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Racconti su sentimenti liberi

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un giorno

Finalmente di buona lena mi alzo, la notte è passata tra un dormiveglia e i tuoni che di soprasalto mi svegliavano, per mia fortuna crollavo subito tra le braccia di Orfeo ogni volta.
Indosso pantaloni e stivali per affrontare il fango che troverò fuori dall’uscio di casa, non prima di essermi lavato e fatto la barba, aver fatto una abbondante colazione, guardando fuori dalla finestra mentre sorseggio un buon latte e caffè noto un albero che si è accasciato per via della tempesta notturna appena passata. Era un vecchio amico, quando alla sua ombra sostavo prima di entrare in casa, oppure seduto sulla sedia a dondolo stavo sotto a sentire i passerotti, ora il giardino sembra più grande, dal suo tronco ho ricavato delle tavole che userò come piano per un tavolo, resterà ancora com mè per tanto tempo. Per aiutarmi ho chiamato un vicino, Robert è inglese ma parla bene l’italiano, mi insegna qualche parola di inglese, sono un allievo con poca pazienza per le lingue. Dopo aver fatto pulizia in giardino tagliato a pezzi il legname ci meritiamo un buon bicchiere di vino, progettando come tagliare il tronco per ricavarne delle tavole mi spiega di come da lui in un piccolo paese dell’Inghilterra fanno quando un albero muore. Credo che alcuni passaggi del racconto mi siano stati da lui ingigantiti, ma lo lascio parlare, fantasticare perché è pur sempre un amico, raccontò che dopo aver utilizzato i vari rami e fronde il tronco lo si lascia stagionare per un anno circa, poi si taglia e si ricava il cuore dell’albero lasciando il centro del tronco in un'unica sezione verticale così da ricavare una specie di matterello per tirare la sfoglia per la pasta. Ancora oggi la uso per fare delle ottime tagliatelle che con i miei amici sono una mia specialità.

   0 commenti     di: tore chiaro


la scelta

... come vorrei poter essere in grado di cambiare,
come vorrei poter annebbiare i ricordi,
come vorrei vedere in avanti nel futuro,
come vorrei saper interpretare i miei sogni,
le paure, le speranze e la volontà...
come vorrei che tutto questo non fosse successo,
come vorrei poter essere sempre innamorato,
come vorrei poter essere sempre amato,
come vorrei poter trovare qualcuno con cui parlare ora,
senza freni della mia passione, del mio tormento,
del mio amore, ma solo la mia immagine
riflessa e distorta allo specchio mi fa compagnia...
... come se mi potesse capire, ma non capirà mai,
quell'immagine di me, che sorride dei miei incubi,
e con ghigno ridente gioisce del mio dolore...
come vorrei poter parlare ora alla pricipessa,
ora che ormai è tardi...
... mentre tutto intorno a me parla di LEI,
come vorrei poter impiccare l'anima subliminale dei sentimenti,
e poter vivere giorno per giorno astrattamente,
come vorrei poter essere insensibile alla vita,
come vorrei poter rinascere...
... ma il fato mi ha dato una pena da pagare,
e dovrò accettarla senza compromessi,
perchè una vita senza amore non vale la pena di essere vissuta,
ed io il mio amore l'ho vissuto...

   1 commenti     di: filippo dusi


CRISTOFORO COLOMBO

CRISTOFORO COLOMBO

Corrono circa cinque centenari che Cristoforo Colombo, celebre connazionale,
coronava complicatissimi calcoli circumnivagatori, concludendo che, con corsa
coraggiosamente condotta contro costa, conseguirebbesi circolar collegamento colla costa contraria.
Concordati chiari contratti coi colendissimi coronati cristiani, che
comandavano con così clemente comprensione chi castiglian crescea, Cristoforo Colombo,
capitanando celeri caravelle( che col centenario colombèo conseguentemente celebransi),
cominciò con circa centocinquantacinque compagni, con cuor conscio, con cristiana cautela,
codesta crociera che capovolse cognizioni costantemente credute classiche.
Corsi con cameratesca concordia, circa cinquemila chilometri,
certuni ciurmatori, convintisi che Colombo cullasse chimeriche convinzioni,
cercarono convincerlo che conveniva cambiar crociera capovolgendola.
Colombo, con calorosi conversari, combinò che continuerebbesi con circa
cinquecentocinque chilometri.
Crespuleggiava
Colombo camminava cogitabondo considerando con crescente cordoglio come
crollasse completamente ciò che certificavagli calcoli credibilissimi.
“Capo coffa, che cosa ci comunichi? “
... chiese Colombo colla consueta cantilena.
“ Costa... costa... costa!!!”
Con clamori confusi ciaschedun ciurmatore corse celermente contro cassero,
constatando con crescente curiosità che costeggiavan celermente.
Con che commozione convulsiva capì Colombo che cncludevasi così,
col coronamento completo codesta crociera circuminavigatoria,
coscientemente, cocciutamente caldeggiata che credevasi catastroficamente chimerica!
Costeggiavano…
Calate cinque canoe capaci Colombo coi compagni calcò cotesta creta conquisa.
Ciascun curvossi.
Con cristiana contentezza conversarono caldamente con Creatore
che custoditeli così chiaramente, consacrarono cotesto Continente conquiso.

Costante Costantini celebre calcografo, carissimo compagno, comunicando calore con coloro

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Natale di una volta

Natale in famiglia, col presepe costruito di sassi e muschio
e tante statuine di creta rovinate dal tempo, ma sempre a noi care.
Profumo di dolcetti preparati in casa, appena usciti dal forno;
abbondanza di tutto; sul piatto portafrutta, in bella vista, le prime arance profumate, grossi melograni, castagne e noci.
La sera, sotto casa, la novena suonata in tutta fretta per
il troppo freddo, da musicanti improvvisati ed un po' alticci.
Per le strade negozi affollati e vetrine appannate piene di luci; nell'aria un qualcosa di magico che induceva al sorriso ed alla gioia.
La notte santa si andava tutti in chiesa sotto il freddo ed io, bambino, riparato sotto il lungo mantello del papà mio, camminavo nel buio, inciampando nelle pietre del selciato.
E poi il giorno della festa, tutti riuniti attorno alla tavola, imbandita col servizio di piatti buono e la tovaglia ricamata a fiori.
Ed alla fine i regali, giocattoli, la nuova cartella per la scuola,
leccornie da leccarsi i baffi, i soldini dei nonni, tante sorprese,
con le animate trattative tra i fratelli per scambiarsi qualche dono.
E soprattutto l'adorabile sorriso dei nostri genitori, felici della nostra contentezza, sorriso che non potrò mai scordare e che Natale non può darci più.

   4 commenti     di: IGNAZIO AMICO


Un tempo e tre quarti

2015

"Bevine ancora un po', dai!"
"No, sul serio, basta, sto già ridendo troppo!"
Ilaria scostò il bicchiere dalla mira di Lorenzo, rossa come un peperone. Lui, con quel suo sorriso furbetto e accattivante, poggiò la bottiglia sul tavolo e fece una scrollata di spalle. Non era ancora abbastanza ubriaco per poter insistere pesantemente. Era un ragazzo socievole e deciso, ma il coraggio gli veniva meno in certe situazioni. Povero Lorenzo, era quasi dieci anni che ci provava con Ilaria e non avrebbe mai smesso di farlo. Se lei se ne fosse accorta, nessuno lo sapeva. Probabilmente sì, diceva Davide, maligno, a Lorenzo, ma non ti fila proprio, piantala.
Non che Lorenzo fosse a corto di ragazze da corteggiare; aveva venticinque anni, qualche storia finita male e tanti sogni ancora da realizzare, ma per Ilaria un posto nel cuore rimaneva sempre. Dai tempi della scuola, quando prendevano l'autobus insieme e lei, ridendo di cuore, si mangiava con gli occhi i ragazzi più grandi, mentre lui, inerme sedicenne, si limitava a prenderla in giro.
Ilaria era un po' da conoscere e un po' da scoprire. Non si lasciava andare subito, non amava bere in compagnia e rivelare i suoi segreti. La madre morta e il padre distante le pesavano sulla coscienza da anni ormai e, quando Lorenzo l'aveva introdotta nel suo gruppo di amici, aveva ancora gli occhi tristi e annoiati. Quegli occhi non cambiarono molto ma Ilaria si riempiva la bocca di belle parole, diceva che sarebbero rimasti amici per sempre, che quel gruppo di persone che credeva di conoscere a fondo era la sua nuova famiglia. Lorenzo non aveva mai provato neppure a baciarla, aveva la sciocca impressione che le avrebbe potuto fare un torto, lei era fragile e aveva una strana capacità. Quella di essere triste, quella di farlo sentire, lui, l'allegro e impacciato cavaliere, un immaturo.
"Ila, così fai piangere Lorenzo" intervenne Davide, con un occhiolino. In qualunque momento ed in qualunque modo, Davide era sempre dall

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   0 commenti     di: Silvia Lodini


Cose da uomini

Aprii gli occhi nella stanza del conte poco prima dell'alba. Girai la testa sul cuscino un paio di volte prima di rendermi conto di dove fossi e di come il flusso obliquo degli eventi mi avesse portato lì. La sveglia, realizzata su commissione da un popolare designer tedesco, illuminava flebilmente la stanza con una luce verdastra. Segnava le 4 e 52. Inspirai ed espirai profondamente. Il conte non reagì. Probabilmente stava ancora dormendo.
Avevo perso fin troppo tempo lì dentro. Era arrivato il momento di andare. Spostai piano le lenzuola e, dopo essermi alzato, camminai indolenzito per la camera cercando i vestiti da rimettermi addosso.
Amare un uomo, possederlo e farsi possedere, è un'attività estremamente spossante. Con le donne era sempre stato più facile. C'è una legge non scritta che prevede che tu conduca le danze e che loro allentino i muscoli per farti arrivare dove vogliono loro. È tutto morbido, scorrevole, mellifluo.
Per quello che avevo potuto constatare quella notte, tuttavia, quando sono due uomini ad amarsi la situazione cambia radicalmente. Ognuno dei due ha nel DNA l'istinto a guidare l'amplesso e questo rende l'accoppiamento molto simile ad un incontro di lotta. E i miei muscoli, non certo allenati, pagavano ancora il conto per essersi mischiati con quelli di un uomo con una stazza bovina come quella del conte.
Una volta sgranchite le ossa e recuperati i vestiti sparsi per la stanza, non mi restava che prendere il mio quadro ed andarmene. Sgattaiolare via nel buio non era certo il massimo dell'eleganza, ma gli accordi che avevamo preso erano questi e non ero assolutamente preoccupato da questo tipo di convenevoli. Dopotutto ero lì per il quadro. Solo per il quadro. Nient'altro.
Era in una sala d'aste che io e il conte ci eravamo conosciuti. Va detto che era qualche anno che frequentavo il mondo delle vendite d'arte con una certa assiduità.
Dopo aver divorato un buon numero di libri d'arte contemporanea decisi di passar

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   5 commenti     di: Andrea Aprile


IL MIO CANARINO SI CHIAMAVA ANDREA

La vacha malha (Lou Dalfin)



ANDREA

Ma c'è davvero bisogno di una storiellina minimale?
Non lo so, non sono miei problemi.
Comunque, tanti anni fa, avevamo in casa un canarino arancione. L'ospite cominciò a svolazzare nella sua gabbia che era già un maschio adulto, mentre io, seppure anagraficamente più vecchio, ero in età prescolare. L'avevo chiamato Andrea. Certo è un nome inconsueto per un volatile, e già sento turbe flagellanti di apprendisti chierici scagliarsi contro quell’infantile decisione adducendo l'incontestabile fatto che non sta bene rinnovare il nome del santo ad ics in un miserabile pennuto. Ma io, fin da piccino, odiavo dare agli animali appellativi sciocchi, quali Fido, Fufi, Bobi, Cippi, o qualche altra tra le mostruosità più in voga dalle nostre parti e in quel preciso contesto storico, in un'orgia di puerilità e neologismi anglo-transalpini, tanto esotici quanto onomatopeici. Quel sentimento era dovuto al mio segreto piacere nell'apparire un po' originale, e chiamare Andrea un canarino era senz'altro originale. Lo trovavo un bel nome per un uccello, molto buffo. Intendiamoci, sarebbe stato altrettanto buffo chiamarlo Gianluca, che è il mio nome, ma credo che non faccia piacere nemmeno ai bambini vivere il ridicolo troppo da vicino. Andrea mi faceva ridere perché era un nome da grandi, il mio era, almeno per personale esperienza, un nome da bambini. Vuoi mettere?
Andrea prosperava nelle sue due spanne cubiche di ferro a sbarre becchettando mangime e un osso di seppia bianchissimo, nutrito, dissetato e riverito grazie ad una bravura canora senza eguali nel nostro condominio. Pensavo, è vero, che fosse un po' troppo intellettuale, come canarino, dato che aveva sempre il capo chino sul foglio di giornale che, dal fondo della gabbia, gli fungeva da cloaca, ma se trovava piacevole tenersi informato sui fatti del mondo non sarei certo stato io ad impedirgli l'innocente sollazzo. Così ogni mattina, alle sette e tren

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