username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti sulla tristezza

Pagine: 1234... ultimatutte

Pecora Nera (1a parte)

Non vedeva l'ora di uscire da quella dannata macchina. Sua madre parlava velocemente e lui nemmeno la stava ad ascoltare. Roteava le bacchette di legno in mano, spazientito, triste e desideroso di andar via il più presto possibile.
Fuori faceva freddo! Un freddo cane, troppo anche per i suoi sottili guanti di lana, eppure non resisteva più. I suoi pensieri erano ovunque, tranne che in quella macchina.
Robert era cambiato. Da piccolo era un bambino modello, bravo a scuola, intelligentissimo, lasciava esterreffatto chiunque, con il suo parlare fin troppo arguto per un bambino della sua età. Eppure adesso era cambiato. Era svogliato, triste, prendeva brutti voti a scuola, e non trovava soddisfazione in nessuna cosa. Ultimamente arrivava anche a considerarsi la pecora nera della famiglia. Era il primo ad essere stato rimandato in matematica di tutta la sua famiglia, e non riusciva più a sopportare le occhiete che i suoi parenti gli lanciavano. All'ultima cena di Natale, come al solito sua madre aveva iniziato a parlare del professore di recupero che seguiva Robert, e sua nonna meravigliata aveva esclamato: "Ma come?!? È sempre stato così bravo. Mi ha pienamente deluso!"
Robert si era alzato di scatto, imbronciato, quasi sul punto di piangere, ed era corso nella stanza da letto a leggere uno dei suoi libri preferiti:Furia Omicida!
Gli piaceva leggere di tutte quelle persone squartate, impiccate, mangiate vive da tutti quegli squilibrati. Sognava che un giorno avrebbe trovato il coraggio di farlo anche lui. Ma purtroppo quel giorno era ancora lontano. La routine continuava come tutti i giorni da quindici anni a questa parte.
Senza rendersene conto si era ritrovato di colpo seduto sullo sgabellino della batteria a eseguire tutti quei movimenti che ormai gli risultavano meccanici. Era l'unica cosa che lo rilassava. Guardare quei muri tappezzati di confezioni per le uova, parlare con il professore e dare colpi fortissimi sul crash. Era l'unica cosa che desi

[continua a leggere...]

   0 commenti     di: Alberto Amedeo


Tremo

Quando parlo con qualcuno dico sempre: -Tanto ci sono abituata a stare sola. La cosa più ingiusta è ripetere quella frase a me stessa. La verità è che non ci si abitua mai. Non puoi abituarti a restare sola. Nessuno merita una cosa così brutta. Ogni volta che si arriva al punto in cui qualcuno ti abbandona, ogni volta provi la stessa tristezza della volta prima e puoi spiegarlo al mondo intero come ti senti ma mai nessuno capirà il vuoto che senti dentro. Hanno sempre mille scuse e mai nessuno che ci provi a mettersi nei tuoi panni. Arrivi a un punto in cui ti arrendi, anche se non vorresti, lo fai perché tanto sarà sempre la solita delusione. Non ti cerca mai nessuno per "un caffè" e mai nessuno ti chiede realmente come stai, ma non illuderti non ti ci abituerai mai. Ti arrendi e basta. Ti senti schiacciata da tutto e tutti perché stare sola è la cosa più brutta che ti può capitare. Non riesci nemmeno a urlare la tua frustrazione, ma solo a nasconderla. Io scrivo. Io scrivo ma non mi basta più, non più. Vorrei uscire, gridare al mondo la mia voglia di vivere ma ormai mi sento così sola che la voce mi si blocca in gola e la ingoio. Va giù così lentamente che mi sento soffocare. Qua nessuno si salva da solo. Non ti ci abituerai mai. La musica non mi basta più. Avrei solo bisogno di un abbraccio e di qualcuno che mi dicesse: -Lotteremo insieme. Bisogna solo essere forti e realizzarsi col freddo che ricopre il cuore per poter dire un giorno: -Ho voglia di vivere questa vita! È dura ma io non mi arrendo, perderei anche me stessa.

   1 commenti     di: Valentina I


L'inizio e la fine

Molti di voi vedono la Morte come qualcosa di orribile, qualcosa di risolutivo e per cui non esiste speranza; io non ci riesco, a vederLa in quest’ottica. Forse è da qui che iniziano i nostri mondi, forse è questo il confine, l’incrinatura iniziale che man mano diventa un baratro infinito.
Vi salgono le lacrime agli occhi, umani, quando parlate di questa Fanciulla, innocente e pura, che svolge solo il Suo dovere; soffrite quando le Sue carezze sfiorano i vostri cari, alleviandoli dal peso del vivere. La maledite, inveite contro di Lei, lasciandola senza parole, nonostante faccia del bene, così tanto, e voi non ve ne rendete conto.

Poverina, io dico, vorrei stringerla tra le mie braccia, forte: sentire il suo tepore, sentire il suo respiro sul mio collo. Baciarla. Baciarla, per consumarla, divorarla, ma dolcemente… Diventare il suo boia, ed il suo salvatore. Diventare la Morte stessa.
Vorrei… Vorrei vederla chiaramente nell’oscurità della vita, la Sua mano tesa verso di me; vorrei vedere la Sua perfezione, vorrei far parte della Sua perfezione.

Voglio morire, perché voglio vivere ancora, ma non qui, non ora. E voi, umani, non capite quanto la parola “morire” sia molto più vicina alla parola “mutare” che a “dolore”; perché questo è la Morte. Abbandonare questi gusci aridi e sterili, per diventare qualcosa di più; qualcosa di perfetto, “al di là del bene e del male”.

Voglio morire. Voglio abbandonare questa spiaggia chiamata “vita”, a costo di attraversare mari sconosciuti, perché qualsiasi cosa troverò, sarà migliore.

   4 commenti     di: Matteo Bonino


Il bastardo abbandonato

Il bastardo abbandonato

C’era una volta… già, in effetti, c’era… chi può negarlo? Ma…

(Non è detto che non si corra un rischio quando si comincia col dire: “C’era una volta…”, infatti si può dare la fondata impressione che una volta, c’era… e che adesso non c’è più.
Pertanto non inizieremo in questo modo, lettori cari (anche se i fatti narrati, ormai, magari li ha già, da gran tempo, dimenticati forse anche il protagonista di questa storia), poiché ancora c’è. Eh, sì, poverino, c’è.
Non diremo in che condizioni, per riguardo alla sensibilità delle lettrici più compassionevoli.
Si va a conoscerlo. Pronti? Bene, allora mano ai fazzoletti, ché forse, più avanti, ci si intenerisce un poco).
***
Insomma, c’era un omettino piccolo (e maluccio in arnese, ma maluccio assai, eh!), corredato di tutte le principali malattie, tra le quali alcune di importanza internazionale, che cercava un posto di lavoro.
E lo cercava nella sua divisa ufficiale: una giacchetta a quadrettini, di quelle che usavano?" una volta dismesse dal fratello più grande o dal cognato facoltoso?" qualche decennio orsono, un paio di calzoni in tinta, di due taglie più grandi come la giacca, berrettuccio di pelo accartocciato d’animale (e di colore) indefinibile ma certamente suicida, mocassini la cui consunzione era solo parzialmente velata da uno strato simbionte di polvere antica, un borsello, infine, in finta pelle di bue morto di crepacuore, ch’era l’immancabile complemento della sua livrea di ragioniere computista provetto.

(Si dirà, inoltre, ma solo allo scopo di restituirgli un poco del bagliore incerto della sfilacciata dignità, ch’egli aveva un nome. Ah, sì! Eccome! Il fatto poi che l’Autore non lo ricordi in questo momento, nulla toglie, nondimeno, all’integrità morale dell’omino in questione…)
***
Ma insomma, come fu, come non fu, un giorno si presentò, rigirandosi il berrettucci

[continua a leggere...]



Il silenzio degli innocenti

Il nostro posto in vita è stato determinato in precedenza,
ma le azioni corrette sono il frutto delle nostre mani.

Il peso è diventato insopportabile. Giornate trascorse a cercare risposte sempre uguali: non puoi, non devi tacere, non puoi far finta di niente. Cammini e cerchi di non pensare, sai di non poter trovare risposte diverse. Cammini fino a sfinirti ma i pensieri sono più veloci dei tuoi passi, ti precedono, sono invisibili ma li senti sulla pelle. Il giorno finisce ma tu sai di non avere via d'uscita. La notte é un incubo popolato da mostri, ombre senza corpi. Sudore, brividi e quel senso di malessere che non dà scampo. I pensieri non hanno bisogno di riposo e se ti addormenti si trasformano in incubi.

Mi alzo dal letto e guardo fuori dalla finestra è notte fonda, una notte piena di luci. Il cielo punteggiato di stelle sembra imitare Van Gogh: mille tonalità di blu si rincorrono, un gioco d'ombre avvolge il paesaggio quasi a volerlo conservare il più a lungo possibile. Forse per difenderlo dalla luce del giorno. Un contrasto impietoso con la sofferenza che mi angoscia. Mi paralizza.

Anche ieri, Francesca, la bambina dei miei vicini é "caduta" procurandosi un livido spaventoso al viso. Un volto spaurito e privo di quella felicità che dovrebbe essere un diritto per tutti, in particolare per una bimba di sette anni. La madre ha cominciato a dare spiegazioni, particolari non richiesti, un intrigo confuso e poco credibile. Lo sguardo quasi implorante incrocia il mio ma non riesco a provare comprensione. Anche il padre sente il bisogno di recitare la sua parte, sgrida la piccola per la sua sbadataggine, ma nel contempo la fa volare e la stringe forte. Francesca ha un'espressione terrorizzata e sembra sul punto di gridare ma non le esce nemmeno una sillaba.

... il rumore del silenzio è insopportabile.

La vedo camminare con lo zainetto insieme alle compagne di scuola. Mai un gesto fuori posto, mai uno sla

[continua a leggere...]

   16 commenti     di: Ivan


Uso

Sono arrivata ad una conclusione. Non sono in grado di fare la stronza. Non sono capace di non pensarlo, di non cercarlo, di farlo aspettare. Fare aspettare le persone, fare la preziosa non è nel mio carattere. Io sono più libera, senza frontiere. La faccio facile. E infatti mi vedono facile. Ma è quello che sono. Non credo di essere in grado di cambiarmi. Ci soffro, molto. Perché dopo vengo data sottointesa. Sempre, e da tutti. Data per scontata, mah sì, la Emma, chi se ne frega, posso non cercarla per giorni e tanto appena la vedo mi salta al collo e dopo dieci minuti scopiamo. Uno che mi dà il buongiorno alle 14. 00. Cosa devo dirgli? Mi manchi tanto Emma. E poi non hai neanche le palle di scrivermi ad un orario decente. Ci sto male. Tanto. Alterno momenti di depressione a momenti di felicità. Passo da attacchi di malinconia a sorrisi sinceri.
Ieri in partita ne ho ammoniti tre, espulso uno, e allontanato il mister, non ho paura di tagliarti fuori dalla mia vita. Tanto so che se ti risponderò 'Giorno ❤' dopo non avrò tue notizie fino alla sera, per la buona notte. Perché in realtà non gliene frega niente di me, nulla. Ma nulla dura. Ma non volevo fosse questa la fine. Scusa, non volevo andasse così. Ti voglio bene. Ti voglio bene con tutta me stessa, ma non riesco ad andare avanti. Mi piaci, forse ti amo, ma era meglio prima. Era meglio prima.
Ho il caos in testa. Mi mancavi. Eri il pezzo mancante. Eri quello che aspettavo. Eri quello che volevo. Sei quello per cui ora sto male, sei quello per cui la mattina non ho la forza di alzarmi, di fare ogni minimo gesto. Sei quello che ora odio. Ma dove prima c'era amore è normale che ora ci sia odio. Il punto è che non bisogna mai innamorarsi, bisogna sempre dare un'idea di distanza dalla persona. Ma io non ci riesco, non posso farlo, non sono così. Non sono preziosa, ma devo essere curata. Forse ti mancherò, ma troverai un'altra, tu starai bene. Ma non so come starò io. Non so quello che potrò far

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Emma Akuerkjhgf


Senza esserti accanto (storia di una donna malata)

Caro mio, luce dei miei occhi... sono qua che scrivo sotto la pioggia, ferma alla fermata del bus; Avrei voluto chiederti tante cose.. ma io sono troppo debole e stanca per farlo.
La malattia mi sta consumando piano piano e ormai sono allo strenuo delle mie forze...
Spero che questa pioggia, ti ricordi me.. la tua donna per 2 mesi e poi mi hai scaricato come fossi immondizia, solo per il mio handicap che non mi permetteva di parlare; queste parole, anche se non le posso dire, vengono dal cuore e riporto tutto sulla carta affinchè quello che pensavo su di te ti potesse arrivare nella tua buca delle lettere.
Nonostante fossi malata, tu hai abusato di me.. mi hai lacerato l'anima come fossi una mela... e se anche ti chiedevo di smettere tu continuavi imperterrito a picchiarmi.
Ho passato almeno un mese in ospedale... e ogni volta dovevo dire ai medici che ero caduta dagli scaloni... e tu non sei neanche passato a trovarmi.
Ho capito da poco quello che tu sei... un mostro arrogante che si diverte a distruggere le speranze di ogni persona...
Alla faccia tua, adesso sono fidanzata con un uomo che mi apprezza per quello che sono e che accetta la mia malattia..
Ma... se vivo ancora con il ricordo di te che mi butti sul letto, Alzi le tue mani verso di me e subito dopo che sono buttata a terra con solo una coperta addosso e con un agonia strappata, allora preferisco morire...
Infatti... Guarda sta passando un'autobus proprio in questo momento...
(A questo punto si interrompe la lettera)




Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Tristezza.