username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti su sentimenti liberi

Pagine: 1234... ultimatutte

Il direttore M. (seconda puntata )

Gli bastò una pagina per provare la sensazione di avere ritrovato un amico perduto di vista da troppo tempo, un amico col quale urgeva una rimpatriata degna di questo nome.  Non udì i passi della moglie nel corridoio, non udì la porta dello studio aprirsi.
Non ebbe modo, quindi, di cancellare dalle proprie labbra un sorriso sognante,  e dal proprio sguardo una  quasi languida vaghezza.  Ritrovò immediatamente l’abituale compostezza,  ma  colse sul viso della  moglie  un accenno di allarme,  l’ombra di un sospetto antico,  tramandato da generazioni e generazioni di quelle  mogli che, nei secoli, hanno visto rincasare i loro uomini insolitamente tardi, ed insolitamente sorridenti.  Più compiaciuto che offeso,  il Direttore M.  pensò bene di tranquillizzare la consorte con un  tenero ed attento  amplesso,  ma, quella notte, al momento del solito, collaudato, gradevole incontro,  il Direttore M. si rivelò un amante impetuoso, accanito, quasi rude, sorprendendo sé stesso quasi più della sua signora, sul volto della quale il sospetto era oramai esplicito.  Prima che le labbra tremanti di lei si schiudessero per pronunciare allusioni o domande che avrebbero messo a disagio entrambi, M., diplomaticamente,  depose un bacio sulla fronte aggrottata della consorte, e si impegnò a fingere di dormire. Dopo pochi minuti, secondi forse, il sonno lo vinse davvero.
Il Direttore dormì benissimo, tanto che quelle poche ore gli bastarono per risvegliarsi riposato, sereno,  deciso a godersi quella limpida e frizzante giornata di fine Maggio,  che,  dopo la serata precedente, insolitamente  e pesantemente calda,  dopo quella notte luminosa, ma innaturalmente calma  , profumava  di fresco, di  vita, di normalità, una normalità che M. ritrovò sul viso sorridente della moglie, e nelle allegre chiacchiere dei figli, due liceali, uno al primo anno, l’altro al quarto, entrambi alti, entrambi snelli, e chiari di occhi e di capelli, entrambi

[continua a leggere...]

   3 commenti     di: laura ruzickova


Il neurologo

In un tramonto di aprile il sole arrivava sbilenco sulla griglia del grande portone marrone, riverniciata di recente. Costruzione di fronte al mare, in pieno centro cittadino. Un maldestro tentativo per ridare dignità ad un vittoriano decadente. L'inverno, più lungo del solito, da poco aveva abbandonato ogni pretesa arrendendosi alla primavera che spingeva ansiosa e scomposta. Di quell'ansietà s'era riempito anche il sole, di modo che riusciva ad accecare fino a qualche minuto prima del tramonto. Mia sorella Fede ne subì le conseguenze più immediate, abbagliata dal riflesso del telaio dorato del citofono, che allineava a due a due i nomi sul marmo dello stipite di fianco al portone d'ingresso.
Fede mi accompagnava, o meglio, conduceva l'operazione, ma dovette chiedere ad alta voce l'intervento del mio più giovane occhio, nella cantilena della sua insofferenza e quasi in tono di rimprovero. Mi scambiava per il sole, evidentemente, o quantomeno mi attribuiva la responsabilità di quel bagliore. Rintracciai quasi immediatamente la targhetta del prof. Monzino, noto neurologo dell'ospedale dove Fede lavorava come infermiera. Mia sorella considerava quella visita poco meno che un favore concesso dal primario, benché avrebbe valutato assolutamente giustificata qualsiasi pretesa in tema di parcelle, onorari o richieste affini.
Il professore suggeriva ai pazienti conosciuti in corsia visite private per una efficace terapia, conseguente ad una più attenta diagnosi. Fede non era più sua paziente ma si riteneva particolarmente fortunata che il recente cambio di reparto disposto dalla direzione sanitaria, l’avesse destinata proprio lì: 1^ clinica neurologica, direttore prof. Monzino, sua vecchia conoscenza per antiche vicende psico-somatiche. In verità, si comprenderà in seguito, quella sua fortuna Fede mi girava senza alcuna richiesta in cambio, esclusa la doverosa gratitudine di routine, umanamente tipica ma particolarmente ri

[continua a leggere...]

   3 commenti     di: Carlo Diana


Mia madre

Mia madre era quasi analfabeta. Aveva fatto solo la terza elementare.
Mia nonna considerava la cultura un inutile fardello, specialmente per le donne.
Del resto non aveva fatto studiare nemmeno i figli maschi.
Forse non avevano, lei e il nonno, risorse economiche sufficienti per farli studiare tutti. E, così, non avevano voluto fare ingiustizie. Forse.
Con la sua scarsissima cultura, mia madre a vent'anni aveva trovato un posto di telefonista. La mia ferrea nonna glielo fece rifiutare. "Le donne non lavorano -disse - specialmente in posti pubblici. È come andare sul marciapiede".
Mia madre, che aveva un carattere dolce e docile, si rassegnò. Sposò mio padre che era buono e l'amava ma era un po' maschilista e non le lasciava grandi spazi. Ma quella donna fragile e docile, quando era sicura che una cosa fosse giusta, scopriva un lato ferreo del suo carattere che forse aveva ereditato dalla madre. Fu d'accordo con mio padre per farmi studiare, ma i loro obiettivi erano diversi.
Mio padre, che faceva il durissimo lavoro di macchinista delle Ferrovie dello Stato, voleva per me una condizione di vita diversa dalla sua. Sognava che diventassi una donna "di comando". Così diceva. Che cosa dovessi comandare non si capiva bene. Mia madre aveva un obiettivo molto concreto. "Studia - mi diceva - e poi trovati un lavoro. Creati un'indipendenza economica. Non dovrai chiedere a tuo marito un paio di calze. E se non vorrai sposarti, potrai provvedere a te stessa". Mio padre ha fatto molti sacrifici per farmi studiare, ma mia madre, che aveva il bellissimo nome di Elena, ne ha fatti molti di più. Quando mi assaliva l'agorafobia e non riuscivo a muovermi da casa, lei piantava tutto e mi accompagnava. Prima alle medie, poi al liceo e infine all'Università. Aspettava che finissi di ascoltare una lezione o concludessi un esame, seduta sotto la statua della Minerva, la dea della sapienza alla quale non aveva niente da invidiare: lei aveva la sapienza del cuore. Appena

[continua a leggere...]



MILO

Li pensava esseri fantastici e misteriosi.
Piccoli elfi della notte.
Probabilmente perché non aveva motivi per credere che non fosse così, non gli era mai capitato di vederli durante il giorno e in generale capiva molto poco della realtà che gli stava attorno.

Li desiderava come un sogno... esseri ineffabili, difficile incrociare il loro sguardo, il loro viso nascosto sempre a metà, invisibili come folletti, creature fantastiche che la notte colorano la città con strane scritte che ai più non è dato capire. Qualcuno poi gli aveva detto che neanche esistevano e quegli incomprensibili scarabocchi, che ammirava incuriosito dalla piccola finestra in realtà altro non erano che opera di vandali. Ma ciò lo aiutò soltanto ad accrescere la curiosità con il gusto del mistero.

Con la disperazione e col tempo imparò a capire quegli strani grovigli: i simboli dai colori schizzoidi, quelle brevi sequenze di lettere, in realtà custodivano qualcosa di molto importante, erano il nome segreto del loro artefice, la sua verità che urla al mondo ignorante: "io esisto ". Gli risultò abbastanza logico che fosse questo il motivo per il quale a molti non fosse concesso di capire, in fondo è giusto che solo tra di loro fossero capaci di conoscere i nomi dei propri compagni. Un urlare che ha in se qualcosa di silenzioso, ha un po' il sapore di una provocazione bastarda. Forse è solo la superbia spocchiosa di chi ha trovato un trucco per guardare il resto del mondo dall'alto in basso senza che nessuno glielo abbia concesso. Era sicuramente la cosa più bella che gli fosse mai passata per la testa, l'unica che in qualche modo poté giustificare per la prima volta quella strana speranza, che nessuno aveva mai pensato un ritardato come lui potesse desiderare.

Un giorno una scritta colpì particolarmente la sua attenzione, si faceva notare tra le altre perché eccezionalmente lunga: un treno inconcepibile per quel po' che aveva capito di quel mondo, una lunga fil

[continua a leggere...]



la scelta

... come vorrei poter essere in grado di cambiare,
come vorrei poter annebbiare i ricordi,
come vorrei vedere in avanti nel futuro,
come vorrei saper interpretare i miei sogni,
le paure, le speranze e la volontà...
come vorrei che tutto questo non fosse successo,
come vorrei poter essere sempre innamorato,
come vorrei poter essere sempre amato,
come vorrei poter trovare qualcuno con cui parlare ora,
senza freni della mia passione, del mio tormento,
del mio amore, ma solo la mia immagine
riflessa e distorta allo specchio mi fa compagnia...
... come se mi potesse capire, ma non capirà mai,
quell'immagine di me, che sorride dei miei incubi,
e con ghigno ridente gioisce del mio dolore...
come vorrei poter parlare ora alla pricipessa,
ora che ormai è tardi...
... mentre tutto intorno a me parla di LEI,
come vorrei poter impiccare l'anima subliminale dei sentimenti,
e poter vivere giorno per giorno astrattamente,
come vorrei poter essere insensibile alla vita,
come vorrei poter rinascere...
... ma il fato mi ha dato una pena da pagare,
e dovrò accettarla senza compromessi,
perchè una vita senza amore non vale la pena di essere vissuta,
ed io il mio amore l'ho vissuto...

   1 commenti     di: filippo dusi


Se...

Tutto tace.
Non so nemmeno perché lo faccio, ma si stringe dentro, e mi morde le ossa.
Si potrebbe andare a fare un giro, si potrebbe mettersi a leggere un buon libro, ma sento che mi sto sgretolando su questo foglio, e tutto appare come noiosa, lenta neve. E scivolo in pensieri tra il filosofico e l’agnostico, come almeno un altro paio di persone fanno regolarmente prima delle feste di Natale.
Scotto. Penso che niente stia cambiando realmente. Questo foglio è sempre bianco.
Mi domando, se esiste una religione per le persone come me. Se non si tratti soltanto di sogni e false speranze, di mete vicine e distanti. Se non sia solo come quando arrivava babbo natale e eravamo tanto felici?" a seconda che ci portasse quello che avevamo veramente desiderato. Io non sono felice. Non mi piace accontentarmi di quel che ho, e allora spesso lo perdo, lo abbandono per strada. E lo calpesto, per convincermi che non era nemmeno lontanamente quello che volevo per me. È sempre stato così, dai tempi dei tempi, ma stavolta qualcosa mi morde le ossa e la risposta non ce l’ho. Tutto tace. Non vi sembra che questo foglio sia ancora bianco? Ho bisogno di una risposta perchè non so se sono ancora in tempo per sperare in qualcosa di puro e divino, qualcosa che non sia dovuto o forzato, qualcosa che esplodendo là fuori, per sbaglio tocchi anche me. Perchè le persone buone della mia vita non vanno in chiesa, ed è un peccato che i santi, ammesso che ci siano, ascoltino soltanto i passanti.

   14 commenti     di: robibreak.


logoopediia

Ero seduto in un autobus, concentrato sui manifesti circensi e/o pornografici che tappezzavano la via dello stadio. Stavo pensando “L'immediatezza grafica delle pubblicità per Eva Henger non mi eccita affatto. Che il mio cervello funzioni come quello di una donna?”. Ero soddisfatto della profondità di questa riflessione, ma la dovetti accantonare un attimo per ascoltare la conversazione di due vicini di posto, un maschio e una femmina di qualche anno più vecchi di me.
Intuii che parlavano delle ultime vacanze estive.
“ E poi a Luglio ho passato tre settimane ad Amsterdam.. “ disse la ragazza con tono medio.
“ Figata! “ disse il ragazzo con quella che sembrava l'espressione standard di ' empatia per qualcosa di relativamente interessante successo a qualcun altro '.
“ Con i miei... “ lo corresse la ragazza alzando leggermente gli occhi al cielo con aria delusa.
“ Ah... che sfiga.. “ commentò il ragazzo affrettandosi ad imitare il registro della ragazza.
In quel momento avrei voluto alzarmi dal mio posto, trascinare i due alla prossima fermata, prenderli entrambi per un lobo e dire loro:
“ Cosa cazzo vi prende? Perchè continuate a torturare gli ignari passanti con i vostri dialoghi privi di alcun interesse e gonfi di stereotipi adolescenziali? Sforzatevi per fare in modo che i vostri scambi abbiano almeno un'infinitesima conseguenza nella vostra vita! “
Il flash fu breve. Una persona normale non avrebbe probabilmente reagito in questo modo scomposto. Ma era emersa qui una mia vecchia ossessione, nata circa dieci anni prima?" ovvero quando avevo cominciato a mettere in fila un pensiero non necessariamente legato a bisogni primari - , che la mia vita potesse essere una commedia brillante, con una sceneggiatura esilarante e priva di tempi morti, con un pubblico che reagisse ad ogni cosa che mi succedeva. Rispondevo indietro ad un maestro, e un applauso intenso faceva da eco. Facevo un'allusione sessuale ad una ragazza, ed ecco

[continua a leggere...]




Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Altri sentimenti.