username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti su sentimenti liberi

Pagine: 1234... ultimatutte

Come papaveri al sole.

COME PAPAVERI AL SOLE

"Chissà se la colla delle scarpe reggerà.." pensava, passeggiando per i vicoli del mercato. Osservava ogni piccolo particolare, i suoi grandi occhi neri scrutavano tutto, come fossero quelli di una bambina.
I grandi tendoni arancioni con le strisce verdi erano legati alle basi di ferro con dei grossi nodi, "come quelli delle navi" pensava, mentre un altro passo si aggiungeva ai precedenti.
Zampettava tra pozzanghere e gatti randagi, mentre le sue scarpe imploravano pietà e lei fingeva di non sentirle..
Adorava il canto degli ambulanti; quasi li vedeva, tutti in frak, accompagnati da un sottofondo di fisarmoniche e scacciapensieri, pronti ad esibirsi davanti ad una gremita platea ansiosa di ascoltare la melodia della loro merce. L'angolo della carne e del pesce non lo amava particolarmente ma quello della frutta e della verdura la entusiasmava: pomodori rossi come papaveri al sole, zucchine verdi, melanzane invitanti e grosse come cocomeri. Tra le lumache si faceva spazio Peppe, il suo amico, che ogni giorno, facendo scivolare sul braccio la più grossa delle sue mele verdi, con un colpo di gomito centrava sempre le sue piccole mani. "è cosi bella che quasi quasi non la mangio" diceva tra sé e sé, ma poi cedeva sempre alla tentazione e, seduta tra le cassette di legno vuote, immergeva il naso tra gli odori che il mercato le offriva. "Mmm, questo è il sugo della signora Lia, lo riconosco! Queste invece sono le olive del signor Nino e se andassi a mangiarne una?" così, mentre giocava col suo olfatto, slegava il cane di Peppe e lo portava con sé. Dove non si sa, nessuno l'ha mai saputo. Per tutti lei era "la ragazza con la mela" che ogni giorno passava a liberare un cane e spariva tra vecchie case abbandonate pensando "chissà se la colla reggerà.."

   0 commenti     di: Castello Ululà


Zone d'ombra. Un epistolario. (III)

Barcellona, 6 giugno 2008.

Caro Andrea,
non so davvero se dovrai ancora aspettarmi.
O se lo vorrai, dopo quanto sto per scriverti.
Io mi sento oggi come rientrata in me.
Le mie inquietudini, le mie curiosità, le aspettative che mi hanno spinta, ancora una volta, a cercare un contatto con te, ora non le sento più.
Non sento neppure, ti confesso, lo stesso entusiasmo nè la stessa vitalità che avevo avvertito risentendoti di nuovo, appena meno di un anno fa.
Dipende da me, A, ma è anche colpa tua.
È colpa tua perchè, a tanti anni di distanza dalla nostra storia, insisti in una pervicace ed irreale fissità, in un fermare assurdamente il tempo, nel gonfiare di rimpianto e rimorso ciò che è stato innocente, pulito, sincero, ma che è finito.
Finito, Andrea, irreversibilmente finito, ma non per questo meno tenero e bello nel mio ricordo.
Non nel tuo, però. Perchè tu, tu filosofo, non concepisci la fine di nulla. Dunque tu vedi e vivi ciò che chiami "l'assoluto", la perfezione dell'incompiutezza. Ma tu stesso dici che questo genera rabbia e, nel confronto con la realtà, impotenza e frustrazione.
Perchè, A, il pensiero di me deve farti infelice?
Anch'io, però, ho la mia parte di responsabilità. Io sono ora rientrata, in pieno, nel mio personaggio, l'unico che so interpretare, che è insieme il mio lavoro ed il mio ruolo in tutti i rapporti (a cominciare da quelli familiari) e che è insieme la mia forza e l'arsenale delle mie difese.
È anche la mia prigione.
Ma io così sto bene. Io sto bene così, Andrea.
Non posso, non voglio desiderare altro.
Lo so cosa tu mi offri. È bello il luogo-sogno dei nostri ideali incontri, di cui tu mi parli, il deposito della nostra memoria, il laboratorio dei nostri progetti.
Ma dov'è, A, dove?
Ho creduto, in tutta sincerità, di sentirti ancora presente in me. Ora, perdonami, non riesco neanche più a sorriderne.
Ti avevo affidato una parte di me, forse la parte migliore, perchè tu la custo

[continua a leggere...]



Il segreto

Come tutte le mattine, sono in cucina a preparare la colazione.
Squilla il telefono. Mia figlia si precipita a rispondere pensando sia la sua amica.
Solleva la cornetta, la sento dialogare, poi si rivolge a me dicendo:
" Mamma, c'è zia Filomena al telefono, pare che non stia bene.
Ha chiesto se puoi passare in mattinata a casa sua per una visita".
"Certo", rispondo, "passerò come al solito alle nove."
Zia Filomena, che vecchietta simpatica.. era una delle pazienti più affezionate.
Quando mi trovavo nella sua casa, per la solita visita, mi chiedeva sempre della mia salute: "dottorè, mi non si ammali, altrimenti io come faccio?"
Mi guardava con quei suoi occhi nocciola che spuntavano furbi da un fazzoletto nero che le copriva la fronte.
Era mia paziente ormai da venti anni, tra noi due si era instaurato un rapporto affettivo che non trascendeva mai dalla sua innata riservatezza e da quella riverenza che le persone anziane riservano al proprio medico curante, per quanto amico.
Aveva ormai ottanta anni, era piccola di statura, di corporatura esile, una fragilità che contrastava con la sicurezza del suo sguardo penetrante, come se a lei non si potesse nascondere nulla.
Parlava con la voce tremolante tipica di chi è affetto da parchinsonismo, gesticolando per apparire più sicura.
Aveva perso tutti i denti dopo l'ultimo parto; i figli, appena avevano iniziato a lavorare, le avevano regalato una dentiera mobile, ma lei la metteva solamente per andare in chiesa e per le feste assieme all'abito buono e alle scarpe di vernice con un po' di tacco.
Quando andavo a trovarla si metteva la dentiera, lo faceva per rispetto nei miei confronti, cosi lei diceva, poi la riponeva nel suo contenitore dopo che le avevo visitato la gola.
Viveva da sola, dai figli non voleva andare ad abitare, nonostante tutti glielo proponessero. Pretendeva però che, a turno, i nipoti andassero la notte a dormire da lei, perché, diceva: " la notte è lunga e le cose capitano sempre

[continua a leggere...]

   2 commenti     di: antonina


Call center

“Buon giorno sono Anna, in cosa posso essere utile?”
“Mi dice il suo numero per cortesia?”
“Un attimo, attenda gentilmente in linea.”
Avrò spento il gas? Sono uscita di corsa… Dovrei provare a cambiare turno. Non ce la faccio più a svegliarmi tanto presto. Che cosa mi aveva chiesto quello? Ah, si.
“È ancora in linea?  Un attimo, prego.”
Mi sembra che l’ho spento. Si, ne sono sicura. Il caffè l’ho preso. Era uscito fuori, come al solito. Faceva pena. Amaro come il veleno, lungo come una fila alla posta, con quello stupido sapore di acqua ribollita,  ma me lo sono preso lo stesso, come al solito! Ho pulito il fornello per cui devo per forza aver spento il gas. Si, sicuro. Altrimenti mi sarei scottata le dita. L’ho spento! Si, sono sicura.
“Attenda…”
E poi se fosse successo qualcosa mi avrebbero avvertita. Già. Ma chi? Non c’è quasi più nessuno nel palazzo. Tutti in vacanza. Solo Marcello non parte mai. Avrà settant’anni. E ancora fa il galletto. Ti accorgi di Marcello dall’odore di cucinato per le scale. Non ho mai visto un uomo mangiare tanto pesante. Soffrigge aglio, cipolla e tutto quello che gli capita a tiro e poi ci condisce la pasta. Appena esco si affaccia e fa finta di annaffiare le piante. E poi suona a tutte le ore. Sa i miei orari, i miei turni di riposo, le mie abitudini. Serve qualcosa Anna? Tutto bene Anna? Ti ho comprato il giornale! Ma chi lo vuole il giornale! Ma perché non mi lasci in pace! Basta!( pausa )
E invece non ho il coraggio di dirlo. Marcello è l’unico che mi parla e si accorge di me. Un po’ troppo, ma se ne accorge. Almeno mi conferma che non sono trasparente. È una brutta sensazione sentirsi trasparenti. Passi vicino alla gente senza essere vista, con un corpo di vetro limpido e delicato come un bicchiere di cristallo pronto a rompersi al minimo contatto.
“È ancora lì? Si signore, certo, c’è un problema al terminale. Mi ripete il suo numero per cortesia?”
“I

[continua a leggere...]

   5 commenti     di: Giacomo D'Alia


Dove Accarezzi Le Nuvole

... e ci sono sere in cui non conta chi sei... quelle notti dove le stelle ti fanno compagnia... e ritrovi tra le nuvole un ricordo dimenticato... e ti guardi intorno e trovi solo voglia di vivere... solo voglia di sognare e andare oltre... e quel fottuto mondo dove ogni giorno provi ad alzare la voce diventa superficiale... e tu... riesci ad ammirarlo dall'alto di quella superficialità... e senti il vento accarezzarti il cuore... e tra una canzone da film e una mente stupita sei felice... e non c'è niente di meglio... e sai che una cosa del genere non la dimenticherai mai più... e rimarrà in quella piccola parte di esistenza passata a sentir vibrare la pelle... rimarrà tra i ricordi di un'adolescenza di cazzate... e sorridi con un filo di malinconia... perchè non ricordi già più esattamente come ci si sente là dove il forte soffiare del vento è la cosa più stabile che ci sia... la cosa più bella da poter Sentire...



COME MANCIA UNA LANCIA NELLA PANCIA

“Sono un po’ gay pure io, dopotutto”, si ripeteva Paolo fissando fuori del vetro del pullman.
La vacanza era oramai collaudata, il tempo prometteva costantemente per il meglio, e quella sera, Paolo e Stefano, s’erano preposti una serata di spensierata baldoria.
Consueto intramezzo tra cena e prime sfilate per il centro, le telefonate delle famiglie: come trascorrevano le giornate, come fosse il tempo, cosa avessero mangiato, fugaci novità famigliari, il saluto e l’appuntamento alla sera seguente.
La scontrosità di Paolo nel dialogar con Marilena, sua madre, era palese per chiunque captasse i loro scambi telefonici. Sembrava la vita, forse Dio stesso, avesse avuto un conto in sospeso con lei, allorché, dieci anni prima, la consegnò definitivamente ad una carrozzina.
Questa sua deficienza fisica sembrò sfogarsi, specie col passare degli anni, in atteggiamenti volgari e gratuiti. Era solita trascinarsi per le strade dubbiosamente velata; gonna corta ulteriormente sollevata, reggiseno in bella vista, trucco inspessito. Miscela offensiva sulla quale il padre di Paolo cercava da sempre di tacere quanto più gli riuscisse. Quanto doveva amarla per riuscire a fare tutto questo sorridendole? Per quanto ancora avrebbe pianto di nascosto?
Per lui e Stefano, miglior amico di sempre, era la prima vera vacanza senza genitori: regalo di maturità delle rispettive famiglie.
A telefonata conclusa si recarono in stanza per prepararsi: spalmate di crema su tutto il corpo, pelo e contropelo, piastra calda per lisciare i capelli, deodorante e profumo, pantaloni stretti e scarpe di tela a punta, boxer, polo e finto occhiale da vista di marca, di marca quanto tutto il resto. E ancora soldi, sigarette, qualche preservativo (perché non si sa mai) e cellulare dal quale risuonavano le canzoni dance che, da lì a poco, avrebbero ballato sino all’alba.
Mentre si vestiva, Paolo notò il discreto segno dell’abbronzatura all’altezza del bacino e pensò fosse ancora tro

[continua a leggere...]

   2 commenti     di: Mirko Zullo


Dalila

Dalila aveva partorito i suoi cuccioli sotto la pianta del mirto, in un angolo nascosto del giardino. Antonio e Giovanna, i padroni di casa, lo avevano immaginato perché , per tutta la giornata, l'animale non si era fatto vedere nella veranda posteriore, dove cibo ed acqua venivano serviti ogni giorno da quando era entrata a far parte di quella famiglia, sette anni prima. Era una cagnetta di media taglia, dolce, affettuosa, dagli occhi languidi che intenerivano. Non faceva male a nessuno. D'inverno, nelle giornate molto fredde, dormiva dentro il soggiorno, adagiata su una vecchia coperta ai piedi del camino. Era diventata una presenza importante in quella casa, la chiamavano" il maggiordomo "perché era solita accompagnare gli ospiti dal cancello del giardino fino all'ingresso dell'abitazione con scodinzolii, piroette e salti di gioia. Compiute queste esibizioni si adagiava sul primo gradino della scala d'ingresso e attendeva con pazienza la loro dipartita, ripetendo lo stesso rituale con un abbaio dolce di saluto. Non si sa come fosse rimasta gravida, visto che non era mai uscita di casa. Forse aveva vissuto una veloce storia d'amore con qualche baldo cagnetto innamorato, che si era intrufolato alla chetichella, in qualche notte di luna piena. Rimase sempre un mistero.. . sta di fatto che i piccoli nacquero in quel cespuglio e amorevolmente vennero accolti tra le zampe della neo mamma. Non si sa quanti fossero, Dalila non faceva avvicinare nessuno.. . se ne intravvedevano tre, microscopici, che, ad occhi chiusi, cercavano a tentoni, volgendo la testa ora a destra ora a sinistra, le mammelle da succhiare. Infatti, appena le trovavano, s'attaccavano avidamente ai capezzoli, beati, mentre la loro mamma generosamente si concedeva loro... La sorte volle, sfortunatamente, che la faina, in una aggressione notturna, facesse strage e la povera cagna riuscisse a mettere in salvo solo un piccolo. La natura è incredibile! Dalila si occupò del piccolo con amore, lo

[continua a leggere...]

   5 commenti     di: antonina



Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Altri sentimenti.