Vent’anni dopo, nella casa di Martina, in occasione del suo quarantesimo compleanno, non potevo che esserci anch’io, con gli stessi capelli biondi, gli stessi occhi che tu per primo hai scoperto essere verde fosco.
Molta strada è passata, molti amori, molte scelte, molti casi indipendenti dalla nostra volontà.
Non ha importanza ci sia tanta gente.
Seduti accanto siamo in un attimo soli e tu, Filippo, incredibilmente mi stai facendo sapere che mai nessuno ti ha amato come me, così avvicini al mio il tuo viso.
Facile e naturale è stringerci e baciarci, ma evidentemente per me impossibile lasciare che le labbra e non le guance si incontrino.
Mi prendi in giro: “Un bacetto…che sarà mai?”
Forse, sarà ma così tradirei nel profondo mio marito: darti un bacio e poi nella casa in cui ho vissuto tanto del mio amore, sarebbe senz’altro un’enormità.
Lorenzo, cui comunque ho raccontato la vita vissuta da me prima di lui, non si renderebbe conto nel profondo di ciò che mi sta accadendo qui e in questo istante.
La tua bocca cerca la mia e io sto cantando serena nella chiesa delle mie nozze, sto ricevendo il mazzo di rose che festeggia la scoperta della mia tanto attesa gravidanza, sto accogliendo il primo sorriso fiducioso di Letizia, figlia adottiva appena conosciuta nel Tribunale dei Minori.
Schivare un bacio non è per me una novità.
Tantissimi anni fa il primo ragazzo da me davvero amato vide sgusciare dal suo volto amato la faccia di me ragazzina che riteneva di non meritare il suo bacio.
Raccontarlo a te, Filippo, vent’anni fa fece salire inaspettatamente le mie quotazioni. Dirti che non avevo saputo accettare la cosa che a quel tempo mi sembrava la più grandiosa, il bacio vero del ragazzo dei miei sogni, ebbe su di te un effetto inatteso.
Identico inverosimile effetto ebbe il medesimo racconto su quello che sarebbe diventato poi mio marito.
Sto schivando adesso le tue labbra sperimentate con piacere centinaia di volte.
Ma oltre di noi c’era stato il tuo arrenderti ad un’omosessualità latente eppure prepotente, c’era stato il mio serio matrimonio e l’altrettanto seria maternità.
Che la mamma ipersensibile di un’adolescente accettasse il ritorno momentaneo di una vicenda ormai perduta era inconcepibile.
Per questo ho scelto di farmi riaccompagnare a casa presto. La mattina dopo saremmo partiti per le ferie. Io, mia figlia e mio marito, che mi aspettavano svegli tra le valige pronte.
All’alba saremmo partiti; loro due si sono addormentati presto; io, che già mi dolevo di non aver saputo cogliere l’attimo, e già mi sentivo in colpa di averlo in qualche modo desiderato, ho atteso il giorno rivoltandomi tra le lenzuola e i ricordi brucianti.
Forse un minuto ho sognato.
Forse, ma non l’ho mai saputo.