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Racconti su sentimenti liberi

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IL CONCERTO

Appena sistemato il palco al Jazzmatazz, il gestore consegnò a
Silvestro, in cui aveva evidentemente identificato l´anima manageriale
della band, il borderò in cui inserire l´elenco dei brani che i ragazzi
avrebbero proposto durante la serata.
Silver si sedette ad un tavolo assieme a Pavel per compilare la distinta, che comprendeva i dati salienti dell’evento, come località e data del concerto, denominazione del gruppo musicale, lista dei brani musicali proposti: Almost Blue di Chet Baker, suonata lentissima, a sole quarantasei battute al minuto, come ad auscultare gli impercettibili battiti di un cuore prodigo d’amore; si sarebbe agganciata senza pause alla composizione di Faccia d’Angelo una versione stralunata di Satisfaction di Jagger/Richards (una variante speciale concepita dalla band e suonata in cinque quarti, molto sofisticata), Slow Song di Joe Jackson (questa volta una interpretazione fedele, che ricordava molto da vicino l’originale) e Tears Of Joy di Tuck and Patty, con la tromba di Alessandro ad eseguire la melodia cantata da Patty Cathcart e la chitarra di Silvestro a suonare come quella di Tuck Andress.
Sarebbe poi stata la volta di River In My Dreams di Incognito, superbamente suonata da tutti gli strumenti ad emulare le voci di coroche, nella versione originale, saltano tre toni l’una dall’altra, dove il coro canta: “There’s a river in my dreams/Flowing endlessly to you”, mentre la voce solista di Silvestro, attorcigliandosi alle note che escono dalla tromba, vocalizza: “There is no place where I can go/Without you here, close to my heart/When I close my eyes, I see your face/Baby, I wanna feel your warm embrace “.
Sarebbe poi venuta la volta di Left Alone, di Billie Holiday, dove Silver avrebbe offerto un’interpretazione superba, cantando in tonalità da soprano, come Billie, lui che possedeva un timbro da tenore.
A concludere l’indice dei brani che sarebbero stati suonati nella serata, vennero quindi que

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Pagine di vita

Vedo nel sogno una ragazza dal viso pallido e scarno, leggo tristezza nei suoi occhi, lo sguardo fisso, assente che vaga lontano verso luoghi sconosciuti, un sorriso smorzato come una pugnalata al cuore, quella fitta colpisce inaspettatamente...
Sento il bisbigliare sommesso di una voce velata dalla tristezza, un'infanzia vissuta nella paura, nell'angoscia, nel silenzio, nel tormento alla ricerca di quella tanto desiderata libertà.
Le emozioni, i sentimenti soffocati dalla paura di soffrire li ha riposti nel cassetto segreto della sua memoria, aspettando il giorno in cui qualcuno per amore o per pietà li facesse riemergere come per incanto dalle acque profonde di un mare turchese carico di promesse, lasciandosi travolgere dal vortice di una passione.
Passione effimera che lascia nel profondo dell'anima un turbine caotico di sensazioni.
Per troppi anni è rimasta in silenzio, impassibile, a guardare il tempo che sfugge inesorabile.
Ecco, il suo cuore malato, soffre, ha smesso di palpitare, di provare la gioia e la voglia di vivere.
Sentimenti detestabili legati agli obblighi la costringono a mostrare un volto non suo, indossando una maschera per recitare l'utlimo atto della sua vita ed un'espressione di malinconia si legge nel suo volto, gli occhi si riempiono di lacrime, gira la testa per nasconderle. Rimane un attimo silenziosa e il sogno svanisce...

   1 commenti     di: Giovanna Cento


L'incontenibile desio

La cena era stata, invero, eccellente.
Al soffuso barbaglio delle due candele il vellutato colore del vino si riverberava romanticamente sulle pareti della sala come un fiammeggiante tramonto di mezza estate.
Il siderale luccichio delle posate d'argento prometteva un'indimenticabile notte stellata d'incanto attraversata da mirabile cometa, il diamante appena donatole.
Discioltosi il dolce dessert sulle labbra impazienti, d'un tratto gli sguardi si incontrarono invasi, entrambi, dal medesimo desio.
Dapprima una mano cercò presto l'altra, sfiorando leggera le pieghe di seta presso ombre di cristallo e petali di rosa tra il bianco panno sparsi.
Sul ciglio della mensa si incontrarono furtive, ambo sospese e tremebonde sul folle abisso della bramosia. Una piuma di sorriso accennata sulla bocca, un accenno di sospiro che prelude già allo slancio, un pensiero temerario sulla tanto ambita impresa. Lui sa già che intende fare; lei è da un po' che vuol vedere. Nessun cuore, però, denuda quel che cova nel suo centro: prudenze dell'amore o previdenze di saggezza.
Ed ecco, in opra le altre mani, fino allora dondolanti nella semioscurità. Lentamente, con ardire, riaffiorano alla luce inerpicandosi, gagliarde, tra selciati di baguette e giardini rucolosi. Le dita come artigli si inarcano nell'aria. Appresso, un rimbombo di silenziosità ancestrale preannuncia l'imminente, ormonica tempesta. Con movimento blando e adesso accelerando si innalzano in vertigini, come aquile, scrutando.

Precipitando, infin, fameliche, sul telecomando!



La giraffa ficcanaso

Nella foresta viveva una giraffa, vecchia e sola. Non era cattiva
ma aveva un difetto che la rendeva antipatica a tutti gli altri animali
della foresta: le piaceva ficcare il naso, anzi il lungo collo negli
affari degli altri.

Nessuno dei tanti animali della foresta poteva
starsene tranquillo nella sua tana o fuori. Da un momento all'altro
si poteva vedere il lungo collo della giraffa proteso tra gli alberi: due
occhi carichi di curiosità sbirciavano senza ritegno a destra e a sinistra.
Una volta la tigre, che era a corto di carne, fu sorpresa dalla giraffa
mentre stava mangiando un paio di banane e potete immaginare come rimase
male la povera tigre che non ci teneva proprio a far sapere agli altri
dì essere costretta a ripiegare su un cibo da scimmie.
Un'altra volta il leone, che soffriva molto per una spina confitta in una
zampa, vide comparire il lungo collo e gli occhi della giraffa tra la porta
socchiusa della tana proprio nel momento in cui, cedendo al dolore, si era
lasciato andare ad una crisi di pianto. Povero leone! In quel momento vide
la sua fama di re della foresta irrimediabilmente compromessa.
Insomma la giraffa, con la sua mania di curiosare aveva creato disagi e problemi
a tutti gli animali. Questi dapprima cercarono di far capire con garbo
alla giraffa che certe volte era proprio inopportuna. Ma la giraffa non capiva
o fingeva di non capire. Allora gli animali della foresta ricorsero ai modi
bruschi ed anche scortesi: quando vedevano la giraffa avvicinarsi correvano
a chiudere porte e finestre delle loro tane oppure smettevano immediatamente
di parlare e guardavano la giraffa con aria provocatoria come per dire
"Perché ti impicci dei fatti nostri?"Ma la giraffa era ostnata e trovava
sempre un buco nelle tane in cui ficcare il suo collo.
Un giorno gli animali decisero di tenere un'assemblea per trovare
il modo di difendersi dalla ostinata curiosità della giraffa. Stabilirono
il giorno, l'o

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La stanza

Nella stanza in fondo al corridoio di questa casa, la mia casa, mi sono nascosto troppe volte. Le pareti sono spoglie, il colore non è più un colore. Al centro del piccolo tavolo c'è una radio, una radio a pile. Non prende più stazioni, ma trasmette solo fruscio. La luce è assente, non c'è luce e la finestra non si apre da almeno dieci anni. Le pareti sudano, sudano gioie, dolori, ansie, emozioni e finanche immagini. Scorrono lente e sbiadite tutto il giorno. Non c'è un proiettore, non c'è nulla. È l'uso del tempo che crea le cadenze. Niente minuti, niente ore ne giorni. Il tempo è uno, perché misurarlo? La stanza a volte dorme, non suda. Basta accendere la radio e ascoltare il suo fruscio per svegliarla. Oltre a me, nessun altro è mai stato tra queste mura. L'ingresso è riservato. Uscendo dalla stanza chiudo la porta e mi volto. Mia moglie mi ha detto: «su questa parete prima o poi appenderò un quadro.»

   2 commenti     di: Artemio Podani


Un pappagallo per amico

Se ne stava appollaiato in una gabbia dalle dimensioni sconnesse, almeno per uno della sua specie. Una gabbia piuttosto lunga ma oltremodo appiattita, una di quelle per tenerci i pulcini quando non son più pulcini e non sono ancora galline. Era nervoso. Se ne stava girato di spalle, oppure a testa in giù aggrappato con i poderosi artigli alle sbarre superiori della gabbia - che sarebbe meglio chiamare stia - gracchiando bellicoso ogni volta che qualcuno osava disturbarlo. Faceva un baccano d'inferno, soprattutto quando qualche imbecille si avvicinava e faceva : uh! come se avesse visto un marziano, e poi non la smetteva più di motteggiarlo con suoni e parole sconnesse, anche per un pappagallo.
Addirittura si accalcavano, talora, più individui, poiché si sa che un imbecille tira l'altro come le ciliegie, fino ad oscurargli l'aria, di modo che la povera bestia, povera solo perché s'era deciso così, non ne poteva più e tirava fuori le più acute e stridenti note di cui fosse capace pur di levarseli dalle scatole. Cosa che puntualmente avveniva, essendo quelle grida insopportabili da udirsi a così poca distanza, e allora ognuno si allontanava, scandalizzato che una bestia potesse non gradire i suoi sciocchi salamelecchi.
Dopo simili affronti il pappagallo si voltava di spalle, e, non v'è dubbio, col preciso intento di voltar le spalle, poiché dimostrava un tal senso dell'orientamento da far impallidire una bussola.
Egli, con piena consapevolezza della situazione, e altrettanta consapevolezza della direzione da cui veniva il mal fatto, giungeva ad una perfetta determinazione della posizione da assumere, perché potesse essere ben chiaro a chiunque che tutto ciò che meritavano di osservare era il suo pennuto e variopinto posteriore.
Un ultimo borbottante gracchio concludeva la vivace conversazione, dopodiché seguiva un fiero e orgoglioso silenzio.
Mi avvicinai, presumendo di saperci fare, e dissi: ciao, bello! tenendo la voce sul tono più basso e care

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Liana e Luca

La storia che voglio raccontarvi è una storia vera, tanto vera che ho dovuto inventare i nomi dei protagonisti e non posso dirvi il nome del paesino in cui si è svolta, una trentina di anni fa.

Liana e Luca erano una bella, giovane coppia. Lei bionda, lui castano. Tutti e due avevano una pelle chiara e delicata che si arrossava facilmente quando la esponevano al sole del mare vicino al loro paesello. Erano sposati da sette anni e non avevano figli, nonostante li desiderassero entrambi. La famiglia di Luca aveva più volte sollecitato Liana a farsi visitare da un ginecologo per un'eventuale cura che risolvesse un problema che, per una famiglia molto tradizionalista, era un serio problema. Problema e questione d'onore. Liana aveva risposto alle sollecitazioni dicendo che sì, sarebbe andata da un ginecologo se Luca fosse andato da un andrologo. La famiglia di Luca la prese molto male e interpretò l'aut aut di Liana come un'autocertificazione di sterilità. La voce si sparse per tutto il paese che condannò Liana e compianse Luca. Liana si sentì emarginata e dentro di lei cominciarono a germogliare indignazione e rabbia. Colse negli atteggiamenti di Luca un disamore crescente come se fosse stato tradito nell'amore e nell'onore. I parenti di Luca fecero la loro brava parte nel coltivare i semi velenosi del suo cuore. Liana si chiuse in se stessa, perse il suo naturale buonumore, rifletté sull'ingiustizia che stava subendo e e cominciò a odiare il suo paese che stava scoprendo carico di pregiudizi. Ma non cedette. Non andò dal ginecologo. Pensava che la sua non fosse una ripicca: se aveva chiesto che anche Luca si sottoponesse ad una visita era perché realmente voleva risolvere il problema che poteva essere suo ma anche di Luca.
Sempre più depressa, Liana passava sempre più tempo in casa e una mattina sentì suonare il campanello. Andò ad aprire e si trovò davanti un giovane marocchino che vendeva tappeti. Liana non aveva alcuna intenzione di comprar

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