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Venti Minuti Circa

Era un ricordo felice, quello che a volte affiorava nei pensieri di Lidia. Qualche albero a fare ombra sul prato mentre lei, assieme a suo fratello, alla madre ed ai nonni, usava fare scampagnate non molto distante da casa. Il cesto di vimini intrecciato era colmo di bevande fresche e pietanze. Avrebbe pensato, accendendosi l'ennesima sigaretta, seduta nella modesta cucina che dava di rimpetto la strada, che quelli erano altri tempi, un'Italia diversa, ma sebbene ciò fosse quasi scontato, oltre che un'evidente dato di fatto, il pensare, a poco a poco diventava sempre più pieno di rabbia, rancore ed odio, verso chi o cosa non le era chiaro, ma avvertiva il serpeggiare incombente di questi sentimenti e doveva ogni volta trovare la forza di disincantarsi trovando qualcosa di pratico da fare. Aldo sarebbe dovuto passare a prenderla di li ad una ventina di minuti. La casa era avvolta di una quiete, dovuta anche alle persiane chiuse per un assolato primo pomeriggio estivo, che non lasciava spazio ad altro in lei se non ad un resoconto finale, ad un domandarsi del perché, e voleva a tutti i costi sapere in che modo ne sarebbe venuta fuori questa volta. Mentre era concentrata a trovare una soluzione il caso non mancò di tratteggiare con linee del tutto inusuali, la china che si stava scrivendo. Infatti un'anta delle persiane della finestra del salotto, si aprì sotto la spinta del vento. Un vento di mare quello: salato, spumeggiante, che a volerlo catturare in un'orgia di vetro, avresti visto il mare stesso dimenarsi per uscirne, per essere di nuovo libero, senza spiagge a contenerlo, senza il fondo a sprofondarlo, un'anima furente e lucida pronta ad assalire tutto, sulla terra e nella mente. Si diresse verso la finestra, la aprì e ferma lì, rivolta verso la parte di mondo che le era possibile vedere e che le veniva concesso, si immobilizzò. Ora fra i tanti modi possibili per vedere un qualcosa o qualcuno, a lei inevitabilmente gli occhi scelsero voler fissare, quasi scavare dalla realtà ciò che vedevano per scaraventare il tutto in un altro dove, lontano ed irraggiungibile. I campi di grano mietuto si allungavano, dopo la strada, fino al limite del bosco lontano, ed oltre l'orizzonte era un pastello di colori, di colline e verde che si perdeva fino al mare, inudibile e mischiato al cielo. Tutto quel paesaggio avrebbe donato ad altri occhi calma e serenità, ma per lei non era così. I progetti, i sogni e le speranze di una vita tranquilla, persino a volerla pensare una vita semplice, fatta di duro lavoro e poche mondanità, sarebbero potuti bastare, ma a lei erano stati negati, distrutti nel corso degli anni, travolti tumultuosamente dalla realtà in cui quel lembo di paradiso era situato. Le tornarono in mente, come un urlo assordante nelle orecchie, il vociare del paese, i colloqui di lavoro falliti e meschini, i telegiornali, che assumevano di anno in anno i toni di un bollettino da guerra civile, e che le tenevano compagnia nei pranzi dopo mattinate passate a pulire per pochi soldi, le case di chi nel paese poteva permetterselo o di qualche amico che voleva aiutarla. Un paese distrutto, fatto di macerie di umanità ammucchiate qua e là come sabbia in un deserto ventoso: questo era diventato quel luogo per lei. Un taglio netto sarebbe stato più sopportabile, almeno così aveva sentito dire dalle sue amiche. Un nuovo inizio, si ripeteva nella mente, quasi come una cantilena in sottofondo costante. E tutte le volte, eccetto questa, che il suo ragionare era gonfio di idee del genere solo il pianto, silenzioso e rassegnato, la aiutava in qualche modo a rendere la vita sufficientemente sopportabile. Ma ora era diverso, non una lacrima a caderle sul volto, non un sospiro di rassegnazione. Bruscamente, come a svegliarsi da un brutto sogno, si rese conto che stava seguendo ancora una volta quei suoi pensieri in cui molte volte aveva indugiato e ne era rimasta intrappolata, come in delle sabbie mobili che possono far perdere il senso del tempo e che l'avevano portata a non reagire fino a che la situazione era divenuta irreparabile. Cosi, decisa, chiuse la persiana e la finestra. Si spostò al centro del salotto e fece per sedersi, ma ci ripensò ed andò in cucina a prendere un'altra sigaretta. L'accese e, preso il piccolo posacenere di rame, tornò in sala e si sedette comodamente sul divano. Sul tappeto, di fronte e vicino, c'erano le valige pronte, due, regalo di sua madre che le fece quando partì per vacanza di una settimana per la Grecia. La giacca estiva era invece appoggiata sullo schienale di una delle quattro sedie di legno attorno al tavolo rotondo. Lo sguardo per un attimo si fece ancora una volta smarrito, fisso verso la vetrina del mobile di fronte all'altro lato della stanza. Se ci fosse stato uno specchio invece che quel vetro, si sarebbe distrutta in uno sguardo. Al contrario quella superficie, in modo meno accurato, lasciava trasparire cosa vi era dietro e nello stesso tempo rifletteva l'immagine di lei. Le era più sopportabile, accogliente in un certo modo, le dava la possibilità di dire che quello che vedeva non era lei e lo era al tempo stesso, in fondo le dava la possibilità di approssimare, e lei sapeva che tutta la sua vita, a questo punto, era solo stata approssimazione, un'insieme di intenti svaniti ed in ciò ci vedeva una certa logica delle cose del mondo e questo, invece, la calmava. Il campanello di casa suonò: Aldo era arrivato a prenderla, e da come si erano messi d'accordo, lei sarebbe dovuta scendere e lui le sarebbe venuto incontro sulle scale. Così Lidia, spenta la sigaretta, si alzò di scatto, ed in maniera quasi automatica prese la giacca e la indossò. Lentamente fece per prendere le valige e si diresse verso la porta. La aprì ed uscì posando le valige nell'atrio delle scale, fece per chiudere la porta ma si fermò: le chiavi erano nella tasca sinistra della sua giacca. Ebbe modo di sorridere tra se e se, quasi a dirsi che tutto ciò non era vero, che tutto quello che stava per accaderle era un film durato fin troppo ma ora finito, o una storia da raccontare poi alle amiche, e con quel sorriso rientrò in casa, nel salotto e posò le chiavi sul tavolo. Poggiandole capì che non era un film, ma la sua vita. Si diresse nuovamente verso la porta, una volta sul pianerottolo si girò, diede un'ultima occhiata dentro casa come a sperare e poi chiuse la porta. In quell'istante, per un momento infinitamente breve, quasi eterno, lo sguardo tornò perso nel vuoto, su quella porta, le gambe tremarono quasi a cederle ma l'apertura del portone sotto la destò, si voltò in fretta, prese le due valige e fatti i primi cinque sei gradini ecco Aldo che salendo, accennando un saluto in uno sguardo breve, glie le tolse dalle mani e voltatosi cominciarono a scendere le scale, in silenzio. Chiuso il portone alle spalle, caricate le valige nel bagagliaio Aldo aprì gli sportelli della macchina e Lidia potette sedersi. La macchina viaggiava già a centinaia di metri dalla casa e, se non fosse che il destino è tale se si determina una sola volta e se lo stesso accade più volte può iniziare a chiamarsi Storia: l'anta della persiana di quella stessa finestra si aprì verso l'esterno un'altra volta. Gli occhi osservavano la vettura che curvava seguendo la strada e si allontanava. Occhi duri, gli occhi di chi la vita ne ha ammazzato il fervore, spento il luccichio, soffocato il canto. Occhi di chi sente che per quanto si possa dire a se stessi che da sempre le persone viaggiano, emigrano, la realtà dura ad accettare e che sanno esser l'unica vera perché più aderente alla realtà è che quelle persone scappano, volano via nella speranza di un futuro migliore. Vengono spinte in quella direzione da chi invece resta, nel silenzio, nella rassegnazione, nella connivenza in uno stato delle cose che non deve cambiare. Ed in chi resta ciò che più ne illividisce lo sguardo, ne fa bestie da guerra adatte a restare è la consapevolezza, il sentire profondo di non essere molto diversi da chi, in altre parti del mondo, fa guerre, sfrutta, crea ed alimenta dittature. Tra un insieme di individui che coprono il potere, anche solo per timore o codardia, ed una comunità civile che non accoglie, cresce e tutela il futuro dei propri appartenenti non vi sono differenze se non di modo nell'agire, cambiano le armi in silenzi, i diktat in proverbi che giustificano sempre il male come fosse un qualcosa che fa parte della natura umana immutabile: ma no, il risultato non cambia, il fine è unico: creare le condizioni per mandar via chi non si adegua o non può, o non sa adeguarsi. E così che quel giorno, il vento del mare, diede la possibilità due volte di guardare dalla stessa cornice persone dello stesso sangue disperdersi nel mondo, non tanto per cortesia verso l'una o verso l'altra, quanto per rimarcare, in un'ultima e cristallina scena, chi era l'essere umano e chi la bestia.

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