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Breve storia di Simone e del suo dio

Come quando si aspetta qualcosa che non si sa quando arriverà, se nel giro di un minuto o tra decine di anni, Simone guardava fuori dalla finestra. Non aspettava nulla, in realtà. Guardava. Osservava. Studiava.
Sapeva vivere solo così, Simone, guardando la vita.
In piedi su uno sgabello -perché la finestra era troppo alta per lui- Simone guardava la vita, immaginava, sognava, viaggiava.
Era come nelle favole: poteva scegliere chi essere, ogni giorno una vita diversa, un personaggio diverso. Anzi, era anche meglio delle favole. Quelle che gli raccontava mamma Nellie duravano sempre troppo poco, e non lo facevano sognare. Non danzavano, non sorridevano. Anche mamma Nellie, a dire la verità, sorrideva molto poco. Anche papà Vin.
In compenso, urlavano sempre. Urlavano con lui, urlavano tra loro, sempre. Urlavano molto più di quanto non sorridessero.
Simone non capiva perché. Una vita in cui si urla, come può essere felice? Simone pensava che ci fossero delle cose che andavano dette piano, sussurrate, lasciate cadere come cade la prima neve dell’anno, discreta, gentile. Ma i suoi genitori non le avrebbero mai dette.
In fondo, a Simone non importava molto se i suoi non capivano. Un po’, sì, gli dispiaceva. Perché poi, diciamolo, i grandi sono così bravi ed esperti e sicuri nelle cose loro, da grandi appunto, che i bambini non capiscono, e si smarriscono invece in quelle più semplici. Non sanno cosa fare, non riescono a decidersi, e quando si decidono, alla fine, sbagliano. Forse non erano proprio tutti così, ma questo Simone non poteva saperlo. Certo gli sarebbe piaciuto poterli aiutare, in qualche modo, ma gli avrebbero mai dato retta? Simone pensava di no. E probabilmente aveva ragione.
Doveva essere difficile, la vita, per i suoi genitori. Ma la sua, pensava Simone, era bellissima. Dalla finestra vedeva una grande strada e il parco, e più oltre le colline, e una, in particolare, una collina che a Simone sembrava altissima, la più alta del mondo. Chissà se lo era davvero.
Vedeva tutte queste cose, e queste cose erano il mondo, per lui, o giù di lì. E le persone che attraversavano il mondo erano felici, pensava Simone, perché sorridevano, e non urlavano. Doveva essere proprio un problema dei suoi genitori. Forse erano malati. Simone sperava che fosse una malattia breve, mansueta, innocua come un raffreddore. Che sarebbe bastato un po’ di riposo e qualche pillola colorata e tutto sarebbe andato a posto. Non come la strana e brutta malattia di Nonna Dean che adesso non c’era più. Simone ci teneva, ai suoi genitori, anche se forse non erano proprio il meglio che ci fosse sul mercato.
Ad ogni modo, quella mattina Simone osservava il mondo dalla finestra in piedi sul suo sgabello. Le vetrine dei negozi, il viale, gli alberi, le colline. Il mondo. Sul marciapiede di fronte, un bambino. Piangeva. Urlava. Piantato sul marciapiede, fermo, immobile, urlava. Piangeva. Sua madre cercava di trascinarselo appresso, ma lui non ne voleva sapere di muoversi. Urlava. Solo questo.
Chiuse di colpo la finestra, Simone, e saltò giù dallo sgabello.

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2 commenti:

  • Anonimo il 12/11/2011 14:14
    c'è una leggera vena di tristezza in questo racconto che mi ha colpito... molto originale! Piaciuto!
  • Umberto Briacco il 18/12/2007 16:31
    Scritto veramente bene. nolto lineare e scorrevole. molto dolce. bella la descrizione del mondo dagli occhi di un bambino. forse un po' retorica ma estremamente piacevole.

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