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Racconti surreale

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Fantasmi

-Tic, tac, tic, tac- il rumore dei sottili e rosei tacchi dalla giovane Laura risuonava nel silenzio di quella città ormai addormentata. Ogni passo echeggiava nell’aria, picchiando sul duro asfalto del marciapiede. La gonnellina nera, corta, forse troppo corta, ondeggiava delicatamente al ritmo dei brevi ma incredibilmente eleganti passi della ragazza. Il candido top indossato dalla giovane si intravedeva appena sotto lo splendido ed raffinato giacchino di jeans scuro, lasciato slacciato, su cui brillava una spilla, un piccolo e incantevole fiore rosa, contornato di swarovski, più luccicanti che mai alla luce dei lampioni della città.
Sola lei, con i suoi pensieri, con i ricordi della serata passata in compagnia, il sorriso stampato sul volto, quello splendido e delicato viso, la carnagione pallida e morbida donava alla ragazza un’incantevole bellezza, gli occhi, profondi, blu, erano accentuati dai lunghi e lisci capelli neri.
Percorreva quella strada quasi ogni sera, quel viale che conduceva alla sua bella casa, contornato da abbaglianti lampioni, chiuse gli occhi ispirando profondamente e godendosi per un istante la bellissima brezza d’estate, quell’aria di freschezza nel silenzio di quella notte. Pochi passi prima di riaprirli, per poi chiedersi se l’aveva davvero fatto. Attorno a lei regnava ora un buio incontrastato, si stropicciò gli occhi, cercando di capire cosa fosse successo, un blackout, si, forse era proprio quello. Alzò lo sguardo, cercando disperatamente la luna, la sua luce pallida e biancastra, quella nivea presenza che incantava, ma non la trovò, scosse la testa e d’improvviso ebbe voglia di piangere, aveva paura, tanta paura, una dannatissima paura. Il cuore batteva, batteva all’impazzata in quel petto che sembrava quasi scoppiare.
Ad un certo punto la raggiunse una fioca luce, alzò nuovamente lo sguardo, convinta che l’avrebbe vista, si, la luna, ma niente, non vide niente. Si guardò attorno, terrorizzata, e senza capir

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   4 commenti     di: Anna Bona


il cristallo. CAP I

I CAP.
la notte calava silenziosa, i soli rumori che si potevano sentire
erano quelli di edgar, un gatto davvero egocentrico, ogni notte sdraiato sul letto speravo, speravo, speravo che il vero mondo prendesse il vero me.
non ero adatto a quella vita e lo sapevo, da ben 16 anni, ogni notte chiudendo gli occhi mi veniva alla mente un sogno ricorrente, un altra famiglia qualcosa che da sempre desideravo, ma più la luce del desiderio si faceva vicina più tutto diventava surreale e irrangiungibile.
passavo la notte così, poche ore di sonno, e pensieri rivolti ad un qualcosa, un qualcosa, che.. , che non saprei definire.
non ho mai conosciuto i miei genitori, ne li ho mai visti in faccia,
diciamo che questo prende parte al mio non avere una propria identità, dove vivo? dove vivo, ci sono molti ragazzi come me, la maggior parte passa il tempo sola, altri si avvicinano solo per litigare mentre alcuni non escono proprio dalle loro camere. vivo in un orfanotrofio.
e anche se tutti viviamo nello stesso posto, non ci sentiamo una vera famiglia, e mai ci sentiremo tali.
l'unica persona con cui condivido un bel rapporto, da definirsi quasi amichevole, è Katelyiin, ha 16 anni come me, i capelli biondo cenere, con un corpo snello e molto grazioso.
è come se fossimo fratelli, o almeno da parte mia è sempre stato così e sempre lo sarà.
da quando avevamo 12 anni architettavamo ogni notte un modo di fuga da quella galera.
avevamo deciso che saremmo scappati in inghilterra all'età di 16 -17 anni, ma la pazienza di far scorrere altro tempo si era interrotta, facendo in modo che il 1 novembre del 2o12 saremmo fuggiti il più possibile lontano.
e così i giorni passavano arrivati al 1 novembre l'ansia era a mille, mi ricordo ancora come ci eravamo vestiti, kate indossava un vestito nero lungo con sotto delle scarpe bianche tutte sporche e tappezzate da stracci per tappare i buchi, mentre io nel mio miglior completo, quasi come dovessi sfoggiare il mio fascino

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Le figuracce retoriche

Il giorno che le parole
diranno basta!
saranno cazzi!





Era quasi arrivato all'angolo, stava per svoltare, che qualcosa sbucò all'improvviso e gli attraversò la strada come un razzo. Poco dopo schizzò fuori un'altra "cosa", tutta infolarmata. Sembrava lanciata all'inseguimento. L'uomo si guardò attorno. Scorse, dalla parte opposta della strada, un ragazzino dall'aria piuttosto sveglia. Gli si avvicinò e gli chiese se avesse visto la scena e si fosse fatto un'idea di...:
- certo che ho visto, non sono mica orbo... lei deve essere nuovo di qui... vero?... dovrà abituarsi. Eh sì, caro mio, credo proprio dovrà farci il callo... altrimenti le consiglio di cambiare aria. In ogni caso, se proprio ci tiene, l'accontento subito: si trattava di un poliptoto... inseguito da una sinestesia... direi anche piuttosto incazzata... di certo fuori di melone... probabilmente scappata da un frenocomio in fiamme.-

L'uomo rimase lì basito, mentre il ragazzotto se ne andava sghignazzando, tutto saltellante e con una repentina, inaspettata, spericolata piroetta, che per poco non lo mandò a stamparsi dritto contro il palo dell'orologio.
Dopo qualche secondo, riavutosi dallo shock, pensò:
- guarda te cosa doveva capitarmi. Essere minchionato da uno sbarbatello. E io che sono anche stato lì' ad ascoltarlo... spero proprio che sto posto non sia popolato da suonati o, peggio, da inguaribili burloni. I primi segni non depongono mica bene... mah! vatti a fidare dei giovani! -

Era arrivato direttamente da un gelido Paese del nord per definire alcune importanti commesse. Partito all'improvviso, non aveva avuto il tempo di raccogliere notizie. Cosa che era abituato a fare quando si recava all'estero. Come informarsi su usi, costumi, situazione politica, luoghi caratteristici da visitare... e roba del genere. In ogni caso: cosa c'era mai di strano in due che correvano per la strada? Quel ragazzino si era preso gioco di lui. Lo aveva guardato in faccia e,

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Così è la vita!

Il vecchio asino camminava quasi ciondolando sotto il peso delle due grosse ceste
di vimini legate alla sua groppa, gli occhi spenti, lo sguardo smunto e le orecchie
piegate. Ogni tanto s'intestardiva e puntando le zampe anteriori si fermava, alzava
la testa e tirava la corda all'indietro. Il contadino, anch' egli stanco e sudato, dapprima cercava di convincerlo con le buone maniere tirandolo lievemente dalla capezza ma alla fine vedendolo così incaponito incominciava a menare botte con un nodoso bastone. La storia si ripeteva quasi giornalmente ed alla fine entrambi arrivavano a casa esausti.

Il grasso maiale grugniva contento ruzzolandosi nel fango. Aveva appena mangiato, era
sazio, satollo ed allegro guardò il somarello e con un ironico sorriso stampato sul grugno
disse : questa è la vita, fortuna, sfortuna, ognuno ha quello che merita. Vedi tu sei tutt'orecchi hai il manto peloso e una coda insignificante, insomma sei un essere inferiore, obbligato ogni giorno a lavorare, a portare la soma, a ricevere bastonate. Sì , così è la vita, guarda me invece mi riscaldo al sole, servito e riverito, ghianda, castagne, mais ed orzo e frutta, acqua fresca quando ne ho voglia. Si! Così è la vita.

L'asino quasi con noncuranza sollevando piano le orecchie lo guardò , sai gli disse è
quasi vent'anni che sono qui, che porto la soma, che mangio magari solo un po' d'erba
e qualche carota, che bevo solo quando vuole il padrone, ma sono qui.

Tu, è vero, mangi di tutto, hai sempre la tua pozza d'acqua fresca, il tuo giaciglio di foglie e di paglia, ti spaparanzi tutto sotto il sole ma, ricordati che la felicità ha la vita breve e la tua finirà facendo incominciare quella del padrone. Tra qualche mese di te non rimarrà nulla anzi forse è meglio dire che non si perderà nulla, le tue carni saranno appese ad affumicare sopra ad un camino, il tuo lardo insaporirà tantissime pietanze, con le tue ossa faranno ciccioli e con i tuoi fluidi dell'ottim

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   1 commenti     di: andrea


Anamnesi

“Cercherò di essere franco con lei Signor..”
“Antonio”
“Antonio, già. I suoi parenti.. i suoi amici, le persone che le sono vicino. Bhe, come dire..”
“Sto ascoltando, non faccia giri di parole.”
“Ok. Reputano che lei sia pazzo.”
Il dottore finalmente staccò gli occhi dalla cartellina che teneva in mano con fogli gialli contenenti piccoli numeri scritti con minuzia in tabelle monocrome. Attese in silenzio una reazione dell’interlocutore, celando lo sguardo dietro i suoi occhiali, ponendosi in modo che la luce filtrante dalla finestra si riflettesse sulle lenti. Una mossa sicuramente studiata e più volte messa in pratica.
Il Sig. Antonio attraversò degli stadi emotivi in rapida successione. In un primo momento rimase perfettamente in silenzio, come se aspettasse che il dottore continuasse. Poi sorrise, sbuffando dalle narici, di quelle risate spontanee coperte da un velo agrodolce. Cercò punti di riferimento nella stanza. Nulla. Solo pareti bianche, di cui una interamente ricoperta da uno specchio immenso, luci al neon spente, un quadro con colori vivaci, forse di Mirò. La sua sedia, ovvio, molto scomoda, che mal si accompagnava alla lussuosa poltrona in pelle su cui il dottore prendeva alacremente appunti. Per ogni sua mossa. Lo scrutava in silenzio con una contrazione nervosa della bocca dovuta forse ad un tic o ad un eccessivo stress di lavoro. Lo psichiatra teneva d’occhio il microfono accanto alla sua postazione periodicamente, aspettando forse che una qualche luce rossa si accendesse. E forse per l’arredamento così scarno, forse per il fatto di vedersi riflesso in quello specchio così misero di fronte all’ampollosità del dottore in camice bianco, ma soprattutto perchè quegli occhi non lo degnavano di uno sguardo che non fosse strettamente clinico, che fu la rabbia a prendere il sopravvento tra le emozioni provate dal Sig. Antonio. Cominciò ad ansimare, rosso in viso bloccato da una rabbia dovuta all’umiliazione che

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   1 commenti     di: Graziano Ciocca


Nozioni errate

Fin da piccolo ho sempre ammirato il modo in cui muoveva le orecchie il mio vicino di casa. La prima volta che ho assistito a questo fenomeno paranormale ho scavato una buca tanto profonda da non uscirne mai più, e dovetti rassegnarmi all'idea di rimaner prigioniero eterno di quell'ammasso brulicante, e forse sostenitore, di nozioni errate.
In quel periodo, quando mi alzavo la mattina mi esercitavo con questo semplice e puerile insieme di sostantivi maschili plurali: "teatri virgola triglifi virgola tasti virgola tornanti virgola tifoni virgola alisei con l'alfa che cade con successiva contrazione tra beta e gamma, e infine beta più gamma uguale dieci al quadrato."
Vi può sembrar folle, ma ero conscio dei miei sentimenti obliqui.

   1 commenti     di: Andrea Olivieri


Un giorno in Paradiso

Il vagone della metro era mezzo pieno, quando alla fermata della stazione, lei salì con passo agile e sicuro. Lo sguardo fisso, la canottiera colorata, metteva in evidenza il bel seno, poco sopra l’incavo, una grande croce pendeva dalla catenina, ciondoli e braccialetti gli ornavano le caviglie e i polsi.
La metrò improvvisamente acquistò velocità, mentre lei guadagnava il centro del vagone, poi a gran voce tuonò: “ Il nostro viaggio è appena iniziato. Da adesso non dovrete più preoccuparvi di nulla. La nostra meta è il Paradiso!”
Tra i viaggiatori si diffuse lo sbigottimento generale: alcuni strabuzzarono gli occhi, altri credettero di aver udito male, altri ancora sorrisero.
Quando la metro non si fermò alla fermata successiva, anzi accelerò la sua corsa, allora si sparse il panico collettivo.
Una elegante donna in giacca e gonna, protestò veementemente dichiarando che aveva un urgente riunione di affari.
Un giovane uomo disse che aveva da tempo preso un importante colloquio di lavoro e non voleva per nessuna ragione arrivare in ritardo. Il Padreterno, a suo avviso, poteva aspettare.
D’improvviso in mezzo a tutto quel vociare, qualcuno tirò il freno d’emergenza.
I freni della metro si azionarono, le vetture si fermarono e la gente uscì dal vagone correndo. Restammo soli: io e lei.
Improvvisamente sentii un odore di incenso. Vidi fiori mai visti, bellissime piante e frutti colorati dalle forme più assurde.
I suoi immensi occhi poi, si avvicinarono ai miei. Mi sentii inghiottito dalle torbide acque del desiderio. Per qualche rapido istante non riuscii a pensare. Lei mi baciò le labbra, con un tocco lieve, avvertii profondi brividi che mi scossero. Oddio stavo per svenire! Piano, piano, mi ripresi.
Poi non ricordo più nulla.
Ma di una cosa sono sicuro: quel giorno sulla metro, arrivai in Paradiso.

   5 commenti     di: Fabio Mancini



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