username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti su sentimenti liberi

Pagine: 1234... ultimatutte

Una storia a matita

Agosto 2001


Se questo fosse un film si aprirebbe con una strettissima inquadratura sui suoi occhi.
Quando lui stava per raccontarmi una storia aveva gli occhi più giovani che si possano immaginare.
Nel rugosissimo incarnato si stagliavano, illuminati dall’improvviso lampo del ricordo, due occhi blu che il tempo e la malattia avevano reso sempre più vitrei. In quei momenti però quegli occhi si rivelavano così pieni di tutto ciò che avevano visto, così affaticati nel contenere tante immagini, che facevano dimenticare a chi si trovava davanti quanto poco in quel momento potessero vedere. Solo poche ombre sicuramente, che animavano il mondo di quel vecchio quasi cieco: mio nonno.
…….
In realtà egli non era mio nonno. Io così lo chiamavo, ma era solamente una persona anziana e malandata di cui avevo deciso di prendermi cura, e non gratis naturalmente.
Abitava nel mio stesso stabile, un vecchio palazzo anni quaranta, dalla facciata sobria, elegante ed anonima ad un tempo, nella cittadina più bella del mondo, l’unica che io abbia mai visto.
Io ero lì in affitto, studiavo, ma non avevo bisogno di lavorare per mantenermi agli studi: i miei mi passavano una quantità di denaro più che sufficiente; anche a sprecarne un po’. Dimoravo al quarto piano, al quinto ed ultimo lui.
Attirato dal suo forte tossire, una sera, annoiato, decisi di salire per chiedergli se aveva bisogno di qualche cosa. Ci mise del tempo per venire ad aprirmi. Immagino che si dovette alzare con molta lentezza ed altrettanta fatica, mi sembrava di vederlo attraverso la porta, ma quando mi aprì non mi diede il tempo di proferire parola: “Posso offrirle una tazza di tè?”, mi fece, gettando subito un ponte con la mia anima col suo largo sorriso sdentato.
…….
Il suo appartamento aveva una vista bellissima: l’intero golfo era dominabile da casa sua. È buffo, poco più sotto io non vedevo che palazzi e squallide scene di litigi familiari, una ogni giorno, una in og

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Cesco Lai


parte prima

È una di quelle sere in cui mi sento la testa e il cuore pulsare freneticamente, scossi dal forte desiderio di raccontare quello che li occupa.
E'  una di quelle sere in cui volentieri starei sul divano (possibilmente non quello blu, che è un po' scomodo )con la testa tuffata nel petto e tra le braccia di chi è disposto a farsi amare da me, di chi è disposto a non avere paura di me, confidando nel suo desiderio di tenermi stretta a se.
È una sera in cui, se fosse possibile, mi estirperei da dentro tutto il dolore che è tracimato nella mia vita, soprattutto negli ultimi dieci anni, relegandolo in un nascosto andito, cosi che resti per me solo un brutto ricordo.
È una sera in cui, se potessi, vorrei chiudere gli occhi contenta, senza essere spaventata da quel che c'è dopo la notte, questa e quelle che verranno.
Quante cavole di cose che vorrei che accadessero in una sola sera! definirmi velleitaria è come usare un eufemismo.

Ad ogni modo, ritenendo impossibile l'esaudirsi (almeno nell'immediatezza)dei miei desideri, l'unica iniziativa da intraprendere, anche se non so quanto utilmente, è quella solita di scrivere, che, come il piangere, ha su di me un effetto catartico, pur se poco durevole nel tempo.

Peraltro scrivere, è un modo per mettere a freno la mia brama interrogatoria, che normalmente  si sfoga sugli altri, e per dar ordine ai miei scompigliati pensieri, che con alterno e a volte contraddittorio contenuto, mi saltellano nella testa e non mi danno tregua.
Insomma, scrivendo, tento di irregimentarli in categorie razionali, cosi dando loro ordine, e di individuarne il nitore dei contenuti.
Quindi se io ti farò leggere quel che ti sto scrivendo (essendone tu il destinatario) , non spaventarti, perchè non stai per essere sottoposto all'ennesima indagine del commissario Maigret. Al massimo, stai per essere invaso da un ondata di pensieri, rispetto ai quali, però , potresti non riuscire a muoverti con l

[continua a leggere...]

   5 commenti     di: dna blu


scusami

è così poco vicino il tuo cuore,
che non riesco più a percepire il suo battito.
così tanto distante il tuo sguardo,
da non riuscire a perdermi nel blu
capace di trascinarmi via, lontano da qui.
vorrei chiederti scusa.
sto cercando un motivo da dare alla mente
per non farle più sussurrare il tuo nome.
così facendo non sto difendendo dai tuoi attacchi
il posticino di cui ti sei impossessato.
vorrei, adesso, vederti passeggiare sotto casa
e alzare lo sguardo alla finestra di camere mia.
ti dico. riceveresti in cambio del pensiero rivolto,
uno spiraglio di luce utile per capire che...
si... io ci sono!
perdonami. vorrei saperti mostrare un cielo senza nuvole
ma ormai sono alla deriva.
perchè pretendo senza avere diritti sui tuoi sentimenti,
arrogandomi un ruolo non mio,
di farti del male.
di farmi del male.
tu colori le mie giornate
ed io finisco per essere bravissima nell'ingrigirle.
ma purtroppo... la mia mente ha ragione!
scusa.

   2 commenti     di: Rita F. R.


Ipermarket

( al microfono )
“Morelli alla cassa cinque… Morelli alla cassa cinque.”
“Ha la tessera?”
Che poi a vedere tutta questa roba da mangiare ti passa l’appetito. Per questo preferisco il turno di mattina. Quando torno a casa vado subito a riposare senza pranzare.
“Signora non l’ha pesata … Dietro alle banane.”
Alle otto in punto già c’è la fila ai carrelli. Sono sempre le stesse persone. Per lo più anziani. E poi signore affannate che fanno la spesa prima di andare in ufficio. Il Parroco pure viene presto. Lui arriva alle otto e trenta. Puntuale come un treno svizzero. Ci puoi rimettere l’orologio. Viene sempre alla cassa mia. Guarda dove sono e se mi vede dopo che era già all’altra cassa magari cambia pure fila. La prima volta che l’ho visto non sapevo nemmeno che fosse il Parroco. Oggi i preti vanno vestiti come persone normali. Che poi mi sa che sono presone normali, solo che sono preti. Anzi ci sono certi che si vestono da preti peggio che i preti veri. Insomma, Don Carlo sembrava una persona qualunque. Dicono che fosse un architetto. Disegnava barche per ricchi. Poi un bel giorno ha mollato tutto e si è fatto sacerdote. Quasi quasi ci sono rimasta male quando ho saputo che Don Carlo era il Parroco.
( al microfono )
“Morelli alla cassa cinque con urgenza”
Poi pian piano la gente cambia. Verso le dieci arrivano le prime casalinghe. Io le guardo mentre passo la merce alla cassa. Detersivi, detergenti, sgrassatori, ammorbidenti, prodotti per il legno, per l’acciaio, per i lavelli, brillantanti, anticalcere, in crema, in polvere, concentrati, colorati, profumati. Un vero trionfo della chimica, per far splendere per bene le loro casette e lasciarle stanche e svuotate la sera coi piatti da lavare e tutto di nuovo da pulire. Ogni orario ha la sua personalità. Gruppi di clienti tutti uguali che cambiano con lo scorrere delle ore.
“Carta o bancomat? Mi digita il codice per favore?”
“No signora, ne deve prendere tre. Co

[continua a leggere...]

   10 commenti     di: Giacomo D'Alia


Le pantofole del maragià

Il maragià indiano Ratanagron era arrivato a Parigi con il treno delle 19, 30. Era molto stanco e molto seccato perché, a causa di una forte pioggia, aveva dovuto viaggiare con quel noiosissimo treno anziché con il magnifico paio di pantofole in velluto rosso, ricamate d'oro, capaci di sfrecciare nel cielo più veloci del più veloce aeroplano. Eh, già! Le pantofole del maragià erano magiche e bastava dire il nome della città o del paese dove si voleva andare perché le pantofole si alzassero in volo immediatamente, arrivando a destinazione in perfetto orario e senza incidenti.

Il maragià viaggiava sempre con le pantofole tranne, naturalmente, quando pioveva o nevicava perché le pantofole erano magiche ma non impermeabili. Il viaggio a Parigi, dunque, il maragià aveva dovuto farlo in treno, però aveva avuto cura di mettere in valigia le pantofole, deciso ad usarle nel viaggio di ritorno, se il tempo glielo avesse permesso. Appena arrivato in albergo il maragià disfece la valigia, sistemò ordinatamente gli abiti nell'armadio e mise, incautamente, le pantofole sotto il comodino. Poi andò a cena, si fece fare una borsa d'acqua calda, andò a letto e si addormentò subito. Il mattino dopo si sentiva fresco, riposato e allegro e siccome il tempo era molto migliorato, decise di fare una passeggiata a piedi per andare a vedere la torre Eiffel. Mentre il maragià gironzolava per Parigi il cameriere Jean entrò nella sua stanza per metterla in ordine. Sotto il comodino stavano le bellissime pantofole, morbide e splendenti. Jean non resistette alla tentazione: si sfilò le sue scarpe, mise le pantofole, fece un giretto nella stanza e andò allo specchio per ammirare i suoi piedi così splendidamente calzati. In quel momento un altro cameriere si affacciò alla porta e chiese: "Sai dove è andato il signor Garassilov che è partito stamattina?" "A Mosca"- rispose Jean. Immediatamente una forza irresistibile lo sollevò da terra, lo lanciò fuori dalla fin

[continua a leggere...]



E come foglia morta cade, cadde

“Non è mica detto che morti si stia poi così male”
“Però, c’è da pensare. E chi l’avrebbe mai detto che da sto schifo di trasmissione venisse cotanta massima, sarebbe come cavare sangue da una rapa.
Infingardi, proverbi e modi di dire. Ormai non mi servono ad altro che a rafforzarmi nelle mie idee, se ne ho mai avute, o per dire con parole altrui ciò che non ho da dire. Come adesso, preso a scarabocchiare frasi insulse sperando che qualcuno poi glielo darà, un senso.
Strane le motivazioni che possano spingere al gesto più coraggioso, il suicidio.”
Così pensava un uomo.

Un uomo disfatto, morto dentro da quando, così, senza ragione si ritrovò senza motivazioni né scuse per tirare avanti, e si lasciò andare, di colpo.

“Sono troppo intelligente per la vita, sprecare tempo a sputare sangue ogni giorno per raggiungere qualcosa e una volta arrivato accorgersi che non mi basta, e ripartire, e arrivare e ripartire e arrivare e ripartire finché, finalmente, la morte compassionevole arriva a fermare questa affannosa e stupida corsa verso il nulla. Ché l’uomo non desidera altro che il desiderare, disse un giorno un poeta, forse.
Meglio stare a guardare.”

E ci stette a guardare, non fece più altro. Lasciò il lavoro, così, da un giorno all’altro, con allibito sgomento di moglie figli soci clienti e scrocconi, ma come, lui, che è un grande avvocato.
“Lei non mi può lasciare così, Caetani, in mezzo a una strada” tuonò quella volta l’on. Spingardi, uno dei tanti politici che aveva preso a difendere, perché il clamore suscitato dalla bassezza delle loro azioni e dall’incredibilità delle assoluzioni, che arrivavano sempre tanto impossibili quanto puntuali, gli faceva onore, almeno lui pensava. Ed era ambizioso, eccome. E risoluto.
“Lei non mi può lasciare così“ “Sto cazzo” fu l’unica risposta, e lasciò di stucco, a bocca aperta l’ onorevole ma indifferente Caetani, che un tempo avrebbe provato soddi

[continua a leggere...]



Perso nella notte

“... niente è più fantastico e straordinario della vita reale...”
(E. T. A. Hoffmann: O Homem de Areia- L’uomo della Sabbia)

Il mio luogo è nel sogno. Quando ho scoperto, ho detestato tutto che lo riguarda. Le abitudini notturne. Il giorno è uomo: aggressivo, barbaro, violento… La notte è donna: delicata, dolce, affettuosa. Appena la penombra se staccava dall’occaso, mi assaliva un’allegria struggente.

Io e la notte eravamo più che amici. Eravamo amanti. Ci siamo dati, uno all’altro, tutto quello che due amanti sono capaci di donarsi reciprocamente.

Lei mi aveva dato soprattutto le emozioni. Come tutti gli amori, in un giorno incerto, quando finiva la giornata, lei è arrivata tarde.

Siamo usciti. Lei avvolta nella sua mantella nera, ricamata con le stelle. Io, vestito soltanto con i miei sogni. Camminavamo lentamente per le periferie, vuote di persone e piene di quiete. Così, assorbiti uno nell’altra, ci siamo persi. La metropolitana era già chiusa. Camminavamo sempre in avanti e, ad ogni passo ci allontanavamo dell’origine.   

Nessun taxi in giro. Improvvisamente, un cartello indicava il carabiniere.

Ci siamo persi? Non abbiamo visti la segnalazione? Sì che abbiamo visto. Ma non ci siamo venuti qua per dire quel che abbiamo visto o no. Siamo venuti a chiedere aiuto. Non ci sono vetture. Possiamo soltanto offrire informazione e una pianta della città. Abbiamo seguito gli orientamenti della pianta. Avevano delle valli che dovevamo contornarle. Esistevano delle scorciatoie. Vie e viali senza uscita. Vie sinuose. Labirinti. Gira capo. Labirinti e it. Così, continuavamo ancora più persi, ma sempre camminando in avanti.     

Derivando per le vie secondarie. Mi sono seduto nel filo di pietra.

Lo stato d’animo per un filo. La mia compagna non ha voluto o potuto sedersi. Un’ambulanza della Croce Rossa ferma in una luce rossa. Ho dovuto parlare un linguaggio solo mio, in una lingua solo loro: Ci siamo pe

[continua a leggere...]




Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Altri sentimenti.