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Racconti surreale

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Elogio alla bellezza

Ero in una strana stanza, non avevo la minima idea di come ci fossi arrivato. Tutto era era una sfumatura di grigio: la mobilia, i muri, il soffitto e le mie stesse mani.
Un uomo dall'aria familiare stava seduto su di una sedia, era vestito in modo strano, portava una camicia molto chiara con un fiocco sul colletto, sulle spalle un cappotto e sul capo, a coprire la folta capigliatura, un capello nero che copriva leggermente il suo occhio destro, dandoglli un'aria misteriosa. Mi guardò e con voce calda e tranquilla mi disse:

-Salve, siediti pure, amico mio

Ubbidii, guardando il suo volto, cercando attraverso la coltre scura che ricopriva i miei ricordi e confondeva la mia mente

-Desideri del tè?
-Certo

Un po' imbarazzato presi fra le mani la calda bevanda e ne assaporai il sapore aromatico. Dopo alcuni minuti, trovato un po' di coraggio, chiesi a quello strano individuo

-Chi sei tu? E che ci faccio qui?
-Cosa possa farci tu qui, bè, ragazzo, non so dirtelo, ma suppongo di conoscere il mio nome.. piacere, sono Oscar

Lo riconobbi finalmente, era Oscar Wilde.. rimasi impietrito, mi chiesi come potessi essere realmente di fronte ad una persona morta oltre un secolo fa

-Ma.. ma, non è possibile! Lei non può essere vivo!
-Oh, questo lo so anchio.. penso che il mio sangue e la mia carne siano gelidi già da un bel pezzo. Tuttavia mi vedi, sono qui di fronte a te e sembri conoscermi, sebbene, a giudicare dal tuo abbigliamento vieni da un'epoca ben diversa dalla mia
-Già, nel mio tempo, lei è diventato grandemente famoso.. le sue frasi sono conosciute in ogni parte del mondo così come i suoi libri
-Questa notizia si che mi rallegra, magari fossi stato tanto apprezzato ai miei tempi ma non ha più importanza ormai. Nei tuoi occhi vedo numerosi dubbi, dimmi e forse potrò aiutarti
-Ho domande, domande a cui non so rispondere che mi girano nella testa e non fanno altro che tormentarmi con la loro costante presenza. Qual'è il senso della vita?

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   1 commenti     di: Marco Ambrosini


Tutto quello che serve (parte 2)

Verso le sedici e mezzo sono uscito. Ho finito il turno di lavoro trenta minuti fa ed ho occupato mezz'ora per cambiarmi e scherzare con i colleghi. In questi casi bisogna ammetterlo, è proprio bello lavorare: quando si sta in compagnia il tempo passa veloce. Naturalmente è soltanto una mia riflessione; non esiste un dio che obbedisce ai tuoi ordini, ossia quello di far passare veloce il tempo.
Non appena mi avvicino alla macchina per tornare a casa, mi ricordo che devo comprare qualcosa da mettere sotto i denti per cena. Vado a fare la spesa... dopo una sigaretta però. Il fumo ha lo stesso effetto della prima volta, ti rende estraneo alla realtà, ti fa volare con la testa, ti toglie forze per dartene altre. Capisco che fa male, ma non me ne curo.
Non ho comprato molto da mangiare: un pacco di rigatoni, croccanti per Rosa, la mia amica a quattro zampe, e un contorno di verdure (non credo di riuscire a vivere senza). Esco con una busta mezza riempita. Ad un certo punto sento la mia tasca vibrare.
-Pronto?
-Ciao Riccardo, come va?- mi dice una vocina familiare.
-Abbastanza bene. E tu, Serena?
-Tutto ok. Ti ho chiamato per un favore.
-Dimmi pure.
-No, preferirei parlartene con calma. A che ora ci vediamo?- mi chiede.
-Adesso sto tornando a casa. Fai conto che sono libero.
-Vengo da te?
-Va bene. A dopo.- dico.
-Ciao.

Abito in un appartamento al terzo piano di un palazzo. Serena è la proprietaria di casa: pago l'affitto una volta al mese. Ma non è oggi il giorno di paga; mi domando cosa avesse da dirmi. Suona il campanello.
-Ciao Serena.
-Ciao. Scusa il disturbo, ma non so a chi chiedere se non a te.
-Tranquilla, hai fatto bene.
La faccio entrare e sedere. -Vuoi un tè o un caffè?- le domando.
-Meglio un tè, grazie.
Il tempo di servire il tè e di accendermi una Diana rossa che subito le piombo addosso con la mia curiosità.
-Niente di ché, Riccardo, ma volevo chiedertelo in faccia.
-Perfetto. Dimmi tutto.
-Giovedì parto con mio marito.

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   0 commenti     di: Fabio Vasta


l' avversario

Wilfred era un uomo che prendeva la vita di corsa, freneticamente e che non si concedeva mai un attimo di respiro, un attimo per pensare: spinto infatti da un impulso irrrefrenabile all' azione, faceva sempre in modo che ogni singolo istante del suo tempo venisse ottimizzato e non restasse così spazio, nella routine ben organizzata dei suoi efficentissimi giorni, all' ozio  o al relax parole che aborriva. Un giorno, mentre era seduto alla scrivania a rivedere alcuni documenti(erano quasi le due del mattino ma come al solito non se ne curava) uno strano essere gli si materializzò inaspetatamente davanti, un tizio dalla faccia ingenua, quasi da bonaccione ma  anche dallo sguardo singolarmente  penetrante, che incuoteva soggezione.:-chi sei?- gli chiese Wilfred, senza scomporsi minimamente:-sono il tempo... anzi, più precisamente quello della tua vita-dichiarò l' altro, soave:-sono venuto per chiederti una cosa... posso?-:-dimmi pure-lo esortò Wilfred leggermente più sconcertato:-ti ascolto-:-come mai vai tanto di fretta?-chiese allora il tempo, incuriosito:-perchè non ti fermi mai?-imbarazzato da quella domanda così diretta Wilfred tacque per qualche istante, poi rispose cauto:- perchè, semplicemente, non intendo  farmi lasciare indietro da te.. per questo! perchè voglio avere il  controllo... non mi va di invecchiare in un attimo, senza riuscire neppure a capire quand' è successo, com' è accaduto già a molti... troppi!-:-io- concluse con fierezza:- voglio essere padrone del mio tempo... voglio tenere in pugno la situazione-_
:-E così-replicò il tempo, compassionevole:-se ho capito bene in poche parole vorresti... vincermi?-:-esatto-rispose l' uomo, deciso.:-ma caro mio!!- sbottò il tempo, corrugando contrito la fronte:- non capisci che con tutta questa fretta che hai mi metti ansia e mi stai costringendo a correre molto più velocemente di quanto in realtà vorrei? perchè, vedi, tutto questo tuo inseguirmi, questo tuo starmi costantemente alle calcagna mi agi

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   4 commenti     di: carmela arpino


Il pensiero di Lawrence

NELLA MENTE DI LAWRENCE
Lawrence sedeva in cucina, da solo. Fissava il tavolo senza guardarlo; questo perché stava pensando, e i suoi pensieri non erano per niente lieti. Pensava a Rod, il suo amico d’infanzia. Qualche ora prima lo aveva visto davanti al supermercato. Probabilmente Rod non lo aveva visto. Ma nella mente di Lawrence non era così. Nella sua mente Rod lo aveva visto. Eccome. Guardava nella sua direzione. E non lo aveva salutato di proposito. Per qualche nefasto motivo il suo migliore amico non lo aveva salutato. Forse aveva intenzione di ucciderlo. All’inizio Lawrence pensava che fosse a dir poco esagerato; ma riflettendoci su no. Immaginando di dover uccidere qualcuno sicuramente non si saluterebbe la vittima come se niente fosse, neanche se la persona in questione è il proprio migliore amico. A meno che l’assassino non sia abituato, ma nel caso di Rod era molto improbabile. Lawrence lo conosceva bene e sapeva che non aveva mai fatto del male a nessuno. E mai lo avrebbe fatto; questo Lawrence lo sapeva bene. Tuttavia non era convinto. Poteva essere stato minacciato. Però Lawrence non avrebbe mai ucciso il suo migliore amico, piuttosto sarebbe morto. E quindi? Evidentemente Rod non era l’amico che diceva di essere. Forse non era stato neanche minacciato, magari gli avevano offerto dei soldi. Maledetto. Traditore. Lawrence non ne voleva sapere di essere ucciso dal suo migliore amico, piuttosto si sarebbe ucciso. Proprio così. Mentre pensava questo la mano era scesa quasi da solo verso il cassetto, a prendere la pistola, per poi puntarla alla tempia, e fare fuoco.
Lawrence era morto solo perché Rod non lo aveva salutato, probabilmente perché fissava senza guardare, pensando a pensieri nefasti, per esempio che il suo migliore amico Lawrence non lo aveva salutato il giorno prima. E magari non lo aveva salutato perché voleva ucciderlo, e mentre Lawrence si sparava lui si metteva una corda al collo e faceva cadere lo sgabello.

   6 commenti     di: GozzaGugh


Se non sai cos'è... allora è jazz

È come se un santone indiano camminasse sulla brace del vostro barbecue, mentre state festeggiando con gli amici il primo mese da quando avete mollato il cane sulla Salerno-Reggio Calabria... Sensazioni, il ketchup schizzato sulle salsicce, i nipotini che guardano estasiati la lucertola che annaspa nella cera della candela da giardino dove l'hanno messa per vederla meglio. La voce del silenzio, che ripete l'eco delle cose che hai perduto... uto... uto... uto. È qualcuno che ama il prossimo suo come se stesso... esso... esso... che fesso! La luna gialla dall'itterizia d'essere circondata d'assedio dalle nuvole della tua ultima sigaretta. La stella che cade dritta nel tuo calzino bucato mentre esprimi ad occhi chiusi il desiderio di rammendarlo. È la fatina dei piatti sporchi che aspetti dopo la festa e che si presenta dopo 48 ore col certificato medico. Rincorrere il cuore che ruzzola giocondo nella voragine aperta dalle ruspe della mente e raggiungerlo prima che si tuffi nel lago delle margherite. La lingua che batte dove il dente duole, e proprio per questo ce la stai mettendo tutta. La siringa che ti succhia il sangue mentre pensi alla lingerie della dottoressa che ti sta facendo il prelievo. È la sabbia sui panini, la scatoletta di tonno chiusa male che scola nella busta dei rullini delle foto da sviluppare, le tende da sole che si fanno compagnia. Stanotte i bambini nasceranno ridendo e mio padre riderà ad una mia battuta senza provocarsi un embolo. Ba-daa-dee-dee-ba-di-daaaaah... Non sai cos'è? E allora il titolo che ci sta a fare?



Delirium

... chi sei?... a chi appartiene questo volto così soave? Sei verità o inganno? Son cieco e sordo alla comprensione, la mente naviga in un oceano di pensieri indicibili, tutto intorno si dirada... La terra si fonde al cielo, mentre le nubi si lasciano ingoiare dalle tenebre degli abissi e il fango si lascia accarezzare dalla luce di un sole sconosciuto. Chi sei? Cosa cerchi da me?... a voler esser equi nei riguardi di sì tanta bellezza, oserei dire che sei un angelo. Sei tanto bella. E se pure fossi il diavolo, mai mi avevano raccontato che eri tanto avvenente. Nessuno oserebbe opporsi alla tua calda e sensuale tentazione. Io stesso, nemmeno un attimo esiterei a farmi incendiare il sangue dalle tue fiamme infernali. Perché sei ancora qui? Vuoi che io t'ami? Brami il mio corpo, il mio intelletto, il mio cuore scellerato? Non devi... io già t'amo. Già mi scaldo al percepire l'aura della tua persona. Non penso ad altro se non a te. Ogni battito mio è tutto in funzione di te.
Ormai la ragione è in fuga, di più non oso chiedere... né a te, né tanto meno a me stesso. Sogno, realtà, dimensione ignota ad animo umano... Non oso più domandare. Né aspiro a capire, ad aggrapparmi furtivamente ad una qualche risposta. Non c'è più umanità in me, né attorno vive il mondo che conoscevo. Il tempo si cela tra le sibilline verità di un eterno divenire, mentre il passato si lascia ingoiare dal futuro...

   4 commenti     di: Duca F.


Il contrabbasso non passava dalla porta

Entrarono in bar due musicisti
Il primo era un tipo smilzo, asciutto, sgangherato, portava un cappello di lana cotta, come si usava un po' di anni prima. Si poteva definire un cimelio da museo, e non parlo solo del cappello: mi riferisco a tutto quello strano personaggio.
L'altro era semplicemente grasso.
Si sedettero al tavolo sotto alla finestra e incominciarono a parlare.
barista: cosa vi porto?
il primo: acqua con ghiaccio
il secondo: un caffè e un bicchiere d'acqua.
Mi sarei aspettato di trovare due motori a scoppio vecchio stampo, da whisky e benzina, ma purtroppo non superavano i consumi di un monopattino.
il primo: sono a secco di soldi caro mio.
il secondo: non si trova piu tanta gente disposta a pagare il prezzo che la buona musica costa.
il primo: già le radio invece non avanzano tante pretese: le piazzi lì, le dai da mangiare un po' di corrente e si accontentano ogni tanto una qualche carezza alla sintonia.
il secondo: concorrenza sleale.
il primo:sai qual'è un altro problema grosso di noi contrabbassisti? le porte.
Il contrabbasso non passa mai dalle porte: sono sempre troppo strette e lui sempre troppo largo;
è una discriminazione naturale allo strumento, come se involontariamente gli edifici si facessero scudo dal suo suono.
il secondo:ma non suona mica male... lui..
il primo:effettivamente nemmeno gli edifici hanno orecchie per sentirlo.
il primo: seriamente, non so più che cosa dare da mangiare alla mia famiglia
il secondo:è una brutta faccenda
il primo:abbiamo talento ma siamo poveri
il secondo: credo che sia colpa di questo secolo che è arrivato e ha spinto via tutti quelli che erano rimasti aggrappati a quello vecchio. Un bel colpo di spugna, il progresso.. Beh, sono arrivate tante cose belle con lui, ma nessuno le aveva chieste. Voglio dire, come se entri in un bar e ti portano una bottiglia di champagne senza averla ordinata: a nessuno fa schifo lo champagne, ma c'è chi può pagarla e chi è costretto a rif

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