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Il vecchio Leone e gli amici di Wamba

Conosco un "Vecchio Leone". Lngatuny Arary, così si traduce in maasai vecchio leone ed è con questo nome che una tribù Samburu ha voluto condividere la propria africanità con un uomo che africano non è ma che si dedica con coraggio e passione a curare gli abitanti di un villaggio molto povero, nel nord est del Kenya.
Questo "Vecchio Leone" è il Dottor Oscar Sola, primario di ginecologia e mio caro amico che, insieme alla sua équipe medica di Legnano, lavora da oltre trent'anni come volontario in un ospedale missionario, situato nel distretto di Samburu, a circa 400 chilometri da Nairobi, in mezzo al nulla più assoluto. Qui si trova la culla del mondo, il luogo dove avrebbe avuto origine l'Uomo e, paradossalmente, questa è rimasta una delle zone più povere della Terra.
La popolazione, divisa nelle etnie Samburu e Turkana, appartiene ai Nilo-Camiti ma al ceppo originario si mescolano altre etnie minori, ognuna con la propria lingua, il che rende ancora più difficile la comunicazione tra loro e con gli stranieri. Essendo oltretutto nomade, per via dell'asprezza del territorio, questa gente non ha mai avuto il tempo per dedicarsi ad alcuna forma di cultura, costretta a migrare perennemente in costante lotta per la sopravvivenza.
Oscar, il Vecchio Leone, lavora qui, a Wamba, dove nel 1965 fu progettato il Catholic Hospital di Wamba, pensato e fortemente voluto dai Padri della Consolata. Non fu facile, allora, vincere le resistenze e ottenere le autorizzazioni del governo locale, che era inspiegabilmente ostile alla messa in opera del progetto umanitario, ma la tenacia dei padri missionari alla fine vinse. In pochi anni, sotto la direzione del Dottor Silvio Prandoni, medico missionario di Castellanza ma soprattutto uomo di grande generosità e forza di volontà, il progetto divenne realtà. Uomini di fede e uomini di scienza hanno unito le proprie energie in vista di un unico obiettivo: l'amore per la vita.
L'ospedale nacque inizialmente per curare malattie oculari, di cui la popolazione locale soffriva particolarmente. In seguito, superate le difficoltà burocratiche e le diffidenze culturali, la struttura si è via via ampliata fino a diventare quello che è oggi: un ospedale vero e proprio, esteso su 40 ettari di terreno, che offre ricovero e sostegno ad una popolazione di oltre 40. 000 individui, destinati altrimenti a rimanere isolati da ogni contatto civile, umano e sanitario.
All'inizio Wamba offriva appena venti posti letto ma era già una grande vittoria. Mancava completamente l'acqua e non c'erano né elettricità né strade. Da allora sono stati scavati due pozzi, recuperata l'acqua piovana e trattate le acque nere; sono stati acquistati quattro generatori diesel, sufficienti a far funzionare l'intero complesso; e nell'arida savana sono state ricavate strade abbastanza praticabili, almeno dalle jeep. Solo chi conosce l'Africa e le sue misteriose contraddizioni può immaginare le difficoltà che si sono dovute superare per raggiungere simili obiettivi.
Oggi Wamba ospita duecento posti letto. Ha un efficiente ambulatorio, diverse sale operatorie, un servizio di day hospital, un reparto maternità con sala parto e asilo nido, reparti d'infettivologia, ortopedia, chirurgia, con relativa palestra per la riabilitazione e la rieducazione. Questa struttura ha praticato il trapianto della cornea ancor prima che fosse diffuso in molti paesi italiani e la sua collaudata Scuola per infermiere avvia anche gli abitanti del villaggio alla professione medica e infermieristica. Il personale specialistico è sempre stato fornito dal volontariato e gran parte del sostegno economico è frutto di beneficienza e donazioni.

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2 commenti:

  • Guido Ingenito il 10/09/2010 14:33
    evvai! qualcosa di molto diverso! sei la prima che traccia una trama simile su questo sito e devo dire che ci sei riuscita anche molto bene!

    Guido
  • Anonimo il 09/09/2010 19:15
    Certamente la fantasia non ti manca!
    È scritto bene ( anche se un po' convenzionale), e la trama è interessante!
    7+


    A. R. G