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Frasi di Edoardo Vianello

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Ho sempre scritto canzoni di getto, così come mi venivano. Con lo spirito di quello che lo faceva tanto per divertirsi, incoscientemente, senza calcoli di mercato, perché allora non se ne facevano. L'ho fatto così, senza marketing, senza ricerche particolari sui gusti del pubblico. Semplicemente offrendo quello che mi veniva in testa. Spesso questo ha coinciso coi gusti del pubblico, e quindi è andato bene.



Tutte le canzoni mi ricordano qualcosa della mia vita. In generale mi riportano alla prima volta in cui le ho interpretate e in modo particolare in Versilia dove facevo tutta la stagione estiva, di cui ricordo un'atmosfera entusiasta e ottimista tipica degli anni Sessanta.



Le leggi del mercato discografico odierno mi sembrano molto molli: non sono riuscite a far rispettare la paternità del proprio impegno musicale, della produzione. Non ci sono leggi abbastanza forti che tutelino o facciano rispettare gli artisti, i produttori, gli interpreti: la musica ha dei costi e bisogna retribuire le tante persone che ci lavorano. Mi pare ci sia una diffusa rilassatezza e poca volontà.



Se pensiamo a cantautori come Paoli, Tenco, Bindi, Endrigo o De André, erano abbastanza malinconici, non è che fossero proprio spensierati. Erano anche impegnati in quello in cui scrivevano. Quella degli anni '60 non era soltanto musica allegra, anche se la gente ama ricordare i momenti allegri della propria vita, e tende a cancellare quelli più tristi. Si affeziona ai motivetti più allegri, fermo restando che le grandi canzoni degli anni '60 sono ancora rispettate. Il ricordo delle canzoni allegre fa credere che quello fosse un periodo incosciente e spensierato, mentre in realtà era complicato come lo è oggi.



Pensavo che la vita artistica di un cantante potesse durare otto, dieci anni. Il tempo in cui si è giovani e aitanti. Infatti, con l'apertura della casa discografica, pensavo di poter rimanere nel campo facendo altre cose: il produttore, o l'impresario. Non credevo che una carriera potesse durare più di 50 anni. Invece mi sono accorto che più si va avanti, più si impara: ad affrontare il pubblico, a stare sul palcoscenico. L'esperienza ti fa capire che il cantante è un mestiere nel quale, salute permettendo, si può rimanere protagonisti.



Il mio punto di riferimento è stato Domenico Modugno, il papà dei cantautori, quello che ci ha fatto capire che non era necessario avere una bella voce per cantare, ma che era importante cosa si diceva e come lo si diceva. Un maestro involontario, io pendevo letteralmente dalle sue labbra... cioè dai suoi dischi.



Nelle sale da ballo negli anni '60 c'era un'atmosfera di curiosità quando arrivava un artista, perché un tempo i cantanti non si vedevano in televisione. Li si sentiva in radio, o nei jukebox, quindi vederli era sempre un evento. Oggi c'è una certa inflazione dell'immagine, quindi manca la sorpresa, la curiosità, se non per le grandissime vedette. Per i cantanti normali, che fanno musica con serietà ma che non riescono a fare 50. 000 persone in uno stadio, non c'è più quella morbosità che invece un tempo era riservata a tutti i cantanti.



Ci sono storiche composizioni degli anni Sessanta tra cui "Il tuo bacio è come un rock", "Tintarella di luna", "Stessa spiaggia stesso mare", "Luglio", "Il pullover", "Con te sulla spiaggia", "Sei diventata nera", che mi sono state attribuite ma che in realtà non ho mai interpretato. Probabilmente per il genere che è riconducibile a quello dei miei maggiori successi: forse i colleghi li avevano interpretati per fare il verso proprio a me.



Ho scritturato Renato Zero e Amedeo Minghi perché avevo intuito che avevano dei grandi numeri. Però erano molto avanti coi tempi. Infatti io non sono riuscito a portarli al successo, ci sono arrivati dopo dieci anni. La mia era una piccola casa discografica, non avevo la forza di trattenere per dieci anni un artista che vuole esplodere. Però, per lo meno, ne avevo intuito il talento e la predestinazione al successo.



Nel momento in cui la mia popolarità è un po' calata, perché il genere allegro non era compatibile con il '68, mi sono fermato e ho cercato di portare avanti con altri cantanti la mia vena intuitiva. Proprio con Califano varammo la nostra etichetta discografica, la notte dello sbarco sulla luna dell'Apollo: da qui il nome dell'etichetta.





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