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Gli esposti

Il cuore le batteva all'impazzata e il fiato le mancava. Lungo la strada continuava a correre e a guardarsi indietro, con il timore che qualcuno la stesse seguendo. Sembrava un malvivente intento a non farsi scoprire e così rasentava i muri, e si riparava nel buio dei portoni dei palazzi per assicurarsi di essere sola.
"Loro sapranno cosa fare", si ripeteva a voce bassissima, quasi in un sussurro. Il rimorso era grande, ma ancora più grande il dolore e la miseria. Procedeva spaventata; ed ogni benché minimo rumore la faceva sobbalzare e il cuore le batteva più forte, ma la via era deserta.
La notte era gelida e lo scialle logoro che avvolgeva la sua esile figura, ben poco la proteggeva dal freddo. Strinse più forte il fagotto che portava tra le braccia ed accelerò il passo; le sembrava che il suo peso aumentasse strada facendo.
Finalmente giunse alla chiesa. Così come le avevano raccontato, non esisteva un portone d'ingresso, e le scale davano direttamente in una sorta di piccolo cortile. Si precipitò su per i gradini in una corsa frenetica e non conoscendo il posto, si guardò intorno. Alla sua sinistra scorse l'entrata della chiesa, mentre guardando dall'altra parte trovò "la ruota". Malferma sulle gambe tremolanti, procedette in quella direzione. Stavolta il passo era lento, come chi, dopo un lungo peregrinare ha raggiunto la meta tanto sofferta. Girò la ruota dal lato concavo; il cuore le batteva ancora più forte di prima. Con delicatezza vi depose la coperta con il suo contenuto, poi si trasse dal petto un pezzo di carta e lo infilò tra le pieghe del fagotto. Si soffermò per qualche istante, quindi, fece nuovamente girare la ruota, tanto da vederne la parte convessa. Per la prima volta, dopo la morte della figlia, avvertì nettamente il vuoto che la circondava. Quell'atto recideva anche l'ultimo legame che aveva con lei. Con le lacrime che copiose le rigavano il viso, e tutto il peso del suo gesto disperato sulle spalle, si lasciò mollemente cadere e scoppiò in un mare di pianto; quando ad un tratto, come avvertendo, la gravità della situazione, il fagottino che era nella ruota, si animò, lanciando urla acutissime che svegliarono alcune delle suore che dormivano al primo piano del convento.
Sempre vigile, anche durante la notte, suor Franca, immaginando cosa fosse accaduto, si diresse direttamente verso la ruota ed aprendo la coperta da cui provenivano le urla, fece capolino una testolina rosa con due grandi occhi neri, che si sgranarono appena ebbero messo a fuoco la suora. Ne seguì una risata sonora e sdentata che riecheggiò nel silenzio della sala. Un biglietto con una grafia quasi incomprensibile accompagnava la piccola:
"Il suo nome è Maria. Se vi è possibile, insegnatele a cantare, sua madre aveva una voce celestiale". Nei giorni che seguirono, il convento fu in fermento. Numerose lettere furono spedite a potenziali famiglie adottive e come per ogni bambino che veniva proposto, altissime erano le speranze.
"È davvero carina" disse suor Franca a suor Anna, la madre superiora, mentre le dava la poppata della sera. "Non si affezioni troppo a lei" le suggerì la monaca dall'alto della sua esperienza.

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1 commenti:

  • Raffaele Arena il 13/09/2011 16:06
    Assunta. Questo tuo racconto e' un canto. Davvero appassionante, l'amor filiale di una madre, e tutta la descrizione. Si legge tutto di un fiato! Brava! Bravissima! E grazie!

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