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VelvetHeartRabbit

Sempre lo stesso brusco risveglio. Quel giorno, come ogni mattina ormai, il cellulare mi avvertì tremante dell'arrivo dell'ennesimo nuovo messaggio. Risposi. Richiusi gli occhi, che non avevo ancora aperto del tutto, e poggiai pesantemente il capo sul cuscino sgualcito; e forse ero già tornata al tempio del Sonno, sebbene avessi le tempie calde, concentrata su quella giornata nascente, certamente catastrofica, che mi attendeva non appena avessi varcato la soglia e abbandonato la casa del padre di Morfeo. Una nera scure. Il cellulare tremava ancora. Risposi.
O dèi immortali, ci separarono gli affanni vani degli uomini.
Allora mi alzai dal letto. Mi svegliai, mi preparai, cercai più coraggio. Mi svegliai meglio. Se esiste un dio dell'indolenza e dell'ozio domestico la scuola mi strappò via anche dalle sue braccia svogliate e dovetti uscire. Dunque uscii.
Mi immolai alla vostra dimensione razionale. Rassegnata, mi sacrificai alla vostra prassi. Il cielo era cupo a sfumature rossastre. Aprii gli occhi, mi svegliai e vidi l'immanenza. La vostra realtà orizzontale, fatta di burro.
Lame, più o meno affilate, che incidono lo strato burroso che ricopre il piano materiale; questi sono gli uomini: lame.
Il giorno seguente lo spettacolo fu il medesimo. La realtà, quella vera, era ancora schiacciata sotto la massa untuosa ed io avevo perso la spietata maestria con la quale, nei precedenti giorni, ero riuscita a scalfirla. Temevo di non essere più in grado di tagliarla, passarci in mezzo. Non ero più una retta perpendicolare al piano. La mia lama calda si stava raffreddando e il burro diventava solido, paralizzandomi nelle mie paure, che adesso, mentre io perdevo il filo, si affilavano.
Sarei rimasta sola con le mie Furie a vivisezionarmi.

 

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