semmai la si volesse ricavando l'indice dalla sua capacità di suscitare un qualsivoglia interesse nel Lettore, di certo non potrebbe esser valutata molto al di sopra del livello più basso.
Insomma sapremo meglio nel leggerla: sempre che nelle stentate speranze di chi scrive ci sia qualcuno che osi farla quest'azione del leggere, un adempimento talvolta così pregno d'incognite per il benessere mentale del Lettore!
Il titolo "Il tormento della freccia" sembrerebbe facilmente comprensibile sul cosa voglia presupporre data l'ambientazione tipica d'un western americano, ed invece per il nostro sfortunato uomo quella volta la trama in cui fu coinvolto non si sviluppò secondo l'immaginativo comune che il titolo lasciava intuire: egli si era preso una frecciata mentre stava cavalcando al di là dell'asperità, rocciosa e rosseggiante, che quasi faceva da spalliera, col suo ergersi sul retro, al suo tugurio dove sopravviveva come ex-caporale della cavalleria sudista. In questa lui aveva combattuto inquadrato in un reggimento operante prevalentemente in uno scacchiere dell'area dove agiva l'Armata dell'Ovest, la quale poi negl'ultimi giorni del conflitto tra il Nord e il Sud, mosse ritirandosi verso Est, cioè là, in quelle terre da sempre sostenitrici del Presidente della Confederazione e Capo dell'Esercito Sudista, il Generale Lee.
Il tutto successe durante un pomeriggio non tardo e la freccia gli fu scoccata da un Arapaho (nota etnia di nativi della zona, caratteristicamente sempre molto facilmente eccitabili) che lo colpì nel posteriore della coscia, fortunatamente quella di sinistra essendo lui abitualmente un "coscia destra" [?]. Comunque il pover'uomo pur ferito era riuscito a mandare a quel paese l'Arapaho, cioè l'aveva spedito con una revolverata a caval

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   0 commenti     di: pio di monaco


Il travet

Era in ufficio ormai da sette ore, continuava a lavorare senza staccare gli occhi dallo schermo del computer; ogni tanto con voce atona rispondeva alle domande del collega seduto alla scrivania accanto senza mai guardarlo, poi riprendeva a battere con ritmo incessante e instancabile, dava quasi ai nervi quella sua metodicità.
Non si alzava mai, nemmeno per bere un bicchier d'acqua o sgranchirsi un po' le gambe, aveva pochissimi contatti, parlava solo se interrogato. Alla fine della giornata, sempre alla stessa ora, spegneva il suo computer, riordinava le pratiche sulla scrivania, si infilava attento il cappotto e se ne andava, voltandosi ancora una volta a guardare l'ufficio per essere certo di aver lasciato tutto al proprio posto.
Era estremamente preciso, sulla sua scrivania tutto era disposto con ordine maniacale, tutto perfettamente allineato, mai un granello di polvere o una carta accartocciata, buttata lì per caso o per fretta: aveva sempre il tempo per ripristinare l'ordine anche dopo un lavoro urgente.
Arrivava tutte le mattine alle sette in punto, dava il buongiorno al portiere, mai una parola di più, e si dirigeva diligentemente all'ascensore per raggiungere rigorosamente alle sette e tre minuti il suo ufficio. Appendeva i suoi effetti personali all'attaccapanni, sempre allo stesso posto, accendeva il terminale e immediatamente riprendeva il lavoro esattamente dal punto dove si era interrotto la sera precedente. Aveva una pazienza da leone e non perdeva mai la calma in nessuna situazione, a volte non sembrava nemmeno umano, era sempre estremamente controllato.
Il suo collega di ufficio invece, arrivava sempre in orari diversi, non era mai puntuale, era caotico, chiacchierava troppo, parlava ad alta voce e lo importunava con continui dubbi o domande su come procedere, non rispettava mai le procedure, era svogliato, prendeva cinque caffè al giorno, la pausa per il pranzo era eterna, era sempre a flirtare con le colleghe, non gli stava mai bene nien

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   7 commenti     di: valeria ste


Io e la mia barba

Molto spesso una folta chioma diventa il modo di presentarsi al prossimo. Una pettinatura diversa, il vezzo di un ciuffo scomposto, l'accorciamento del taglio attribuiscono ad un uomo un segno di distinzione e qualche volta coadiuvano l'inizio di un cambiamento. Un nuovo look diventa esigenza per iniziare a vivere una nuova vita con l'auspicio di un buon proposito. Quante volte abbiamo detto: da oggi voglio cambiare! Sarò un uomo nuovo e la nuova acconciatura ci aiuta a perseverare nel proposito, a darci lo stimolo per ricordare di aver ricominciato e ci sostiene per non ricadere nei vizi che non ci piacciono.
Per me è differente, sono calvo, e quindi dirigo queste attenzioni alla mia barba.
Io e la mia barba stiamo bene insieme. Lei mi sopporta in silenzio e nel momento del bisogno si lascia accarezzare. Carezzarsi la barba, ti fa sentire meglio, ti fa pensare, ti fa prendere tempo e ti aiuta ad essere un uomo migliore. Ovviamente per un calvo è molto difficile crearsi un nuovo look, ed allora il pensiero ricade inesorabilmente alla cura della barba, baffo più lungo, baffo raso, linea sagomata, barba arruffata per i periodi di ferie e di ozio. È un'amica fedele, anche quando decidi di rasarla del tutto... lei ritorna... sempre... è una sicurezza... ed ogni volta ti sembra migliore. E se si riesce ad interpretarla ti porta con i piedi per terra... il suo colore inesorabilmente giorno dopo giorno diventa più bianco e ti ricorda che non sei più un ragazzino... tutti i giorni purtroppo!
Questa notte dopo essermi assopito per un paio di ore, gli occhi si sono aperti con decisione e nell'oscurità silenziosa notturna ho cominciato a pensare. Ho notato in molte occasioni che svegliandoti nel corso della notte ed un pensiero ti assale, devi dargli una risposta, devi prendere una decisione o quanto meno devi risponderti alla meno peggio sul da farsi del mattino seguente, altrimenti... addio sonno... non c'è verso... l'angoscia ti assale e di dormire no

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LE NOTEVOLI AVVENTURE DI TROMBETTINA E DI TALE SIGISMUNDO, DETTO RODOLFO.

Finalmente c’era arrivata. Era l’idea. La strapensata del millennio. Tutte l’avrebbero ringraziata per averci pensato. Ne era certa. Così trionfava Trombettina mentre si preparava da circa due giorni per uscire quel sabato sera. Nel frattempo Sigismundo, detto Rodolfo, congelava in magliettina a maniche corte e bermuda ( che fa fico una cifra!!! ) il 3 dicembre aspettando la sua regal consorte. Il sabato era così passato e la settimana seguente, quando Trombetttina si degnò di affacciarsi per avvisare Rodolfigno, come lei chiamava il suo boy, di essere quasi pronta, lo trovò semiibernato, così decise di scongelarlo nel microonde. Il quasi pronta di Trombettina era pari circa al nono grado della scala De Paolis che misurava il ritardo con cui una ragazza riusciva a prepararsi rispetto al valor medio della vita di un triceratopo. Più o meno mancavano circa tre ere geologiche.
Passate le ere, grazie ad un distorsore temporale ( come credete che le vostre ragazze siano pronte in meno di due anni?! ) ( menti innocenti ), ed arrostito per bene il pollo Rodolfo, si era pronti per la regal passeggiata che comprendeva visita alle proprietà immobiliari del centro città, aperitivo dal costo medio ad personam di non meno di 150 euro, cena nel nuovissimo ( infatti doveva ancora aprire ) ristorantino neozelandese paleogiapponese cityurbanizzato dalla cucina semi futuristica ma medioevalmente raffinata. Tutto era pronto. I pistoni laccati d’oro dell’auto vincitrice di tre Ducati Race fendevano la barriera del suono ma nulla si mosse. Erano appena cominciati i saldi. Un divo non si mescola ai comuni mortali, figurarsi Trombettina e Rodolfigno, che al solo pensiero dei saldi furono colti da vomito fulminante. Dopo aver trascorso due mesi al riparo dai saldi, dalle svendite a buon mercato, dalle offerte, dai voli low cost e dai conigli pasquali, Trombettina e Rodolfo si apprestavano a tenere conciliabolo con una ristretta cerchia di amicissimi troppo specia

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Viva la libertà (la liturgia del breve)

- Sono abbastanza breve, comunicativo, informativo e liturgico?
(Frà Mosco da Pavia) -

Alcuni amici di mail mi scrivono preoccupati dalla mia svolta letteraria; mi chiedono conto del perché ultimamente tendo a scrivere racconti lunghi spezzati in varie puntate, due o tre alla bisogna.
Molti di loro mi dicono che se continuo così non mi leggeranno più e di prepararmi all'eremitaggio assoluto e a scavarmi una celletta nei deserti.
Monaco amanuense di clausura litweb: beh, figosissimo, direi, potrei farmene facilmente una ragione, ma per mia fortuna, non amo le vie agevoli.
La risposta è semplice: viva la libertà, amiche e amici!
Ognuno è libero di scrivere quello che vuole nell'era litweb.

Il fatto è che al momento mi sono rotto le palle di scrivere i soliti brevi litweb di venti, trenta righe al massimo, in cui sintetizzo e condenso, involgarendo e imbruttendo, personaggi e idee che meriterebbero almeno un racconto di quaranta cartelle e un andamento più profondo ed esteso.
Sono anche stufo dei commenti di scambio legati alla liturgia dei brevi litweb: una vera pantomima, a mio modesto avviso.
Il fatto che una persona mi abbia dedicato tre secondi del suo tempo per un complimento quasi sempre stereotipato, non giustifica che io approvi incondizionatamente dei suoi testi che non mi garbano e mi trasformi seduta stante nell'ufficio stampa dei suoi imperdibili estri creativi.
Se nel mio scritto il tema è l'orchite cronica e il pacco emorroidario di cui soffro, perché quello nel commento dice che io sono un pasqualone, un vero ottimista, irradiante salute?
Amico, stai parlando del protagonista di "Un posto al sole", mica del Moscone.
Ma la questione è un pochino più filosofica, e non ha molto a che vedere col galateo o il piano personale, che è risaputo, non m'interessa.

La scrittura breve litweb tende a essere totalmente comunicativa e informativa e poco creativa, questo è il problema, o Danimarca web.
E nei racconti brevi litweb come

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   2 commenti     di: Mauro Moscone



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