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27 Gennaio 1945

Per giorni e giorni il cielo era andato sputando scatarri caliginosi
per giorni e giorni s'era affacciato a soffocare il sole
ad impedirne il suo scintillante fulgore ad oscurarne la faccia
e velarne con arroganza, l'illuminante l'invereconda essenza.
Per giorni e giorni il cielo era sceso, era caduto in basso
fino a toccare fino a graffiare (con le unghie smaltate di piombo impallidito)
i lignei tetti delle turpi baracche
e scivolare grondante e gravido dalle alte torrette
e gocciolare lento
dall'ispido intricarsi del filo spinato.
Che c'erano stati dei giorni che l'aria non era aria, che il cielo non era cielo
che il grigio era il colore primario e nulla più
che l'olezzo delle carni abbrustolite era l'unico effluvio.
Che la neve fluttuante (che danzando si posava sui tetti e sulle macchine)
non era la candida zuccherosa e turbinante neve
ma il grigio, disordinato disperdersi di friabile cenere
e soltanto e solo cenere.
Che le nuvole di rigonfiante nero non erano veleggianti nuvole
ma i nembi saziati di rigonfiante fumo
e solo e nient'altro che fumo.
Fumo che usciva e che alitando s'innalzava dall'alta ciminiera
fumo che ricadeva in mille faville silenziose, in milioni di eterei incrocianti lapilli
che non c'era l'ossigeno, ma soltanto l'appestante alitante vomitare dei fetidi miasmi
e il coro ammutolito delle voci occluse, delle anime straziate
e dei corpi gesticolanti rattrappiti e poi interrotti
e niente... e niente di più .

L'alba si estende e apre le sue braccia di ghiacciati canditi ed il cielo
(che pare nitido vetro) si mostra e s'illumina
schiarito, depurato dalle ammorbanti e deturpanti scaglie.
Che c'è un'eco lontana eppure inconfondibile che viene a spezzarne il rigido silenzio.
Un suono attutito di trotto e galoppo, che ne rallegra che ne ravviva il recente risveglio.
Ghiaccio e neve che si spezzano e che si disciolgono e che si frantumano
e che rimbalzanti aderiscono agli zoccoli martellanti.
Piccole schegge impazzite e piccoli e candidi grumi e
sulle facce camuse...
i caldi avviluppanti colbacchi e i rotondi copricapi con la stella rossa.
Una stella colore del sangue e non esangue come la stella di Davide
e negli sguardi, nei volti emaciati la resurrezione, la rinata speranza
e il vivido luccichio provocato dal trainato cadere degli alti cancelli.
Un'esortata speranza che di più si illumina e che più si manifesta
nelle braccia che si innalzano e che esultano e nelle lacrime di chi ancora non ci crede...
Che ancora non gli pare vero di essere libero.
Di essere... un Uomo.

 

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1 recensioni:

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  • Rocco Michele LETTINI il 29/01/2018 09:04
    un'esaustiva quanta intensa poesia...
    È il giorno della memoria... Non dimentichiamoci...
    *****

1 commenti: