Un brusio
quand'ecco, si tace.
Quel rumore che smembrava
in minuscoli intangibili pezzi
la mente percossa
d'eterne frustate di dolore.
Sì, quel dolore che ti chiamava madre,
figlio dell'innocenza,
nel possederti in aggrovigliati pianti.
Ed ora. Non più.
Cos'era allora, ... Un momento?
Un unico spiraglio
in cui i tuoi occhi si erano insinuati,
curiosi?
Oppure la stanza era troppo, troppo luminosa
[... da accecarti?]
per contenerti tutta?
Hai spezzato con denti a divorarle
le barriere che ti occludevano.
Hai strappato le ali turpi, gridando...
di saper volare.
E il rumore non ti ha reso sorda.
Hai solo sentito troppo
per poter piangere, poi, ancora,
lacrime che avevano il sapore del passato.
Per poter almeno sapere
come sorride il sole
anche se il suo sguardo
uccide,
come se fosse un peccato compiuto,
gli occhi profanatori.